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Sono diventati pervasivi da meno di vent’anni, eppure sono penetrati talmente a fondo nel tessuto della nostra vita quotidiana da sembrare esistere da sempre. I social network ci tengono collegati con persone lontane e amici di vecchia data, ma allo stesso tempo cercano di trattenerci il più possibile a loro interno minando la nostra attenzione e agendo sul nostro sistema di gratificazione del circuito dopaminergico. Gli studi ci mettono in guardia sul loro utilizzo inconsapevole e ci spronano a cercare metodi per la limitazione della loro fruizione quotidiana. Un alto utilizzo passivo dei social è infatti correlato con la diminuzione del benessere soggettivo auto-percepito e nel lungo periodo ha impatto sulla materia grigia del nostro cervello.
I meccanismi cerebrali dello scrolling: perché può creare dipendenza
Uno dei metodi più semplici per rinforzare un comportamento come lo scrolling (lo scorrere del dito sullo schermo dello smarthphone) è quello di associare ad una specifica azione una risposta di benessere. È questo il meccanismo che sta sotto alla nostra dipendenza per i social: quando un individuo è esposto ad uno stimolo gratificante, l’area tegmentale ventrale rilascia dopamina verso il nucleo accumbens.
La dopamina è un neurotrasmettitore della famiglia delle catecolamine, che comprende anche l’adrenalina. È fortemente implicata nel circuito di ricompensa, ovvero la troviamo sempre coinvolta quando proviamo un piacere gratificante rispetto ad un’azione compiuta, ed è un tipo di piacere che crea dipendenza.
Ma perché scrollare Instagram dovrebbe essere gratificante? Ci sono diverse risposte. In primis, ricevere attenzioni sotto forma di like, commenti o condivisioni ci fa sentire tenuti in considerazione sino a percepire un aumento di popolarità, che per un animale sociale come Homo sapiens significa leadership, aumento del numero e della forza dei legami sociali e quindi maggiori probabilità di sopravvivenza e successo.

I social media sfruttano inoltre altri trucchi per evitare di farci premere il tasto home. Uno di questi si basa sull’imprevedibilità delle ricompense: una giusta dose di imprevedibilità ha un effetto eco sulla nostra ricerca di dopamina. Quindi, non sapendo mai quando arriverà il prossimo rilascio di dopamina, continuiamo a scrollare come in una slot-machine, alla ricerca della prossima scarica.
I social media e i cambiamenti cerebrali a lungo termine
Immergersi nelle vite degli altri, o meglio, in ciò che gli altri vogliono far apparire di loro stessi, ci mette costantemente a paragone con il prossimo. In maniera subdola, questo meccanismo instilla in noi una paura di rimanere indietro rispetto agli eventi social, e ciò ci spinge ad aprire le nostre app per aggiornarci sui fatti del mondo e sulle vite dei nostri conoscenti.
Studi di metanalisi, cioè studi che aggregano moltissimi altri studi precedenti per estrarre correlazioni significative, segnalano come all’aumentare dell’utilizzo passivo dei social network diminuisca il benessere soggettivo della persona. Altri studi di neuroimaging che indagano l’impatto dei social media sul nostro cervello ci mostrano come questi alterino la materia grigia (la zona dove si concentrano i nuclei neuronali), in particolare quella delle aree delle emozioni, della presa di decisioni e dell’autocontrollo.
Hanno infine un impatto sulla nostra capacità di rimanere concentrati a lungo, data la natura effimera e frenetica dei contenuti di cui usufruiamo tipicamente sui social network.

Strategie per scrollare con moderazione
Come oramai un po’ tutti sappiamo, lo scrolling è un comportamento che, se non gestito, diventa automatico, sino a portare ad una dipendenza che nemmeno vediamo arrivare. Per contrastare un uso non consapevole dei social media si attuano una serie di cautele comportamentali unite ad alcune riflessioni profonde che consolidano la motivazione.
Tra le prime, i consigli di tenere lontano il telefono mentre si studia, praticare regolari periodi di astinenza dalle piattaforme social, e bilanciare le interazioni online con quelle nella vita reale, dato che gli studi mostrano che le seconde non sono sostituibili dalle prime in termini di benessere personale e sociale. Può essere molto efficace silenziare le notifiche che arrivano dalle app dei social network, così da rendere ogni volta intenzionale il nostro utilizzo delle piattaforme, ed evitare, per così dire, di “venire chiamati” da esse.

A queste utili pratiche sono poi da affiancare ragionamenti di fondo su ciò che vediamo sui social, per limitare gli impatti depressivi che la ricerca psicologica denuncia. In primis, essere consapevoli che ciò che si vede sulle piattaforme non corrisponde alle vite delle persone immortalate, ma soltanto a ciò che quelle stesse persone vogliono mostrare e narrare di loro stesse. Ne risulta che un confronto tra la nostra vita e quella che vediamo sui social è un’operazione totalmente errata: stiamo in questo modo comparando i momenti "fotogeneticamente migliori" delle persone che osserviamo con la quotidianità soggettiva, fatta anche di momenti difficili e faticosi che nessuno tende a mostrare.
Risulta utile quindi scegliere in maniera attiva chi seguire, i profili che ci raccontano qualcosa del mondo, che non ci fanno sentire inadeguati, che scelgono di mostrare le vulnerabilità della vita, oppure chi ci racconta la scienza nella vita di tutti i giorni. Il modo per prendere i social dalla parte del manico è quello di costruire attivamente il nostro feed, per evitare confronti sbagliati e non essere chiamati a scrollare quando non ne abbiamo voglia.