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Dopo l'attacco israeliano cominciato nella notte del 13 giugno contro le infrastrutture e il personale del programma nucleare dell'Iran e contro i suoi vertici militari, l'operazione Rising Lion si è trasformata in una vera e propria guerra convenzionale tra Paesi non confinanti. Da giorni Tel Aviv e Teheran si attaccano impiegando missili balistici, droni e aerei; al momento il bilancio parziale è di quasi 250 morti in Iran e una trentina in Israele. Nel caso in cui, come strumento di pressione geopolitica, l’Iran decidesse di chiudere lo Stretto di Hormuz, uno dei passaggi marittimi più strategici al mondo, le conseguenze sarebbero immediate e globali: il prezzo del petrolio salirebbe vertiginosamente, i traffici energetici subirebbero gravi rallentamenti e si rischierebbe un'escalation militare internazionale.
Lo Stretto si estende per circa 560 chilometri e separa il Golfo Persico da quello dell'Oman: da lì passa circa il 30% del petrolio mondiale, con circa 3 mila navi che vi transitano ogni mese.
In 5 giorni di raid aerei e attacchi con droni, l'Esercito israeliano ha già ucciso il generale Gholamali Rashid e soprattutto Mohammad Bagheri, capo dell’esercito regolare iraniano e massima autorità del Paese dopo la Guida suprema, Ali Khamenei. Anche le Guardie della Rivoluzione islamica hanno perso il loro comandante in capo Hossein Salami e quello dell'intelligence Mohammad Kazemi. La Forza Quds (corpo di élite delle Guardie responsabile delle operazioni all'estero) ha perso il suo comandante Esmail Qaani. Al momento non è nota la posizione della Guida suprema Ali Khamenei, anche se si ipotizza che sia stato trasferito in una località sicura nella sua città natale, Mashhad.
Uno strumento di pressione per Teheran a Tel Aviv
Nel confronto tra Iran e Israele è evidente come al momento l'aviazione israeliana abbia ormai la supremazia aerea. Nella giornata di lunedì 16 giugno, alcuni portavoce delle Forze armate hanno dichiarato di avere ormai il totale controllo dello spazio aereo sopra Teheran. I motivi sono diversi: la scarsa risposta dovuta al confusione dei vertici militari dopo le perdite dell'alto comando in questi giorni, una flotta di aerei da combattimento obsoleta e un sistema di difese aeree che in larga parte sono state sabotate dai primi raid di Israele e da operazioni clandestine del Mossad, il servizio di intelligence israeliano per l'estero. Per questo motivo, nel confronto con Israele, Teheran potrebbe decidere di affiancare all'inefficace azione militare una mossa strategica che costringerebbe la comunità internazionale a fare pressione su Tel Aviv perché interrompa gli attacchi: chiudere lo Stretto di Hormuz al traffico commerciale.
Perché lo stretto di Hormuz è così importante per l'economia mondiale
Lo Stretto di Hormuz, situato tra l’Oman e l’Iran, collega il Golfo Persico al Golfo di Oman. Nel suo punto di minore larghezza, la costa dei due Paesi è separata da un tratto di mare di appena 34 chilometri. Tutta la costa nord del Golfo Persico appartiene all'Iran, mentre dall'altra sponda si trovano paesi come Kuwait, Arabia Saudita, Bahrein, Qatar e Oman, con diverse basi militari Usa.
Da questa strettoia transitano passano ogni giorno circa 20 milioni di barili, ossia un quinto dell’offerta mondiale di petrolio (specialmente quello di Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Qatar, Iraq e Iran), e più di un decimo del gas nella sua forma liquida, congelato e poi imbarcato nei porti di Qatar, Arabia Saudita e Iran.
Visto il passaggio di centinaia di navi ogni giorno, lo Stretto di Hormuz è organizzato in corsie di navigazione regolate da uno Schema di Separazione del Traffico per evitare collisioni tra le imbarcazioni. Ogni corsia, una in ingresso e una in uscita dallo Stretto, è larga 3 chilometri. Questo delicato equilibrio può essere messo in crisi molto facilmente, se l'Iran decidesse di chiudere lo Stretto con navi della Marina militare o attaccando imbarcazioni di Paesi considerati ostili. Nella giornata di lunedì 16 giugno, intanto, diverse imbarcazioni in transito nello Stretto hanno registrato un aumento delle interferenze elettromagnetiche contro le loro strumentazioni di bordo.
Le possibili ripercussioni
La ripercussione più immediata sarebbe l'aumento del prezzo del petrolio sui mercati finanziari. Secondo Jorge Leon, analista geopolitico di Rystad ed ex funzionario dell’Opec, questa eventualità potrebbe far crescere fino a 20 dollari il prezzo per barile. Questo scenario spaventa moltissimo l'Europa, che dopo l'inizio della guerra in Ucraina ha cercato di affrancarsi dalla sua storica dipendenza energetica verso la Russia, spesso scegliendo come nuovi fornitori proprio i Paesi del Golfo. Anche gli Stati Uniti e la Cina temono questa eventualità e una possibile militarizzazione dello Stretto di Hormuz. Washington ha già chiesto in diverse occasioni che Israele smetta di colpire le strutture iraniane per la produzione di petrolio e gas naturale, come già accaduto nella notte tra il 14 e il 15 giugno, quando sono stati attaccati diversi depositi di carburante a Teheran e il giacimento di gas South Pars, nella città portuale di Kangan. Anche la Cina, che acquista il 90% dell’export di greggio iraniano sotto sanzioni, ha richiesto che le petroliere siano libere di circolare nello Stretto di Hormuz.