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26 Ottobre 2025
7:00

Dentro il casco da MotoGP: un sandwich di ingegneria che protegge la testa a 300 km/h

Dai primi caschi in pelle a quelli moderni in fibra di carbonio, ogni elemento è pensato per proteggere e migliorare la performance. Dietro ogni grafica spettacolare si nascondono tecnologia, aerodinamica e una struttura multistrato per affrontare velocità estreme senza rischi.

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Dentro il casco da MotoGP: un sandwich di ingegneria che protegge la testa a 300 km/h
MotoGP
I caschi in MotoGP devono garantire massima protezione e stabilità. Credit: Box Repsol, CC BY 2.0 <https://creativecommons.org/licenses/by/2.0>, via Wikimedia Commons

Quando un pilota scende in pista, ogni gesto è calcolato al millimetro. Ma c’è un elemento che deve funzionare sempre, senza margine d’errore: il casco. Sotto le grafiche e le sponsorizzazioni, si nasconde un vero capolavoro di ingegneria. Oggi un casco usato in MotoGP, omologato FIM (Federazione Internazionale di Motociclismo), è capace di resistere a impatti devastanti, pesare meno di un chilo e mezzo e fendere l’aria a oltre 350 km/h, ma non è stato sempre così. Dai primi copricapi in pelle ai moderni gusci in fibra di carbonio, la sua evoluzione racconta decenni di innovazioni nate per salvare vite.

Ogni strato ha un ruolo preciso: la calotta esterna distribuisce l’urto, gli strati intermedi assorbono l’energia, l’imbottitura interna si deforma per ridurre la forza residua sulla testa. Un equilibrio perfetto tra scienza, sicurezza e velocità, che fa del casco uno dei simboli più affascinanti e tecnologici del motorsport.

La storia dei caschi di Moto GP: dalla pelle alla fibra di carbonio

Negli anni ’30 e ’40, i piloti correvano con semplici caschi in pelle imbottiti, privi di visiera: più simili a cappellini da aviatore che a veri dispositivi di sicurezza. All’epoca, la protezione era una questione di “fortuna” più che di tecnologia.

Il primo vero passo in avanti arriva nel 1953, quando Charles F. Lombard, ricercatore dell’Aeronautica statunitense, brevetta un casco con guscio esterno rigido e strato interno assorbente. L’idea nasce dagli studi sui crash test dei piloti militari e diventa la base dei caschi moderni: una struttura a “sandwich” capace di dissipare l’energia dell’urto invece di trasmetterla alla testa. Solo un anno dopo, nel 1954, l’italiana AGV introduce il primo casco in vetroresina, un materiale leggero e modellabile che rivoluziona il concetto stesso di protezione. È il primo casco davvero pensato per assorbire l’impatto e non solo per coprire la testa. Da lì in poi, la corsa non è stata solo in pista, ma anche nei laboratori di materiali.

Negli anni ’60, un’altra pietra miliare arriva dagli Stati Uniti: il Bell Star, primo casco integrale prodotto in serie. Diventa un simbolo di sicurezza per motociclisti e piloti: protegge anche il mento e riduce in modo drastico i traumi facciali. È un modello che fa scuola e che apre la strada ai caschi usati ancora oggi in MotoGP. Negli anni ’70, aziende come AGV e Shoei iniziano a sviluppare caschi su misura per i campioni del momento. L’AGV X3000 di Giacomo Agostini segna un punto di svolta: la sua forma più compatta e il profilo anteriore ribassato migliorano l’aerodinamica e la visibilità quando il pilota è rannicchiato sul serbatoio.

Negli anni ’80, entra in scena il Kevlar, la stessa fibra usata nei giubbotti antiproiettile. Rigido, leggero e resistente alla trazione, viene combinato con fibra di vetro per ottenere una struttura più sicura e leggera. A partire dagli anni ’90 si apre l’epoca dei compositi ibridi: fibra di vetro, Kevlar e carbonio vengono stratificati insieme per bilanciare rigidità, assorbimento e peso.

Oggi, i caschi di MotoGP rappresentano l’apice di questa evoluzione. Le calotte sono realizzate con fibra di carbonio intrecciato 3K o 12K, dove la sigla indica il numero di filamenti contenuti in ogni fascio di fibra (3000 o 12000). Queste fibre vengono poi rinforzate con aramidi – materiali come il Kevlar, estremamente resistenti agli urti e al calore – e legate tra loro da resine epossidiche, che funzionano come una colla strutturale, distribuendo uniformemente le forze d’impatto e mantenendo rigida la forma del casco anche sotto stress. Il risultato è una “corazza leggera”: capace di assorbire e deviare l’energia dell’urto, senza pesare più di un chilo e mezzo sulla testa del pilota.

Giacomo Agostini
Giacomo Agostini nel 1969, con uno dei classici caschi aperti usati prima dell’arrivo dei modelli integrali. Credit: Anefo, CC0, via Wikimedia Commons

Dentro il casco: un sandwich di ingegneria L'ingegneria dei caschi dei piloti Moto GP oggi

Un casco da MotoGP è una struttura multilayer, costruita come un sandwich dove ogni ingrediente ha una funzione:

  • Calotta esterna: è la corazza. In fibra di carbonio o materiali compositi multistrato, deve resistere a impatti e penetrazioni.
  • Calotta interna (EPS): schiuma a densità variabile che assorbe e distribuisce l’energia dell’urto. Migliore è la distribuzione, più è ridotta la decelerazione subita dal cranio.
  • Imbottiture e rivestimenti: tessuti termo-regolanti, antibatterici e idrofobici.
  • Visiera: in policarbonato ottico, antigraffio e con trattamenti antiappannamento. Ogni visiera deve resistere a proiettili d’acciaio da 6 mm sparati a 250 km/h senza incrinarsi.
  • Pellicole tear-off: sottili film trasparenti applicati sopra la visiera. Durante la gara, il pilota può strapparli via uno a uno per rimuovere sporco e insetti — come se “ricaricasse” una visiera nuova in corsa. Ogni casco ne può montare fino a 6 sovrapposte.
casco moto gp
Rappresentazione schematica di com’è fatto un casco da Moto Gp. Generata con AI.

Il casco non deve solo proteggere: deve anche essere stabile e aerodinamico. Per questo sono state sviluppate forme moderne con spoiler posteriori e canalizzazioni d’aria, al fine di stabilizzare la testa ad alta velocità, migliorare la ventilazione e ridurre l’appannamento. A 300 km/h, basta una turbolenza per far vibrare la testa e compromettere la visione. Per questo i caschi da MotoGP vengono testati in galleria del vento, spesso insieme alla carena della moto e alla postura del pilota.

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Valentino Rossi ha contribuito allo sviluppo di una visiera più ampia per AGV. Credit: Morten Jensen, CC BY 2.0 <https://creativecommons.org/licenses/by/2.0>, via Wikimedia Commons

Curiosità sui caschi dei piloti di Moto GP: i crash test

Ogni casco da MotoGP deve superare test molto più severi di quelli stradali. La FIM (Federazione Internazionale di Motociclismo) lo fa cadere su incudini d’acciaio per misurare l’assorbimento d’urto, prova la resistenza alla penetrazione e sottopone il cinturino a forti trazioni. Negli esami più moderni, il casco viene colpito in modo obliquo per valutare eventuali traumi dovuti alla compressione del cervello nella scatola cranica— tra le principali cause di lesioni interne — e testato in galleria del vento per verificarne la stabilità. Se anche un solo valore supera la soglia, il casco viene bocciato.

Ci sono diverse curiosità sui caschi da Moto GP, eccone alcune:

  • Valentino Rossi ha contribuito allo sviluppo di numerosi modelli AGV, chiedendo una visiera più ampia per migliorare la visibilità laterale in piega — un dettaglio tecnico diventato oggi standard in MotoGP.
  • Un casco troppo pesante (oltre 1,4 kg) può aumentare la fatica del collo e rallentare i riflessi: a 300 km/h, ogni grammo in più si fa sentire.
  • Oltre alla protezione, il casco è anche un simbolo personale. Rossi lo ha trasformato in una vera opera d’arte, un’estensione della sua personalità e del suo stile unico in pista e fuori.
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