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La successione al potere di Vladimir Putin con la scelta di un erede, quando avverrà, rappresenterà senza dubbio uno spartiacque nella storia della Russia e del mondo intero dato che, in veste alternativamente prima di primo ministro ora di presidente, l'attuale inquilino del Cremlino ha de facto retto ininterrottamente le sorti della Russia dal lontano 1999. Prendendo in esame la storia della Russia dalla fine della monarchia imperiale (1917) a oggi, e nell'eventualità che riesca effettivamente a portare a termine il suo attuale mandato (la cui scadenza è fissata per il 2030) Putin avrà governato il più esteso paese del mondo per ben 31 anni, superando persino il record di 29 anni ancora oggi detenuto da Stalin, leader dell'URSS dal 1924 al 1953, anno della sua morte. L'aver occupato il vertice del potere per così tanto tempo ha dato modo a Putin di plasmare la Russia a sua immagine e somiglianza, indirizzandola sul suo attuale cammino politico e storico. Non è quindi un mistero che vi sia la necessità di indagare chi potrebbe essere dopo di lui l'uomo che segnerà la nuova stagione storica della Russia e, a oggi, i nomi più ricorrenti dei potenziali “papabili” sono sostanzialmente quattro tra cui Aleksey Dyumin – l'erede designato – e Mikhail Mishustin.
Aleksey Dyumin: l'erede designato

Nato a Kursk nel 1972 e cresciuto in una famiglia di militari, oltre ad essere stato per 22 anni un militare egli stesso prima di approdare alla politica, Aleksey Gennadyevich Dyumin è il più giovane tra tutti i candidati più in vista a diventare il “nuovo Zar di Russia”. È anche il meno noto sia a livello interno che a livello internazionale, ma è anche quello che negli ultimi 10 anni ha goduto delle maggiori tutele da parte dello stesso Putin che pare ne stia personalmente favorendo la carriera ed il processo di “acclimatamento” nelle stanze del potere russo.
Dopo aver lasciato la vita militare, nel 2016, Dyumin è stato nominato governatore dell'oblast' di Tula, regione situata non lontano da Mosca e sede di alcune delle più importanti compagnie e realtà produttive che fanno parte del complesso militar-industriale russo. Nel corso dell'attuale Guerra Russo-Ucraina, l'oblast' di Tula ha svolto un ruolo assai importante come “retrovia” per le Forze Armate Russe impegnate nel conflitto e proprio lì si è conclusa la breve insurrezione della PMSC Wagner guidata da Evgeniy Prigozhin, evento nel corso del quale pare lo stesso Dyumin abbia svolto un ruolo importante nel disinnescare. Inoltre, ha avuto una parte di primo piano nel coordinamento gli sforzi russi volti a sloggiare le forze ucraine che ad agosto 2024 avevano occupato un saliente nell'oblast' di Kursk.
A oggi è ancora presto per poter dire come e quando avverrà la prossima successione al Cremlino ma, se le cose dovessero andare secondo i piani, ad oggi ci sono pochi dubbi che Dyumin, pupillo del presidente appoggiato dalle Forze Armate e dagli apparati di sicurezza dello Stato sarà il nuovo leader indiscusso della Russia per gli anni o i decenni a venire.
Dmitry Medvedev: il presidente decaduto

Nato nel 1965 a San Pietroburgo, Dmitry Anatolyevich Medvedev non è certo un neofita della politica russa. Con alle spalle una lunga esperienza nelle alte sfere della politica moscovita, tanto da diventare egli stesso presidente, tra il 2008 ed il 2012, e poi primo ministro tra il 2012 ed il 2020, la sua presidenza, al netto della breve ma violenta guerra che oppose la Russia alla Georgia per il possesso delle regioni dell'Abkhazia e dell'Ossezia del Sud nell'estate del 2008, coincise con il periodo di massima distensione tra la Russia e l'Occidente e di benessere economico per la popolazione russa, oltre che dell'ascesa della sua classe media.
Dopo il ritorno formale di Putin alla presidenza nel 2012, Medvedev, pur senza scomparire, è stato progressivamente sempre più relegato ai margini del potere decisionale vedendo la sua influenza sempre più erosa dall'inarrestabile ascesa prima dei “siloviki” (gli uomini dell'intelligence e degli apparati di sicurezza) e poi dei militari che, specialmente dal 2014 in poi, sono diventati un nuovo ineludibile centro di potere all'interno dell'élite russa.
Dall'inizio della Guerra Russo-Ucraina Medvedev si è distinto particolarmente per l'utilizzo di una retorica sempre più aggressiva nei confronti sia dell'Occidente e dell'Ucraina che dell'opposizione interna collocandosi inequivocabilmente nel campo dei “falchi”. Molti osservatori hanno interpretato questa sua scelta come un tentativo di ingraziarsi le frange più estreme tanto dell'opinione pubblica quanto delle forze armate e di sicurezza che negli anni passati lo avevano più volte apertamente accusato di essere un “occidentalista” quando non un vero e proprio “agente della NATO in incognito”. In ogni caso, è difficile che Medvedev possa ambire un giorno a succedere a Putin dato che la sua reputazione agli occhi dell'inquilino del Cremlino, dell'élite e di gran parte della popolazione si è incrinata da tempo.
Mikhail Mishustin: l'eccellente amministratore

Nato nel 1966 nei pressi di Mosca in una famiglia di origini ebraiche, Mikhail Vladimirovich Mishustin è l'attuale primo ministro della Russia ed è un consumato tecnocrate, avendo ricoperto numerose posizioni all'interno della burocrazia di Stato nel corso della sua pluridecennale carriera.
Ha guadagnato notorietà internazionale a partire dal 2020 quando ha sostituito Medvedev nella carica di primo ministro, lasciando il segno sia nella gestione della pandemia del Covid-19 sia nel supportare gli sforzi bellici della Russia, soprattutto dal lato economico, nel corso della attuale Guerra Russo-Ucraina, ma i russi lo ricordano soprattutto come direttore del Servizio Federale di Tassazione. Nel corso del suo direttorato (2010-2020), la percentuale di imposta sul valore aggiunto (VAT) non riscossa dall'erario pubblico è calata dal 20% all'1%, un risultato eccezionale per un paese come la Russia, ma che è stato ottenuto facendo ricorso a strumenti coercitivi che lo hanno reso inviso agli occhi della gente, in particolare della nascente classe imprenditoriale.
Sebbene diversi osservatori lo abbiano indicato come un potenziale successore di Putin, anche nel suo caso le possibilità sono risicate dato che, nonostante le indubbie capacità di amministratore ed organizzatore, Mishustin è privo di carisma e viene visto tutt'al più come un “burocrate di alto livello” che come il “leader di un paese”. Inoltre non è chiaro quanto profondi siano i suoi addentellati tra i militari e i siloviki. Da ultimo, le stesse origini ebraiche giocano a suo sfavore dato che, nonostante vi siano numerosi ebrei in posizioni apicali ai vertici della Federazione Russa, gli stereotipi antisemiti tra i russi sono ancora molto diffusi e mai nessun ebreo ha mai guidato il paese in alcuna fase della sua millenaria storia.
Sergey Sobianin: l'uomo degli oligarchi

Nato nel 1958, Sergey Semyonovich Sobyanin, è più vecchio sia di Medvedev che di Mishustin e ha solamente 6 anni in meno di Putin. Inoltre, al contrario sia del presidente che degli altri due “potenziali candidati” sopra menzionati, che sono tutti di provenienza pietroburghese o moscovita, Sobyanin non è “nato con il pedigree”, essendo originario del Circondario Autonomo dei Khanti-Mansi-Jugra (Sobyanin è di etnia mansi e nacque nel piccolo villaggio di Nyaksimvol). Tuttavia anch'egli è un politico di lungo corso e si è guadagnato la fama di eccellente amministratore già nel periodo compreso tra il 2001 ed il 2005 quando fu governatore dell'oblast' di Tymen. Cooptato nel gotha della politica nazionale, Sobyanin ha avuto la sua definitiva consacrazione nel 2010 quando è diventato sindaco di Mosca, carica che ricopre tutt'ora.
Nel corso del tempo Sobyanin è riuscito a forgiare importanti relazioni con il mondo degli oligarchi russi, a cominciare da quelli che, come lui, sono di origine siberiana, per finire con quelli orbitanti attorno alla capitale russa. Città da 17 milioni di abitanti (ma se si contano anche coloro che vivono nell'intera conurbazione e ogni giorno vi si trasferiscono per lavorarci in pianta stabile oppure dipendono in una maniera o nell'altra dai servizi da essa erogati, si arriva a 40 milioni), Mosca supera per dimensione la popolazione totale di numerosi paesi del mondo e da sola produce circa la metà del PIL della Federazione Russa. Amministrarla in maniera efficace ha sempre rappresentato per i politici russi di ieri e di oggi una formidabile carta da giocare per fare il salto verso l'alto, anche se è pur vero che, ad oggi, nessun “sindaco della capitale” sia ancora diventato leader del paese.
Nonostante oggi Sobyanin possa essere considerato “l'uomo degli oligarchi”, è assai difficile che egli possa davvero ambire a sedere sul supremo scranno del Cremlino. Contro di lui gioca il fatto di essere già ora “troppo vecchio” per garantire niente di più di un breve “interregno”. Inoltre, anche se nell'immaginario collettivo di noi “occidentali” gli oligarchi russi rappresentino la quintessenza dello strapotere della classe elitaria del “nuovo Impero Russo”, in realtà la loro stella è già calante da molto tempo, sin dalla fine dell'Era Eltsin e l'inizio dell'Era Putin. Nonostante abbiano a disposizione ricchezze e asset produttivi di tutto rispetto, gli oligarchi oggi detengono un potere politico solo residuale, avendo dovuto cedere il passo ai siloviki e ai militari. Le possibilità che possano imporre il loro uomo al Cremlino sono perciò molto basse.