Il 19 novembre 2024, a mille giorni dall'inizio del conflitto tra Russia e Ucraina, Mosca ha rivisto la propria dottrina di guerra nucleare, ampliando le circostanze in cui potrebbe ricorrere all'uso di armi atomiche. Allo stesso tempo, il presidente Putin ha lanciato un monito all'Occidente, con particolare riferimento agli Stati Uniti, avvertendoli di non intensificare il loro coinvolgimento nella crisi ucraina proprio per evitare lo scoppio di un conflitto nucleare. La proposta per un ulteriore aggiornamento delle linee guida per l'impiego delle armi atomiche da parte della Federazione Russa era stata presentata per la prima volta, sotto forma di bozza di consultazione, nel settembre di quest'anno, ma solo ora Putin ha deciso di controfirmare l'atto definitivo.
Come Putin ha cambiato la dottrina nucleare russa e il ruolo della guerra tra Russia e Ucraina
Nonostante la dottrina militare della postura nucleare russa sia stata rivisitata varie volte nel corso del tempo e recentemente siano trapelati alcuni dei possibili obiettivi nucleari in Europa, il vero cambiamento radicale di tutti i paradigmi strategici è avvenuto in occasione dell'attuale Guerra Russo-Ucraina. Complici anche una serie di rovesci militari sofferti nella prima fase del conflitto, i russi hanno più volte minacciato il ricorso all'arma nucleare nel caso le sconfitte tattiche che le loro forze avevano subito soprattutto nelle aree situate attorno a Kiev e Kharkov avessero creato le premesse per un collasso strategico del Paese con annessi rischi concreti per la stabilità e la stessa integrità territoriale della Russia.
Adesso la situazione sul campo è cambiata radicalmente e i russi stanno prendendo il sopravvento nella guerra convenzionale, eppure il presidente Putin ha colto l'occasione, nel corso dell'ultimissima revisione del documento strategico, avvenuta il 19 di novembre, di rimarcare la volontà da parte di Mosca di fare ricorso all'atomica se minacciata da un intervento diretto dell'Occidente nella guerra.
Rilevante il fatto che la leadership russa abbia deciso di estendere le stesse garanzie di “salvaguardia nucleare” anche alla vicina Bielorussia (tanto che ormai si può parlare di un vero e proprio “nuclear sharing”), formalmente non coinvolta nella guerra ma de facto schierata a fianco dell'alleato russo dal primo giorno dell'invasione. Infine, Putin ha anche dichiarato (e qui il distacco dalle linee guida dell'era Brezhnev è totale) che la Russia è pronta a contemplare l'attacco con armi nucleari anche contro Stati non-nucleari i quali però siano attivamente supportati nei loro sforzi bellici da una o più potenze nucleari.
Le origini dell'arma nucleare sovietica
L'URSS (Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche) divenne ufficialmente una potenza nucleare il 29 agosto del 1949 quando la prima bomba atomica con la “stella rossa” (nome in codice: RDS-1, ma più comunemente nota con il nomignolo di “Первая молния ”-“Il primo fulmine”) venne fatta esplodere nel poligono militare di Semipalatinsk, nel Kazakistan sovietico.
Al culmine della corsa agli armamenti nucleari, sul finire della Guerra Fredda, l'Unione Sovietica vantava il possesso di un mastodonitico arsenale assommante a non meno di 45.000 testate nucleari di tutti i tipi e le dimensioni (tra cui la famigerata Bomba Zar), superando di gran lunga (almeno dal punto di vista meramente numerico) anche gli Stati Uniti d'America.
Nel corso dell'era del confronto-scontro tra le due superpotenze, le dottrine d'impiego delle armi nucleari sovietiche furono ridefinite e rimaneggiate più e più volte, ma fu solo durante il lungo periodo di leadership di Leonid Ilyich Brezhnev che l'URSS formulò la sua dottrina definitiva per l'impiego dell'arsenale nucleare.
La fine della Guerra Fredda e le dottrine nucleari Sergeyev e Ivanov
La fine della Guerra Fredda e il successivo marasma geopolitico che colpì i Paesi situati ad est della cosiddetta “Cortina di Ferro”, non modificarono lo status di potenza nucleare della neonata Federazione Russa (lo stato “successore” dell'Unione Sovietica) anche se, in base ai trattati sulla limitazione degli armamenti strategici e a mere questioni di bilancio, essa dovette accettare una drastica riduzione dei propri armamenti nucleari.
Per un curioso gioco del destino però, nonostante fosse oggetto di una riduzione dal punto di vista numerico, l'arsenale nucleare russo vide una profonda rivalutazione del proprio ruolo come strumento di garanzia della sicurezza nazionale della Russia. La promulgazione prima della “dottrina Sergeyev” e, successivamente, della “dottrina Ivanov”, così chiamate in onore dei ministri della difesa Igor Dmitriyevich Sergeyev e Sergey Borisovich Ivanov, nei tardi anni Novanta e nei primi anni Duemila fissarono nero su bianco una nuova realtà nella quale, per compensare alla debolezza delle forze convenzionali russe ormai oggettivamente non più in grado di adempiere alla loro missione di garantire la sicurezza della Russia nel caso di un conflitto contro un avversario alla pari (come gli USA o la Cina), le forze nucleari strategiche assistevano a un aumento esponenziale degli scenari di impiego (anche a livello tattico) proprio per colmare questa debolezza.