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19 Maggio 2025
16:20

Ogni essere vivente emanerebbe un’“aura” di biofotoni che scompare poi alla morte: il nuovo studio sull’UPE

Un nuovo studio ha scoperto che le cellule vive emetterebero una flebilissima aura, chiamata “emissione fotonica ultradebole”, prodotta spontaneamente dalle cellule e che scompare dopo la morte. Per rilevare questi “biofotoni” i ricercatori hanno usato strumenti in grado di identificare anche un singolo fotone.

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Ogni essere vivente emanerebbe un’“aura” di biofotoni che scompare poi alla morte: il nuovo studio sull’UPE
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Foglie di Heptapleurum arboricola con lesioni per monitorare l’emissione di radiazione ultradebole in condizioni di stress. Credit: Salari et al. (2025)

Tutti gli esseri viventi emetterebbero una debolissima "aura luminosa" che scompare dopo la morte. Leggere questa frase potrebbe far storcere il naso e sembrare pseudoscienza, ma un nuovo studio pubblicato su Journal of Physical Chemistry Letters da ricercatori dell'Università di Calgary, in Canada, ha osservato nei topi e nelle piante l'emissione di una radiazione elettromagnetica troppo debole per essere vista a occhio nudo (appena poche centinaia di fotoni al secondo per centimetro quadrato) con lunghezze d'onda comprese tra 200 e 1000 nanometri (intervallo che comprende anche lo spettro della luce visibile). Questo debolissimo flusso di biofotoni – osservato con speciali strumenti capaci di identificare anche solo un singolo fotone – è dovuto a reazioni metaboliche che avvengono nelle cellule anche in condizioni fisiologiche, ed è chiamata emissione fotonica ultra-debole (UPE, Ultraweak Photon Emission).

Lo studio dimostra l'emissione dei biofotoni durante la vita, talmente debole che per decenni era stata accolta con scetticismo dalla comunità scientifica. Dimostra inoltre che l'UPE scompare dopo la morte e che cambia a seconda delle condizioni di stress, almeno nelle foglie di una pianta.

Cos'ha scoperto il nuovo studio sui biofotoni

A differenza della bioluminescenza, l'emissione di luce visibile da parte di organismi viventi tramite reazioni chimiche che convertono energia chimica in luce, l'UPE riguarda un segnale debolissimo di pochi fotoni al secondo per centimetro quadrato, una quantità impercettibile occhio nudo. Per questa ragione i ricercatori dell'Università di Calagary hanno innanzitutto progettato delle camere oscure in grado di eliminare l'interferenza della luce dell'ambiente circostante e hanno utilizzato sensibilissime telecamere digitali capaci di rilevare anche un singolo fotone emesso.

Le misurazioni sono state effettuate su 4 topi mantenuti per 2 ore a temperatura costante (per escludere interferenze da parte del calore) in assenza di altri fonti luminose e hanno rivelato una significativa differenza tra l'emissione di biofotoni nei topi vivi e nei topi dopo la morte. I topi vivi a 37 °C hanno mostrato il rilascio di fotoni da tutto il corpo, mentre subito dopo il decesso l'emissione di questa luce è diminuita bruscamente. L'ipotesi di Dan Oblak, fisico che ha condotto lo studio, è che la cessazione dell'emissione sia dovuta dall'interruzione del flusso sanguigno cruciale per il metabolismo delle cellule.

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Topi glabri esposti per 2 ore a temperatura controllata e in assenza di luce da fonti esterne per monitorare l’emissione di biofotoni. Credit: Salari et al. (2025)

I ricercatori hanno scoperto anche che l'intensità dell'UPE può variare a seconda delle diverse condizioni fisiologiche e patologiche, per esempio stress termico, chimico e meccanico. Gli autori dello studio non si sono limitati a valutare le differenze prima e dopo la morte ma hanno analizzato anche le correlazioni tra ultraweak photon emission e condizioni di stress. Le foglie della pianta Heptapleurum arboricola, protagoniste di questa seconda parte dello studio, sono state esposte a un aumento di temperatura e danneggiate con delle incisioni per monitorare i cambiamenti del bagliore luminoso. Le fotografie con telecamere EMCCD (Electron-Multiplying Charge-Coupled Device) e le analisi hanno mostrato un aumento dell'intensità dell'emissione di biofotoni in tutte le situazioni di stress a cui la pianta è stata sottoposta, compreso il contatto con sostanze chimiche.

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Foglie di Heptapleurum arboricola esposte a temperature crescenti. Il grafico mostra l’aumento dell’UPE in relazione all’aumento di temperatura. Credit: Salari et al. (2025)

L'origine dei biofotoni e la loro importanza nella ricerca medica

Come riportato da Esmaeilpour et al. nell'articolo An Experimental Investigation of Ultraweak Photon Emission from Adult Murine Neural Stem Cells pubblicato su Nature Scientific Reports l'origine dei biofotoni è da ricercare nelle reazioni metaboliche che avvengono costantemente nelle cellule e, in particolare, nella formazione delle specie reattive dell'ossigeno. I ROS (Reactive Oxygen Species) sono composti chimici che si formano a seguito del metabolismo cellulare e la loro quantità può variare a seconda dello stato di stress della cellula. Vengono prodotti soprattutto dai mitocondri, gli organelli cellulari responsabili della produzione di energia.

Questi dati, uniti alle differenze di UPE pre e post mortem, possono indicare un ruolo biologico e funzionale dell'UPE nella vitalità e nelle risposte allo stress aprendo alla possibilità di utilizzare l'imaging UPE come tecnica non invasiva in diagnostica e ricerca medica. Lo scetticismo sull'esistenza di questo bagliore è durato a lungo a causa dei limiti tecnologici che impedivano una rilevazione accurata e la sua distinzione da altre fonti di luce o calore. Con l'avvento di strumenti più sensibili, la sua individuazione sembra essere diventata più accessibile, sebbene siano necessari ulteriori studi per chiarirne l'origine e la funzione biologica.

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