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17 Settembre 2025
17:30

Perché non possiamo esporci al sole dopo aver assunto farmaci specifici?

Alcuni farmaci, cosmetici e perfino profumi possono trasformare il sole in un nemico invisibile. È la fotosensibilità: una reazione esagerata della pelle ai raggi UVA che provoca eritemi, vesciche o dermatiti. Un fenomeno in crescita, che richiede protezione solare costante e attenzione alle sostanze che usiamo ogni giorno.

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Perché non possiamo esporci al sole dopo aver assunto farmaci specifici?
sole farmaci fotosensibilità

Cosa hanno in comune alcuni farmaci, cosmetici e profumi con il sole? Messi insieme, potrebbero causarvi una fastidiosa e dolorosa eruzione cutanea: si tratta di fotosensibilità, una reazione cutanea spropositata all’esposizione ai raggi ultravioletti (in particolare, gli UVA). Può essere indotta da diversi farmaci, come antibiotici e farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS), o da molecole presenti in creme e profumi: assorbono energia dagli UV e la scaricano aggredendo molecole biologiche e altri componenti cellulari causando danni alla cute. La fotosensibilità da farmaci può avvenire con due meccanismi diversi: la fototossicità, più immediata, e la fotoallergia, che attiva il sistema immunitario ed è quindi ritardata. I sintomi nel primo caso ricordano un eritema solare, con dolore, vesciche e gonfiore, mentre nel secondo caso sono prurito e desquamazione. Per prevenirle è sempre fondamentale proteggersi utilizzando protezione solari come creme ad ampio spettro (UVA e UVB) e protezioni fisiche come cappelli e indumenti coprenti.

Fotosensibile, fotosensibilizzante o fotosensibilizzazione?

Innanzitutto è bene chiarire un po’ di terminologia. Con il termine fotosensibilità cutanea, si intende una reazione cutanea anomala ed esagerata in risposta all’esposizione solare, in particolare alla radiazione ultravioletta (UV). Può essere idiopatica, cioè non se ne conosce la causa scatenante; legata ad alcune patologie come il lupus eritematoso; o causata da alcune sostanze. In quel caso parliamo di fotosensibilità chimica o fotosensibilizzazione, e se causata da un farmaco si parla in maniera più specifica di Drug Induced Photosensitivity, DIP, una reazione indotta dall’interazione tra farmaco e radiazione UV, in particolare UVA.

Il termine fotosensibilizzante si riferisce infatti a una sostanza che, ingerita o a contatto con la pelle, può interagire con la luce solare e causare una reazione di fotosensibilità cutanea.

Fotosensibile, oltre a definire un persona con elevata fotosensibilità cutanea, si utilizza anche per descrivere molecole che si rompono o degradano se colpite dalle radiazioni solari. È bene chiarire che non sempre una molecola fotosensibile, è anche fotosensibilizzante: un esempio è la vitamina C, che si degrada se esposta ai raggi UV (quindi è fotosensibile), ma non danneggia la pelle (non ha effetto fotosensibilizzante), anzi secondo alcuni studi può contribuire a proteggerla dagli effetti dannosi degli ultravioletti.

Il meccanismo d’azione della fotosensibilità e i sintomi

La fotosensibilità da farmaci può avvenire con due meccanismi diversi, la fototossicità e la fotoallergia, che condividono lo stadio iniziale della reazione di fotosensibilità (la luce solare modifica la molecola di farmaco) per poi divergere nel meccanismo patologico.

fotosensibilizzazione schema
La molecole fotosensibilizzante assorbe la radiazione UV, passando allo stato eccitato e generando un processo di fototossicità o di fotoallergia

Fototossicità

La molecola assorbe energia dagli UV, ritrovandosi in uno stato eccitato, chiamato “tripletta”. Questa situazione però non è sostenibile: nello stato di tripletta la molecola è energeticamente instabile e deve assolutamente “sfogarsi”, rilasciando questa energia accumulata: per poter tornare al suo stato originale, la molecola cede calore, crea legami o scambia elettroni e idrogeno. Questo porta alla formazione di radicali liberi dell’ossigeno (ROS), come anione superossido, perossido di idrogeno, radicale ossidrilico e ossigeno singoletto che causano stress ossidativo e attaccano le strutture cellulari, dalla membrana al DNA. In realtà, anche la molecola nello stato eccitato può attaccare direttamente le strutture cellulari, senza coinvolgere la formazione di ROS.

I sintomi sono quelli di un eritema solare: vesciche, gonfiore, dolore e un eritema esteso, che però interessa solo le aree esposte, per esempio solo il viso, lasciando illese parti del corpo coperte. È una reazione rapidissima, che compare nel giro di poche ore (dai 30 minuti alle 24 ore) dall’esposizione ed è dose-dipendente: più farmaco abbiamo preso e più lunga è stata l’esposizione agli UV, più grave sarà la reazione.

eritema solare
La fototossicità assomiglia a un eritema solare e compare solo nelle zone esposte alle radiazioni UV

Fotoallergia

Sebbene più rara della fototossicità, è anche più subdola: l’interazione con la radiazione UV modifica la struttura del farmaco, facendolo diventare un aptene capace di legarsi a proteine cutanee formando un fotoantigene. Questo complesso viene riconosciuto dal sistema immunitario e attiva i linfociti T: a una seconda esposizione, il sistema immunitario riconosce il fotoantigene come “nemico” e lo attacca, inducendo una serie di reazioni che portano all’infiammazione cutanea.

I sintomi ricordano più una dermatite con prurito, desquamazione della pelle ed eritema, ma compaiono solo dopo la seconda esposizione e possono comparire su tutto il corpo, anche in zone coperte.

Quali molecole possono causare fotosensibilità? 

Farmaci, sostanze contenute nei cosmetici, dai dopobarba ai profumi fino alle creme: quello che accomuna queste sostanze fotosensibilizzanti è la struttura chimica. Spesso, infatti, sono composti aromatici policiclici, ricchi di eteroatomi (come azoto e ossigeno) all’interno dei cicli ed elementi alogeni, come cloro, bromo o fluoro, e infine con gruppi in grado di attirare elettroni: in questo modo possono assorbire l’energia delle radiazioni UV e “palleggiarla” all’interno della molecola.

clorpromazina
La clorpromazina è un esempio perfetto di fotosensibilizzante: è formata da tre cicli aromatici, contiene atomi di azoto e zolfo all’interno dei cicli, e un atomo di cloro come sostituente.

La lista di sostanze fotosensibilizzanti è lunga e trasversale e riguarda sia prodotti topici applicati sulla cute, che assunti per via orale. Si va dagli antibiotici, in particolare tetracicline, fluorochinoloni, agli antinfiammatori non steroidei (FANS), come il ketoprofene e l’ibuprofene. Anche farmaci cardiologici come alcuni diuretici tiazidici e l’amoidarone o antidepressivi come clorpromazina, sertralina e alprazolam, fino ad agenti antitumorali come il paclitaxel.

Ma i farmaci non sono gli unici a causare fotosensibilità: all’appello vanno aggiunte sostanze presenti in cosmetici e profumi, come l’ossibenzone, il retinolo e alcuni suoi derivati, e le piante contenenti furocumarine, come lime, sedano e prezzemolo.

Incidenza e prevenzione delle DIP

La fotosensibilità indotta da farmaci rappresenta circa l’8% delle reazioni avverse cutanee scatenate dai farmaci, con una tendenza in aumento. Secondo alcuni studi, questa maggiore frequenza è legata a un’eccessiva esposizione alla luce solare, senza le dovute precauzioni. Non riguarda però solo la tintarella che prendiamo stesi al mare: tutte le fonti di radiazioni UV possono causare fotosensibilizzazione. Attenzione quindi anche ai lettini solari, ai laser UV a diodo e… alla vostra macchina! Ebbene sì, la fotosensibilità chimica è causata maggiormente dai raggi UVA, che non vengono filtrati dai vetri delle macchine o delle finestre di casa nostra, rendendoci quindi esposti ai rischi della fotosensibilità chimica anche dentro le mura di casa o nella nostra vettura.

Oggi, tra le prove di sicurezza di un farmaco sono incluse anche prove di fotosensibilizzazione, secondo le linee guida sia dell’Agenzia Europea dei Medicinali (EMA) che della Food and Drug Administration (FDA), per ridurre al minimo il rischio di reazioni avverse correlate.

Nel nostro piccolo, è fondamentale proteggerci con creme solari ad ampio spettro o con schermi fisici come cappelli o indumenti anti UV.

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