Il fatto che la nostra galassia, la Via Lattea sia una delle innumerevoli galassie nell'universo, può sembrare scontato, ma è qualcosa che conosciamo soltanto da un secolo. Fino agli anni '20 del Novecento, infatti, infuriò il cosiddetto Grande Dibattito, un acceso scontro tra due scuole di pensiero opposte sulla natura delle “nebulose” – così erano chiamate all'epoca – come quella di Andromeda e di conseguenza sulle dimensioni dell'universo osservabile. Alcuni astronomi (capeggiati da Harlow Shapley) sostenevano che fossero nubi di gas interne alla nostra galassia, che dunque coincideva con l'intero universo, mentre altri (su tutti Heber Curtis) erano convinti che fossero altre galassie, cioè “isole di stelle” distinte dalla nostra. Il Grande Dibattito terminò con un'osservazione di Edwin Hubble della “nebulosa” di Andromeda datata 6 ottobre 1923, da cui il grande astronomo statunitense riuscì a calcolare – tramite un metodo messo a punto dall'astronoma Henrietta Leavitt – la distanza tramite la variazione di luminosità di una stella appartenente al gruppo delle cosiddette variabili cefeidi. Il fatto che la distanza di questo astro fosse di molto superiore alle dimensioni della Via Lattea fu la prova schiacciante che Andromeda era una galassia, così come i miliardi di altre galassie che possiamo osservare con i nostri telescopi.
Le origini del Grande Dibattito: il mistero delle nebulose
Gli oggetti che più attiravano l’attenzione degli astronomi all’inizio del Novecento erano le cosiddette “nebulose”. Già alla fine del Settecento l’astronomo inglese William Herschel, insieme con la sorella Caroline, si era lanciato nell’impresa titanica di compilare un catalogo con tutte le stelle visibili della Via Lattea, che al tempo si credeva coincidesse con l’intero universo. Oltre alle stelle, Herschel si trovò di fronte a circa 2500 oggetti che apparivano come piccole nubi luminose: le nebulose. Alcune delle nebulose, come quella di Andromeda, sono addirittura visibili a occhio nudo.
Gli sviluppi tecnici dei telescopi nel corso dell’Ottocento, per esempio con la costruzione del telescopio Leviathan in Irlanda da parte di William Parsons, avevano svelato come alcune nebulose sembrassero composte a loro volta da stelle, mentre altre parevano mostrare una struttura a forma di spirale. Questi indizi portarono a un’accesa discussione nella comunità astronomica sulla natura di questi oggetti: una larga degli studiosi ritenevano che le nebulose fossero nubi di gas in rotazione in cui nuove stelle si stavano formando, ma iniziava a diffondersi sempre più l’ipotesi, già formulata da Herschel, che si trattasse di altre “città stellari” al di fuori della nostra, ossia altre galassie esterne alla Via Lattea.
I protagonisti del Grande Dibattito e le loro posizioni
Questo “Grande Dibattito” ha una data simbolica: il 26 aprile 1920, giorno in cui Harlow Shapley e Heber Curtis presentarono al pubblico riunito al Baird Auditorium di Washington gli argomenti in favore delle due ipotesi.
Shapley sosteneva la prima tesi (ossia che le nebulose fossero nubi di gas) con due argomenti fondamentali. In primo luogo, le nebulose a spirale sembravano mostrare una rotazione con un periodo di alcuni anni, che suggeriva delle piccole dimensioni: se un oggetto grande come la Via Lattea ruotasse su sé stesso nel giro di pochi anni le regioni più esterne toccherebbero velocità superiori a quella della luce. In secondo luogo, osservando Andromeda era stata osservata un’esplosione stellare che da sola aveva una luminosità pari all’intera nebulosa.
Curtis sosteneva invece che le nebulose fossero altre galassie, come la Via Lattea. Uno degli argomenti principali portati a sostegno della propria ipotesi era il numero di esplosioni stellari osservate in Andromeda, superiore a quello dell’intera Via Lattea e quindi difficile da spiegare ipotizzando che si tratti solo di una nube. Un altro argomento era la presenza di regioni nella spirale simili alle nebulose oscure che osserviamo nella Via Lattea.
La soluzione del Grande Dibattito: la Via Lattea è solo una tra le tante galassie nell’universo
Per quanto l’ottima dialettica di Curtis avesse colpito molto l’uditorio, da un punto di vista scientifico gli indizi a supporto delle due ipotesi erano sostanzialmente equivalenti. A cambiare radicalmente le carte in tavola furono le osservazioni del 1923 delle nebulose Andromeda e M33 ottenute da Edwin Hubble, noto anche per la scoperta dell’espansione dell’Universo. Mentre cercava di osservare delle esplosioni di nova, Hubble scoprì che Andromeda e M33 contengono delle stelle cefeidi, la cui luminosità varia periodicamente in modo regolare. Una dozzina di anni prima, l'astronoma Henrietta Leavitt determinò una formula per ricavare la luminosità intrinseca di queste stelle in funzione del periodo con cui la varia la loro luminosità; dalla luminosità intrinseca si può poi facilmente ricavare la distanza della stella – e di conseguenza della nebulosa – con notevole precisione. Hubble usò il metodo di Leavitt per misurare la distanza di Andromeda e M33, scoprendo che si trovano rispettivamente a 930.000 e 850.000 anni luce, quindi a una distanza quasi venti volte più grande del raggio della Via Lattea. Andromeda e M33 sono altre galassie! (Oggi, con metodi più precisi, sappiamo che le distanze di queste due galassie sono rispettivamente 2,5 e 2,9 milioni di anni luce.)
Hubble comunicò la notizia a Shapley con una lettera, alla quale egli reagì dicendo: «questa è la lettera che ha distrutto il mio universo». Dopo qualche tempo si scoprì anche che le “nebulose” ruotano molto più lentamente di quanto inizialmente si credeva: il Dibattito fu ufficiamente risolto. Nel 1923, soltanto un secolo fa, noi esseri umani scoprimmo che la galassia in cui viviamo è solo una tra migliaia di miliardi: la nostra prospettiva sull’universo cambiò per sempre.