Per proibizionismo si intende il divieto di vendita e produzione di bevande alcoliche in vigore negli Stati Uniti dal 1920 al 1933. Il divieto fu introdotto per ragioni etiche, con la convinzione che la scomparsa dell’alcol avrebbe risolto molti problemi sociali e incrementato l’economia, ma ebbe conseguenze diverse da quelle sperate. Favorì, infatti, il contrabbando e il consumo illegale, facendo la fortuna delle bande criminali. Non a caso, gli anni ’20 furono il periodo d’oro dei gangsters. Nel 1933 il proibizionismo fu abolito, ma alcuni Stati dell’Unione continuarono a vietare le bevande alcoliche anche negli anni successivi (come sappiamo gli Stati Uniti sono organizzati su base federale e gli Stati hanno facoltà di legiferare su molte materie). Oggi nessuno Stato dell’Unione vieta l’alcool su tutto il suo territorio, ma alcune “contee asciutte” (dry counties) continuano a proibirlo
Cosa è stato il proibizionismo
Il proibizionismo, in vigore negli Stati Uniti dal 1920 al 1933, era il divieto di vendere, importare e produrre bevande che avessero un tasso alcolico superiore allo 0,5%. Il divieto era previsto da un emendamento della Costituzione, approvato dal Congresso nel 1917 ed entrato in vigore nel 1920. Teoricamente, la legge non negava la possibilità di produrre bevande alcoliche per consumo personale, per esempio facendo la birra in casa, ma le legislazioni di molti Stati erano ancora più restrittive e vietavano il consumo tout court. La legge prevedeva pochissime eccezioni, tra le quali il vino liturgico per la messa e le bevande prescritte dai medici (può sembrare assurdo, ma all’epoca gli alcolici erano talvolta consigliati per ragioni di salute).
Ma perché un Paese occidentale decise di proibire completamente l’alcool?
Le ragioni del proibizionismo
Per capire perché fu introdotto il proibizionismo bisogna risalire all’origine degli Stati Uniti. Nel XVII secolo, quando iniziò la colonizzazione europea del Nord America, emigrarono nel continente molti puritani britannici, che per ragioni etico-religiose intendevano condurre una vita sobria e lontana dai vizi. Già nel ‘600, molto prima dell’indipendenza, alcune comunità locali introdussero leggi che limitavano il consumo di bevande alcoliche. Tuttavia, un vero movimento proibizionista si sviluppò solo nel XIX secolo. Molti pastori protestanti iniziarono a lanciare strali contro gli alcolici nelle loro prediche e alcuni gruppi di cittadini si riunirono in associazioni che chiedevano di vietare l'alcool. Nei primi anni la più importante era la Società americana della temperanza, nata nel 1826, ma alla fine del secolo la Lega contro i saloon, fondata nel 1893, si impose come il gruppo più attivo.
I proibizionisti trovarono un alleato nell’etica industriale. Nell’Ottocento gli Stati Uniti andarono incontro a un poderoso sviluppo industriale e nella classe dirigente si diffuse la convinzione che l’alcool danneggiasse l’economia, limitando non solo la produzione, perché gli operai che bevevano lavoravano peggio, ma anche i consumi, perché molti cittadini sperperavano denaro nei bar invece di acquistare beni durevoli. Nei primi decenni del Novecento alcuni importanti imprenditori, come John D. Rockfeller jr., Henry Ford e altri, si schierarono a favore del proibizionismo e finanziarono la Lega contro i saloon.
L’alcolismo era un problema sociale reale, soprattutto in alcuni settori della popolazione, e provocava delitti e violenze domestiche. Tuttavia, i proibizionisti esageravano la portata del problema e dipingevano il semplice consumo di bevande alcoliche come l’origine di tutti i mali del Paese. Il movimento era attivo soprattutto negli Stati del Sud e nei contesti rurali.
Il caso statunitense, però, non era unico: nei primi decenni del Novecento la paura delle bevande alcoliche era diffusa anche in alcuni Paesi nordeuropei (Finlandia, Norvegia, Impero Russo, altri), che introdussero leggi per limitarle o vietarle.
Il Volstead Act
Negli Stati Uniti, divieti di livello locale furono emanati già nell’Ottocento. Nel 1881, il Kansas fu il primo Stato dell’Unione a vietare la produzione e il consumo di bevande alcoliche sul suo territorio, seguito negli anni successivi da altri Stati.
Gradualmente il consenso per il proibizionismo aumentò in tutto il Paese e durante la Prima guerra mondiale si rafforzò ulteriormente. Nel dicembre del 1917 il Congresso approvò la legge Volstead (dal nome del suo promotore, Andrew Volstead) che introduceva un emendamento alla Costituzione per vietare la fabbricazione, il trasporto, il commercio, l’importazione e l’esportazione di bevande alcoliche. L’emendamento entrò in vigore il 16 gennaio 1920.
Proibizionismo e gangster
Il proibizionismo non era apprezzato da una parte dell’opinione pubblica ed ebbe conseguenze diverse da quelle sperate. Favorì, infatti, il contrabbando e la proliferazione di locali illegali, noti come speakeasy, che servivano bevande alcoliche. Per tali ragioni, gli anni ’20 furono il periodo d’oro dei gangster, che gestivano il mercato illegale, importando alcool dall’estero o producendolo in distillerie clandestine. Al Capone, il celebre gangster di origine italiana, divenne il simbolo di un’epoca di violenze, sparatorie e conflitti con la polizia. Le forze dell’ordine, del resto, non disponevano di uomini sufficienti per controllare tutto il Paese e non riuscirono a sconfiggere i definitivamente contrabbandieri.
Le conseguenze del proibizionismo e l’abolizione
Con il passare gli anni, l’opinione pubblica dovette rendersi conto che il proibizionismo non stava dando i frutti sperati. L’alcool continuava a essere molto diffuso, sebbene, in mancanza di dati statistici, oggi non sia possibile dire se negli anni Venti i consumi fossero diminuiti e in che misura. È pero certo che il whisky e le altre bevande prodotti illegalmente dai gangsters erano molto più dannosi per la salute degli alcolici legali.
Sul piano economico, il proibizionismo costrinse le aziende che producevano bevande alcoliche a riconvertire la produzione, provocando la perdita di migliaia di posti di lavoro e di milioni di dollari di tasse. La terribile crisi economica scoppiata nel 1929 rafforzò la corrente contraria al divieto di alcolici, che con il passare degli anni divenne sempre più presente e attiva.
Nel 1933, dopo l’ascesa alla presidenza di Franklin Delano Roosevelt, il Congresso votò un nuovo emendamento alla Costituzione, che rendeva legale il commercio e la produzione di bevande alcoliche, lasciando ai singoli Stati la possibilità di emanare leggi per regolare il mercato. L’emendamento andò in vigore il 5 dicembre.
I divieti dopo la fine del proibizionismo e le dry counties
Dopo l’abolizione del Volstead Act, alcuni Stati continuarono a vietare la produzione e il commercio di alcool, ma con il passare degli anni pressoché tutti li legalizzarono o, almeno, consentirono alle contee (unità amministrative nelle quali sono divisi gli Stati dell’Unione) di legiferare in materia. Ancora oggi in alcuni Stati, in particolare nel “profondo Sud”, esistono dry counties (letteralmente “contee asciutte”), nelle quali l’alcool è vietato. Inoltre, in diversi Stati la vendita di bevande alcoliche è monopolizzata dallo Stato.