Utilizzando i dati prodotti dal telescopio spaziale James Webb, una collaborazione internazionale di scienziati a forte trazione italiana ha scoperto una galassia, JD1, in direzione dell'ammasso di galassie Abell 2744 che è la più debole mai scoperta finora nei primi centinaia di milioni di anni di vita dell'Universo. Scopriamo insieme i dettagli dello studio e perché questa scoperta è così importante.
Lo studio sulla galassia del JWST
Un gruppo internazionale di astronomi con una forte presenza di scienziati italiani ha pubblicato uno studio sulla prestigiosa rivista scientifica Nature che illustra la conferma sperimentale della scoperta della galassia più debole mai trovata nei primi centinaia di milioni di anni di vita dell'Universo. Questa galassia, chiamata JD1, è stata osservata in un periodo in cui l'Universo aveva solo 480 milioni di anni, periodo in cui le prime stelle e galassie si stavano formando.
La galassia JD1 si trova in una zona del cielo che è in proiezione vicina all'ammasso di galassie Abell 2744, chiamato anche ammasso di Pandora. Questo dettaglio è importante poiché l'ammasso agisce come una sorta di lente di ingrandimento che amplifica la luminosità di JD1 e ne rende possibile l'identificazione. Tale effetto è noto come lensing gravitazionale, predetto grazie alla Relatività Generale di Einstein. Dall'analisi dei dati, JD1 sembra essere una galassia molto compatta, con una massa di "sole" un centinaio di milioni di masse solari e avente una luminosità che è solo circa il 5% della luminosità tipica delle galassie di oggi.
L'importanza della scoperta
Nei primi centinaia di milioni di anni di vita, l'Universo si trovava in quello che gli astronomi definiscono "età oscura", o "dark age" in inglese, ovvero un periodo in cui l'Universo era costituito prevalentemente da atomi di idrogeno neutro, cioè composti da un protone ed un elettrone. Con la formazione delle prime galassie, vi fu una intensa formazione stellare di stelle di prima generazione, che, essendo molto massicce, emettevano una grande quantità di radiazione elettromagnetica nelle frequenze dell'ultravioletto. La luce ultravioletta è in grado di ionizzare gli atomi di idrogeno, ovvero di strappare l'elettrone dall'atomo, lasciando l'idrogeno col solo protone nel nucleo. Questa fase della storia dell'Universo in cui la radiazione ultravioletta ha causato la ionizzazione dell'idrogeno neutro viene chiamata reionizzazione.
Trattandosi di galassie vissute nel primo miliardo di anni di vita dell'Universo, a causa delle enormi distanze, la luce che ci giunge da questi oggetti è molto debole, rendendone l'identificazione assai problematica e quasi appannaggio dei soli telescopi spaziali. Inoltre, l'espansione dell'Universo fa si che le lunghezze d'onda della luce emessa da queste galassie diventi sempre più "rossa", spostandosi cioè dall'ultravioletto all'infrarosso, un effetto che gli astronomi chiamano redshift cosmologico. Il James Webb lavora proprio nelle lunghezze d'onda della luce infrarossa ed è quindi il telescopio ideale per trovare questi oggetti.
Fino ad ora però il James Webb aveva trovato solo le galassie più brillanti di quell'epoca, poiché sono quelle più facilmente identificabili. Il problema è che questi oggetti non costituiscono la maggior parte delle galassie di quell'epoca, ma solo una piccola frazione, e non sono quindi le vere responsabili del processo di reionizzazione. La galassia JD1 trovata nello studio in esame è invece un tipico esempio di quella popolazione di galassie meno brillanti, ma più numerose, che ha contribuito in maggior misura alla reionizzazione dell'Universo.