
La bolla finanziaria dell'AI rischia di diventare la più grande della storia economica moderna: 8 volte superiore alla crisi dei mutui subprime del 2008 e addirittura ben 17 volte più grande di quella delle dot-com di fine anni ’90. Questo è il succo di una nota, dal sapore decisamente pessimistico, redatta dall'esperto Julien Garran, partner di MacroStrategy. E Garran non è stato l'unico a esprimere una certa preoccupazione nei confronti dell'AI. Gli economisti e le istituzioni finanziarie più autorevoli si dividono tra chi parla di eccesso speculativo e chi ritiene che si tratti di una fase di crescita fisiologica di una tecnologia destinata a cambiare profondamente la produttività globale. In questo approfondimento esamineremo cosa sostiene chi vede un rischio imminente, come il summenzionato Garran e il CEO di J.P. Morgan Jamie Dimon, e cosa invece indicano gli analisti più cauti, come quelli di Goldman Sachs.
Bolla dell'AI: il parere degli economisti
Tornando allo studio della società di analisi MacroStrategy Partnership, che ha calcolato la dimensione della cosiddetta “bolla dell'AI”, vediamo alcuni degli indicatori macroeconomici che ha combinato per arrivare a dire che la bolla dell'AI rischia di essere la più grande della storia. Per comprendere la portata di questo calcolo bisogna tornare al pensiero dell'economista svedese Knut Wicksell, vissuto nel XIX secolo, che sosteneva che il capitale fosse allocato in modo efficiente solo quando il costo medio del debito per le imprese superava di circa 2 punti percentuali la crescita del PIL nominale. Oggi, dopo anni di tassi d'interesse bassi e di politiche monetarie espansive questa proporzione si è alterata, generando un “deficit wickselliano”: una misura della quota di capitale investita in modo inefficiente. Secondo Julien Garran, questa parte del PIL “mal allocata” include l'enorme flusso di denaro verso le AI, includendo nel calcolo gli immobili, gli NFT e il capitale di rischio. È così che si arriva al numero con cui ci siamo introdotti: una bolla dell'intelligenza artificiale 17 volte più grande di quella delle dot-com.
L'analisi di Garran si spinge oltre, individuando un limite tecnologico che a suo dire sarebbe già visibile nei modelli linguistici di grandi dimensioni o LLM, come ChatGPT. Secondo Garran, i costi di addestramento di questi sistemi crescono in modo esponenziale mentre i miglioramenti in termini di prestazioni diminuiscono rapidamente. GPT-3, ad esempio, sarebbe costato circa 50 milioni di dollari; il successivo GPT-4, è costato 10 volte tanto; il modello GPT-5, l'ultimo reso disponibile da OpenAI, con un investimento stimato di 5 miliardi di dollari, non avrebbe mostrato progressi proporzionati agli investimenti sempre più ingenti.
Ecco perché sono in diversi a esprimere preoccupazioni simili a quelle di Garran e a ritenere che l'attuale euforia sull'AI ricordi quella che si respirava tra il 1998 e il 2000 per le cosiddette dot-com, quando bastava aggiungere “.com” al nome di un'azienda per farne schizzare il valore in Borsa. Oggi la stessa dinamica sembra ripetersi con il termine “AI”. La direttrice del FMI Kristalina Georgieva ha messo in guardia dal rischio di “sopravalutazione degli asset tecnologici” spinta dall'eccessivo ottimismo sul potenziale della produttività futura. La Georgieva ha infatti dichiarato:
Stimolati dall'ottimismo sul potenziale di miglioramento della produttività dell'intelligenza artificiale, i prezzi delle azioni globali stanno aumentando. Se si verificasse una brusca correzione, condizioni finanziarie più restrittive potrebbero frenare la crescita mondiale.
Anche la Bank of England ha espresso preoccupazione per il livello di concentrazione del mercato: le prime cinque aziende dell'indice S&P 500 rappresentano oggi circa il 30% del valore complessivo, la quota più alta degli ultimi 50 anni. Secondo i dati elaborati dall'analista Howard Silverblatt, sono sette le società – Alphabet (la holding a cui fa capo Google), Amazon, Apple, Meta, Microsoft, NVIDIA e Tesla – generano da sole oltre la metà dei guadagni dell'intero indice. In altre parole, gran parte della crescita economica statunitense dipende da pochissimi attori, quasi tutti coinvolti nello sviluppo o nell'utilizzo dell'intelligenza artificiale, e se qualcosa dovesse andare male nel mercato dell'AI i danni all'economia globale potrebbero risultare tutt'altro che trascurabili.
Il CEO di J.P. Morgan, Jamie Dimon, ha avvertito che questa concentrazione potrebbe sfociare in una «correzione significativa» del mercato azionario nei prossimi due anni. Dimon non mette in dubbio la realtà e il valore di lungo periodo dell'AI, ma ritiene che «la maggior parte delle persone coinvolte non avrà successo», proprio come accadde nel mercato di Internet agli inizi del 2000.
La bolla dell'AI potrebbe scoppiare? La posizione di Goldman Sachs
D'altra parte, Goldman Sachs, altra banca d'affari molto nota nel settore, adotta una posizione più equilibrata. Pur riconoscendo segnali di sopravvalutazione, non ritiene che lo scoppio di una bolla sia dietro l'angolo.
A questo riguardo, infatti, Peter Oppenheimer, membro del consiglio di amministratore di Goldman Sachs, ha dichiarato:
Ci sono elementi del comportamento degli investitori e dei prezzi di mercato attualmente che fanno rima con le bolle precedenti.
Nonostante questo velato ottimismo, Oppenheimer ha anche aggiunto:
Anche se sembra che non siamo ancora in una bolla, gli alti livelli di concentrazione del mercato e l'aumento della concorrenza nello spazio AI suggeriscono che gli investitori dovrebbero continuare a concentrarsi sulla diversificazione.
AI: tra innovazione e speculazione
Ciò che emerge, al di là delle stime e delle previsioni future, è che il settore dell'intelligenza artificiale si trova oggi al crocevia tra innovazione e speculazione. Le cifre record, le valutazioni in Borsa e l'afflusso di capitale senza precedenti segnalano una fiducia straordinaria nelle potenzialità del settore, ma anche una vulnerabilità intrinseca: se le aspettative di guadagno non saranno soddisfatte, la correzione potrebbe essere brusca. La chiave di volta potrebbe essere, dunque, quella di imparare a distinguere tra l'AI come tecnologia trasformativa (che continuerà a evolvere e a trovare applicazioni concrete) e l'AI come fenomeno finanziario, dove l'entusiasmo rischia di gonfiare numeri e aspettative ben oltre quella che è la realtà economica.