;)
La distribuzione dei redditi in Italia presenta forti disuguaglianze: lo Stato, attraverso politiche fiscali e di welfare, mira a ridurre queste differenze economiche attraverso una redistribuzione del reddito. Ma quanto impattano davvero questi interventi normativi? I più recenti dati Istat ci permettono di misurare oggettivamente il loro effetto sulle disuguaglianze di reddito attraverso l’indice di Gini.
Come si misurano le differenze di reddito
Quando si parla di reddito, spesso pensiamo subito allo stipendio. In realtà, il reddito ha tre diversi volti:
- reddito primario: quello generato dal lavoro e dal capitale.
- reddito lordo: rappresenta il reddito primario con l’aggiunta dei trasferimenti pubblici, come pensioni, bonus e sussidi
- reddito disponibile: quello che possiamo realmente spendere, cioè dopo aver sottratto dal reddito lordo imposte e contributi.
Per misurare oggettivamente le disuguaglianze tra queste forme di reddito, l’Istat usa l’indice di Gini: più è vicino a 100, più c’è disuguaglianza; più è vicino a 0, più il reddito è equamente distribuito.
La geografia delle diseguaglianze: chi è più penalizzato?
I dati Istat ci dicono che nel 2024 in Italia il reddito primario, cioè prima delle tasse e dei trasferimenti, mostra forti disuguaglianze. Aggiungendo i trasferimenti pubblici – cioè pensioni, sussidi, etc. – e sottraendo imposte e contributi, possiamo notare però maggiore equilibrio: l’indice di Gini scende dal 46,48% al 30,40%, con una riduzione complessiva di 16,07 punti percentuali (che abbrevieremo con p.p.) : alla riduzione di 11.68 p.p. dei trasferimenti si somma infatti quella di 4,39 p.p. dovuta al prelievo di tasse e contributi. Questa suddivisione evidenzia come le misure pubbliche che più incidono nella riduzione delle disuguaglianze di reddito sono quelle legate ai trasferimenti statali.
Analizzando poi le variazioni dell’indice di Gini per area geografica, otteniamo:
- Nord: da 43,02 a 27,20 (−15,82 p.p.)
- Centro: da 43,97 a 28,21 (−15,76 p.p.)
- Sud: da 48,19 a 31,31 (−16,88 p.p.)
Questi numeri ci dicono che sia la distribuzione dei redditi primari sia l’effetto delle politiche pubbliche è geograficamente disomogeneo, ed il Sud risulta essere il punto debole: parte infatti da uno svantaggio strutturale (meno occupazione, più economia sommersa, minori servizi) che solo in parte viene compensato. distributivi e produttivi l’Italia potrà trasformare la sua geografia del reddito in un paesaggio più equilibrato.
L'impatto delle politiche pubbliche sulla redistribuzione del reddito
Le più recenti simulazioni Istat hanno confrontato l’effetto di quattro interventi normativi:
- Riforma dell’Irpef (D.L. 216/2023 artt. 1 e 2)
- Passaggio dal reddito di cittadinanza all’assegno di inclusione (ADI) (D.L. 48/2023 art.1 e segg.)
- Esonero contributivo parziale per i lavoratori dipendenti e totale per le madri lavoratrici con due o più figli (L. 213/2023, art.1 c.15, c.180 e 181)
- Indennità una tantum di 100 euro per i lavoratori dipendenti con un reddito inferiore a 28mila euro (D.L. 113/2024, art. 2-bis)
Complessivamente, i dati Istat ci dicono che queste modifiche non hanno contribuito alla riduzione delle disuguaglianze: l’Istat stima infatti che con la loro introduzione l’indice di Gini sul reddito disponibile sia passato da 30,25% al 30,40% effettivamente rilevato.
Tuttavia, analizzando le singole voci, emerge una notevole variabilità nel loro l’impatto. Per esempio, grazie alla riforma dell’Irpef, quasi la metà delle famiglie residenti in Italia hanno ottenuto un miglioramento del reddito disponibile, in media di 586 euro all’anno. L’esonero dei contributi per le madri dipendenti ha invece portato ad un guadagno di circa 1000 euro per 750mila lavoratrici.
Meno efficace è risultata invece il passaggio all’ADI che ha comportato un beneficio annuo di circa 1200 euro per un numero esiguo di famiglie (circa 100mila) ma un peggioramento dei redditi disponibili per altre 850mila famiglie con una perdita media annua di circa 2600 euro.
Infine, l’indennità una tantum si stima che abbia generato una variazione dello 0,2% del reddito disponibile per circa 3 milioni di famiglie.