Erano le ore 11.36 del 14 Agosto 2018 quando una sezione del "Ponte Morandi" di Genova collassò, travolgendo le auto in transito e la abitazioni sottostante. Il bilancio della protezione civile fu drammatico: 43 vittime e oltre 500 sfollati. A cedere, in quella tragica mattina di agosto, fu uno degli stralli della pila n°9 del ponte che si spezzò innescando il crollo dell'intero blocco centrale.
Il Viadotto Polcévera fu progettato e costruito dal 1963 al 1967 dall’Ing. Riccardo Morandi, da cui il nome “Ponte Morandi”. Questo ponte autostradale rappresentava il tratto finale dell’A10, collegamento fondamentale tra l’Italia e il sud della Francia. Il viadotto fu costruito per scavalcare la valle del torrente Polcévera, per facilitare il traffico in città e migliorare i collegamenti con il porto commerciale. Questo ci fa capire quanto questa infrastruttura fosse importante per la città. Ma non solo: questo collegamento era, ed è ancora, strategico per la nostra economia, perché Genova, insieme a Milano e Torino, completa il famoso "triangolo industriale" del nostro Paese. Quindi è chiaro già da questo che il disastro e le sue conseguenze ha impattato notevolmente sull’economia di tutto il territorio.
Com'era fatto il ponte Morandi?
Per capire davvero i motivi del crollo, è fondamentale capire la struttura del ponte, cioè com'era fatto e come erano distribuiti i pesi. Il viadotto era lungo 1.102 metri ed era diviso in due parti principali: la prima era formata da un impalcato (ovvero la struttura di sostegno del piano stradale di un ponte), era lunga 484 m ed era sorretta da 8 pile in cemento armato di altezza variabile; la seconda era un ponte strallato lungo 618 metri, dove il piano stradale era sostenuto da 3 piloni.
Cosa è un ponte strallato?
Il ponte strallato è un ponte dove l’impalcato è sostenuto da dei tiranti inclinati, chiamati stralli, che sono ancorati al piano stradale e che confluiscono nella parte più alta di un pilone, anche detta "antenna", ridistribuendo le forze sulle fondazioni del ponte. Morandi ha optato per questa configurazione perché doveva letteralmente scavalcare case, capannoni, la ferrovia, e quindi non aveva la possibilità di costruire molte pile. Il ponte strallato costruito da Morandi era basato su un sistema, chiamato a “cavalletti bilanciati”, inventato proprio da lui.
Il ponte strallato di Morandi all’epoca era davvero innovativo: osservando la struttura notiamo l'armonia e la leggerezza tipiche delle costruzioni di Morandi, concependo un sistema che garantiva anche una forte “solidità” al ponte.
Il ponte era composto da tre strutture fondamentali: il pilone, gli stralli e i sostegni centrali. Le parti esterne della strada, o per meglio dire dell’impalcato, erano sorrette dagli stralli; ce n’erano 2 per ogni lato. Le parti interne dell’impalcato erano sorrette dalle gambe dei piloni e da dei sostegni in cemento armato a forma di H. Tutti i carichi venivano scaricati sul pilone e quindi sulle fondazioni. Abbiamo detto che c’erano tre pile: ogni pila era indipendente dal punto di vista dei carichi, non a caso il crollo ha interessato solo la pila n 9. Le altre due sono rimaste in piedi.
Perché è crollato il Ponte Morandi?
Il pilone che crollò fu il n°9, quello in corrispondenza del letto del fiume. Nelle indagini e nelle perizie d’inchiesta sono state avanzate diverse ipotesi di crollo: una, ad esempio, parla di cedimento dell’impalcato sottoposto a forte sollecitazione, o addirittura di cedimento del pilone stesso. L’ipotesi più accreditata però – anche rafforzata dal video di sorveglianza di un’azienda – è quella del cedimento strutturale di uno degli stralli della pila 9. Infatti nel video rilasciato dalla procura di Genova si nota perfettamente l’inizio del crollo.
Cosa ha innescato la caduta del Viadotto Polcévera di Genova
All’epoca della costruzione del ponte si credeva erroneamente che il cemento durasse in eterno. Ricordiamoci che il ponte è stato costruito negli anni ‘60, quando questa tecnologia era recentissima e non si conoscevano perfettamente tutte le proprietà dei materiali. Ora sappiamo che, con il passare del tempo, il cemento che rivestiva i tiranti si è letteralmente inzuppato d'acqua. Quindi è successo che l’umidità e il salmastro marino sono entrati nei pori del cemento arrugginendo i cavi.
Quando un cavo si corrode, oltre a perdere le sue capacità meccaniche aumenta anche di volume ed è proprio questo aumento di volume che ha provocato delle spaccature nel cemento, indebolendo la struttura. La corrosione ha letteralmente consumato i cavi, indebolendo e limitando notevolmente la capacità di sostenere i pesi. A questo punto, nel momento in cui anche un solo strallo non era più in grado di reggere il peso, si sono sfilati i cavi d’acciaio dal rivestimento di cemento e lo strallo si è spezzato. Poi il peso dei veicoli e quello dell'impalcato stesso hanno innescato il crollo dell’intera pila. Plausibilmente è questa la dinamica dell’innesco.
La ridondanza
Come abbiamo detto prima, il peso dell’impalcato era suddiviso in 4 punti. Quindi, quando un sostegno è venuto meno, il sistema è uscito dal suo equilibrio, crollando su se stesso, perché la struttura non era ridondante.
La ridondanza strutturale rappresenta la capacità di un’infrastruttura di ridistribuire le forze all’interno del suo stesso sistema. In parole semplici, se un elemento strutturale viene meno questo non provoca il crollo dell'intera struttura, perché il peso si distribuisce su altri parti portanti. Ma il ponte Morandi non aveva per niente questa caratteristica, che invece oggi è una norma. Infatti se vediamo i ponti strallati più moderni si vede bene che non hanno un unico strallo ma ne hanno diversi.
Cosa hanno stabilito le indagini sul crollo
Per capire cosa è successo quel giorno, e stabilire quindi le responsabilità, i periti per le indagini preliminari hanno analizzato delle porzioni di tutta la parte crollata. In particolare si sono concentrati sul reperto 132. Grazie a questo, gli investigatori hanno accertato che il 99% dei cavi all’interno degli stralli della pila 9 erano corrosi e hanno affermato che:
“L’acciaio era in uno stato corrosivo di tipo generalizzato di lungo periodo, dovuto alla presenza di umidità e contemporanea presenza di elementi aggressivi come solfuri, derivati dello zolfo, e cloruri”.
Quindi la tragedia era imminente. Ovviamente ci sono ancora delle indagini in corso e solo il tempo potrà stabilire con certezza le cause. Ma una cosa di cui gli investigatori sono abbastanza certi è che su quel ponte non si faceva manutenzione e che quindi doveva essere sospesa la circolazione. Persino l’Ing. Morandi, che nel 1979 era andato a vedere le condizioni del ponte, aveva osservato le crepe sugli stralli di cui parlavamo prima.
In quell’occasione aveva detto che ponti di questo genere erano propensi al deterioramento a causa dell’ambiente in cui si trovano e ha ammesso che, al momento della costruzione, non si era ancora in possesso tutte le nozioni sulla durabilità dei materiali. Insomma, lui un campanello d’allarme lo aveva lanciato. Come parziale soluzione nel 1992 furono sostituiti gli stralli della pila 11, mentre quelli delle pile 9 e 10 non furono toccati rimanendo così per altri 25 anni. In tempi più recenti anche altre ispezioni avevano annunciato un importante stato di corrosione nelle parti portanti del ponte, ma nulla è stato fatto. Su questo ovviamente ci asteniamo dal fare considerazioni, perché il processo è appena iniziato e si devono ancora stabilire le responsabilità.
In ricordo delle vittime del crollo del Viadotto Polcévera.