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La ricostruzione 3D della strage di Capaci, l’attentato in cui morì il giudice Giovanni Falcone

Era il 23 maggio 1992 quando 500 kg di esplosivo fecero saltare in aria un tratto dell’autostrada A29, all’altezza dello svincolo per Capaci, provocando la morte del giudice Giovanni Falcone, della moglie Francesca Morvillo e di tre agenti della scorta. Ecco l’inedita ricostruzione 3D della strage di Capaci, avvenuta 33 anni fa.

9 Settembre 2025
18:30
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La ricostruzione 3D della strage di Capaci, l’attentato in cui morì il giudice Giovanni Falcone
Video a cura di Andrea Moccia
Geologo e direttore editoriale di Geopop
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Un’immagine inedita della ricostruzione 3D della strage di Capaci.

Il 23 maggio 1992, all'altezza dello svincolo per Capaci, circa 500 kg di esplosivo fecero saltare in aria un tratto dell'autostrada A29, che collega l'Aeroporto di Punta Raisi a Palermo. Quell'attentato di 33 anni fa provocò la morte del magistrato Giovanni Falcone, da anni impegnato nella lotta alla criminalità organizzata: insieme a lui persero la vita anche la moglie Francesca Morvillo, anch'essa magistrata, e i tre agenti della scorta Antonio Montinaro, Rocco Dicillo e Vito Schifani.

Ma come fu possibile realizzare la strage di Capaci con una precisione scientifica, facendo detonare tra i 300 e 500 kg di esplosivo sotto l’asfalto dell’autostrada e colpendo un’auto in movimento, che avrebbe dovuto viaggiare a una velocità di circa 160 km/h? Abbiamo ricostruito la strage di Capaci con inedite immagini 3D, ripercorrendo l'intera dinamica dell’attentato basandoci su tutti i dati tecnici disponibili.

Ancora oggi la complessità di questa operazione, affidata a mafiosi inesperti dal punto di vista ingegneristico, lascia aperti alcuni interrogativi sugli eventuali contributi esterni a Cosa Nostra per mettere in piedi l'attentato.

L'ideazione tecnica della strage di Capaci

La realizzazione dell'attentato fu affidata a un gruppo ristretto di uomini di Cosa Nostra: tra questi ci furono anche Giovanni Brusca, colui che azionò materialmente il telecomando dell'esplosivo (da poco tornato libero dopo aver scontato la sua pena in carcere), Santino Di Matteo, poi diventato collaboratore di giustizia, Pietro Rampulla, l’ex artificiere che progettò il sistema di innesco, ma anche Gioacchino La Barbera, Antonino Troia, Giovanni Battaglia e Antonino Gioè.

Il canale sotto l'autostrada e il sistema di innesco dell'esplosivo

Per piazzare l'esplosivo venne scelto un tratto preciso della A29, all’altezza dello svincolo per Capaci. Sotto la carreggiata correva infatti un canale di scolo in cemento, lungo e rettilineo, dove furono posizionati tra i 300 e 500 kg di esplosivo: più nello specifico, si trattava di un mix tra tritolo, nitrato d’ammonio e RDX, un esplosivo utilizzato soprattutto in ambito militare.

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L'esplosivo fu poi collegato a un sistema di detonazione semplice ma affidabile, ossia un radiocomando per modellini giocattolo. Due levette, un impulso radio e a ricevere il segnale una scatola ricevente collegata a dei detonatori elettrici.

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L'auto di Giovanni Falcone avrebbe dovuto viaggiare a una velocità di 160 km/h, percorrendo circa 44 metri in 1 secondo: questo significa che, per ogni decimo di secondo, avrebbe percorso 4,44 metri e che in 3 decimi sarebbe stata 13 metri più avanti. Di conseguenza, non c'era nessun margine di errore per i mafiosi: anche solo 1 o 2 decimi di secondo di ritardo avrebbero potuto diminuire le probabilità di successo dell'attentato.

Il sistema del flash e il luogo di appostamento

Da considerare, poi, c'era anche il tempo di reazione del sistema, ossia quello trascorso tra l'attivazione del pulsante e l'innesco dell'esplosione. Proprio per questo, i mafiosi condussero una serie di prove tecniche: al posto dell’esplosivo, collegarono alla ricevente una lampadina flash delle macchine fotografiche, così da poter calcolare con esattezza il ritardo del segnale. Come punto di riferimento, invece, venne utilizzato un vecchio frigorifero, abbandonato ai margini dell’autostrada. Durante le prove, il frigorifero serviva da target visivo: gli esecutori materiali dovevano imparare a far scattare il flash esattamente quando la macchina di prova sarebbe passata davanti a quel punto.

Come luogo di appostamento, invece, fu scelta una collinetta a circa 900 metri di distanza, dove il 23 maggio si posizionarono Brusca e Gioè, in piena visuale sul tratto autostradale, ma invisibili per chi viaggiava.

La dinamica della Strage di Capaci secondo le ricostruzioni ufficiali

Quel sabato 23 maggio, Giovanni Falcone era atterrato all'Aeroporto di Punta Raisi per trascorrere il fine settimana nella sua abitazione palermitana in via Notarbartolo. Ad attenderlo sulla pista, intorno alle 17:45, c'era il consueto convoglio della scorta, composto da tre Fiat Croma blindate.

Ad aprire il convoglio era la Croma marrone, a bordo della quale viaggiavano gli agenti della scorta Antonio Montinaro, Rocco Dicillo e Vito Schifani; al centro viaggiava invece la Croma bianca di Falcone, guidata dal magistrato stesso (che voleva restare accanto alla moglie); a chiudere la Croma azzurra, con gli agenti Gaspare Cervello, Angelo Corbo e Paolo Capuzza.

In realtà, non molti sanno che l'esplosione mancò l'auto di Falcone: la prima auto a saltare in aria, infatti, fu quella di apertura, mentre l'auto di Falcone finì per schiantarsi contro il muro di cemento e detriti alzatosi come conseguenza della detonazione.

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La ricostruzione 3D della strage di Capaci.

Come anche riportato dalle dichiarazioni ufficiali di Costanza, la macchina di Falcone, infatti, non viaggiava a 160 km/h ma tra i 100 e 120 km/h: la Fiat Croma aveva rallentato improvvisamente dopo che il giudice aveva rimosso le chiavi dal cruscotto, passandole soprappensiero all'autista. Accortosi dell'errore, Falcone rimise le chiavi al loro posto, qualche istante prima che il tratto autostradale esplodesse.

Fu proprio questo rallentamento improvviso a evitare che l'auto di Falcone venisse colpita direttamente dall'esplosione, salvando l'autista Costanza e gli agenti della scorta nell'auto di chiusura. Secondo alcune delle ricostruzioni più recenti, se Giovanni Falcone e Francesca Morvillo avessero indossato le cinture di sicurezza, probabilmente si sarebbero salvati dall'impatto contro il cratere di detriti generato dall'esplosione.

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