
Mar Caspio, 19 marzo 1968. Un satellite spia americano scatta delle foto di un gigantesco aereo di produzione sovietica. O, per meglio dire, di quello che a prima vista può sembrare un aereo, ma che guardato con più attenzione presenta alcuni dettagli che non tornano: la coda è molto più grande del solito, al contrario delle ali che sono molto corte. In più, è in acqua. Gli americani lo ribattezzano “il Mostro del Caspio”, ed è facile capire il perché. Ma di cosa si trattava esattamente?

Ekranoplano: di cosa si tratta? E cos'è l'effetto suolo?
L’oggetto misterioso era un ekranoplano, un veicolo sperimentale che combinava caratteristiche aeronautiche e navali. Il suo principio di funzionamento si basava sull’effetto suolo, un fenomeno aerodinamico che si verifica quando un aereo vola a bassa quota, generando un cuscino d’aria tra le ali e la superficie sottostante. Questo effetto riduce la resistenza indotta e aumenta la portanza, migliorando l’efficienza aerodinamica. Un esempio pratico si osserva negli ultimi istanti prima dell’atterraggio di un aereo, quando sembra quasi “galleggiare” sopra la pista prima di toccare terra. L’idea di sfruttare questo principio portò alla progettazione degli ekranoplani, e in particolare al lavoro di Rostislav Alèxeyev, ingegnere russo considerato il padre di questi veicoli. Tuttavia, pochi sanno che un contributo significativo allo sviluppo arrivò anche dall’ingegnere italiano Roberto Oros di Bartini, laureato in ingegneria aeronautica al Politecnico di Milano e successivamente trasferitosi in Unione Sovietica per motivi politici. Grazie a questi due pionieri, gli ekranoplani conobbero un’epoca d’oro, diventando un elemento di forte interesse strategico per l’URSS e una fonte di preoccupazione per gli Stati Uniti, nel pieno della competizione tecnologica della Guerra Fredda.

Per poter sfruttare in modo continuo l’effetto suolo è essenziale disporre di una superficie priva di ostacoli. L’ambiente ideale per un simile mezzo è dunque l’acqua, che offre una distesa uniforme su cui mantenere il volo a bassa quota senza interferenze. Partendo da questo principio gli ingegneri sovietici progettarono quindi un veicolo ibrido tra un aereo e una nave, capace di sfruttare le caratteristiche di entrambi i mezzi di trasporto. Il modello originale pesava 540 tonnellate, era lungo quasi 100 metri e poteva raggiungere la velocità straordinaria di 550 km/h. Il sistema propulsivo era costituito da due motori principali situati sulla coda, mentre otto motori aggiuntivi, posizionati sulla parte anteriore, fornivano la spinta iniziale necessaria per entrare in modalità effetto suolo. Una volta raggiunta la velocità ottimale, questi motori ausiliari venivano disattivati, riducendo il consumo di carburante.
Impiego militare, velocità e caratteristiche

Durante la Guerra Fredda ottenere finanziamenti per progetti innovativi era più semplice se questi presentavano un’applicazione militare. L’ekranoplano in questo senso si prestava perfettamente allo scopo. Le sue caratteristiche lo rendevano un mezzo altamente strategico: elevata capacità di carico, ideale per il rapido spostamento di truppe e materiali da una costa a un'altra; efficienza nei consumi, grazie alla ridotta resistenza aerodinamica garantita dall’effetto suolo; bassa rilevabilità radar, in quanto volava a pochi metri dalla superficie, al di sotto dell’orizzonte radar nemico. Uno dei modelli più noti, appartenente alla classe Lun, rappresentava un’evoluzione del prototipo originale. Questo ekranoplano, lungo 74 metri, era equipaggiato esclusivamente con gli otto motori anteriori e disponeva di un sistema radar di coda. Ciò che lo rendeva particolarmente temibile era l’armamento: sei lanciamissili installati sulla fusoliera, operativi anche durante il movimento, lo trasformavano in una piattaforma d’attacco estremamente mobile e difficilmente intercettabile. Nonostante il suo enorme potenziale, però, l’ekranoplano non superò mai i confini del Mar Caspio. Ma quali furono le ragioni che ne impedirono la diffusione su larga scala?
I limiti tecnici dell'ekranoplano

Nonostante i numerosi vantaggi analizzati, l’ekranoplano presentava anche due criticità significative, che ne hanno compromesso la diffusione su larga scala. Il primo grande limite era legato alla sua interazione con le condizioni del mare. A velocità così elevate, anche onde di 1-1,5 metri potevano generare impatti considerevoli sullo scafo, compromettendo la stabilità e l’integrità strutturale del veicolo. Questo problema era relativamente contenuto nel Mar Caspio, un mare chiuso con condizioni assimilabili a quelle di un grande lago, ma risultava particolarmente critico in oceano, dove il moto ondoso è molto più imprevedibile e intenso. Il secondo problema riguardava la scarsa manovrabilità dell’ekranoplano. Il mezzo aveva una capacità limitata di cambiare direzione rapidamente, il che rappresentava un rischio significativo in zone marittime trafficate, aumentando il pericolo di collisioni con altre imbarcazioni se non individuate tempestivamente. Questi due fattori rendevano l’impiego dell’ekranoplano estremamente complesso al di fuori di ambienti controllati, come laghi o tratti di costa caratterizzati da mare particolarmente calmo. A determinare il definitivo arresto del programma fu il crollo dell’Unione Sovietica nel 1991, che comportò la cessazione dei finanziamenti per lo sviluppo di questa tecnologia. Oggi L'ekranoplano Lun giace abbandonato a Derbent, sulle rive del Mar Caspio, nel Daghestan.
Un possibile futuro per gli ekranoplani?
Nonostante l’abbandono del progetto sovietico, l’interesse per questa tecnologia non è scomparso. Diverse aziende in tutto il mondo stanno esplorando nuove applicazioni degli ekranoplani, soprattutto in contesti favorevoli come i grandi laghi o aree marittime caratterizzate da condizioni favorevoli. Un esempio è l’AirFish 8, un ekranoplano progettato per il trasporto di circa 10 passeggeri, attualmente in fase di test nelle acque orientali di Singapore. Questo dimostra come, nonostante le limitazioni, il concetto di ekranoplano possa ancora trovare applicazioni concrete in specifici scenari operativi, sfruttando i vantaggi dell’effetto suolo per ridurre i consumi e migliorare l’efficienza dei trasporti marittimi.