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20 Ottobre 2022
15:58

La straordinaria immagine catturata dal telescopio James Webb mostra i Pilastri della Creazione

Il telescopio spaziale NASA rivisita con un dettaglio senza precedenti l'immagine astronomica più iconica di sempre, resa celebre già dal telescopio Hubble.

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La straordinaria immagine catturata dal telescopio James Webb mostra i Pilastri della Creazione
i pilastri dell'universo
Credit: NASA, ESA, CSA, STScI; Joseph DePasquale (STScI), Anton M. Koekemoer (STScI), Alyssa Pagan (STScI)

A 27 anni di distanza dal primo, il telescopio spaziale più avanzato non è più Hubble ma il suo “erede morale” il James Webb Space Telescope, che recentemente si è cimentato nel fotografare  lo stesso oggetto producendone l'immagine più dettagliata mai ottenuta. Si tratta probabilmente dell'oggetto celeste più conosciuto in assoluto: i Pilastri della Creazione, una porzione della Nebulosa dell'Aquila a 6500 anni luce da noi. A renderlo così conosciuto fu il telescopio spaziale Hubble nel 1995.
Scopriamone insieme i dettagli.

Cosa sono i Pilastri della Creazione

L'immagine di James Webb sembra quasi ritrarre una mano protesa ad afferrare qualcosa: a vedere soltanto questa immagine, ci si potrebbe perché non si chiami “Mano della Creazione”. Ebbene, l'immagine originale di Hubble del 1995 catturava le tre “dita” della mano in verticale, dando l'impressione di tre colonne cosmiche, o pilastri per l'appunto.

I Pilastri della Creazione visti dal telescopio spaziale Hubble nel 1995.
I Pilastri della Creazione visti dal telescopio spaziale Hubble nel 1995 (credit: NASA, ESA, STScI, J. Hester and P. Scowen (Arizona State University)).

In occasione del 25° anniversario del lancio di Hubble, e del 20° anniversario di questa iconica immagine, nel 2015 Hubble fotografò nuovamente i Pilastri con nuovi strumenti, sostituiti dagli astronauti nel frattempo. Ottenne un'immagine ancora migliore sia da un punto di vista estetico sia da un punto di vista scientifico, in cui si nota di più la forma “a mano” di questo oggetto.

I Pilastri della Creazione rivisitati da Hubble nel 2015.
I Pilastri della Creazione rivisitati da Hubble nel 2015 (credit: NASA, ESA, and The Hubble Heritage Team (STScI / AURA)).

L'intera struttura fa parte della Nebulosa dell'Aquila ed è sostanzialmente una nube di gas e polveri illuminata dalla luce di un ammasso aperto di stelle giovani e calde che si trovano nelle vicinanze. L'alone luminoso che fa da sfondo alle immagini di Hubble è proprio parte della nebulosa.

La Nebulosa dell'Aquila. Nel centro si individua il profilo dei Pilastri della Creazione
La Nebulosa dell’Aquila vista dall’osservatorio cileno di La Silla. Nel centro si individua il profilo dei Pilastri della Creazione (credit: ESO).

All'interno di questa nebulosa, i Pilastri sono un agglomerato di nubi e polveri in cui stanno nascendo nuove stelle. L'azione della gravità sta facendo collassare porzioni di questa coltre polverosa per formare nuovi astri, che in luce visibile non possiamo osservare proprio perché sono avvolti dai gas e dalle polveri che compongono i Pilastri.

Perché hanno questa forma

Sopra la cima dei Pilastri, l'ammasso di stelle che abita nella Nebulosa dell'Aquila produce grandi quantità di radiazione energetica (principalmente raggi ultravioletti) e anche intensi venti stellari. Questi ultimi sono espulsioni più o meno violente di materiale che fa parte delle stelle stesse; espulsioni dovute all'instabilità di questi astri massicci.
Quando colpiscono il materiale che compone i Pilastri, la radiazione e i venti stellari hanno un effetto erosivo. Un po' come una cascata che impatta delle rocce a valle! È l'azione combinata di radiazione e venti stellari a modellare le forme sinuose ed eleganti dei pilastri, in un processo che gli astronomi chiamano fotoevaporazione. Sostanzialmente, l'energia di radiazione e venti fa “evaporare” il gas, disperdendolo.
Ok, ma allora da dove viene la forma dei Pilastri? Questa è dovuta al fatto che la fotoevaporazione non può nulla quando incontra dei grumi di materiale più denso. Le cime dei Pilastri altro non sono che questo: grumi di materiale più denso che fanno da “scudo” al materiale sottostante, impedendone l'erosione. Ecco come si sono formati i pilastri!
In quei punti il gas è più denso perché sta collassando per formare nuove stelle. In pratica, le punte dei Pilastri sono dei bozzoli in cui stanno nascendo nuovi astri e nuovi pianeti!

Il confronto sull'immagine catturata dal James Webb e da Hubble

Mettendo a confronto l'immagine dei Pilastri di Hubble del 2015 e quella recentissima di Webb, si notano forti somiglianze ma anche forti differenze. Per esempio, Webb cattura molte più stelle di sfondo e dei Pilastri decisamente meno opachi.
Questo è dovuto non solo alle differenze ottiche tra i due telescopi, ma soprattutto alla luce che stanno osservando. Hubble osserva luce visibile, mentre James Webb ha realizzato questa immagine nel vicino infrarosso.

Confronto tra i Pilastri visti da Hubble (a sinistra) e da James Webb (a destra).
Confronto tra i Pilastri visti da Hubble (a sinistra) e da James Webb (a destra) (credit: NASA, ESA, CSA, STScI, Hubble Heritage Project (STScI, AURA)).

Gas e polveri che compongono i Pilastri sono opachi in luce visibile, ma traslucidi nel vicino infrarosso. Ecco che Webb riesce quindi a sbirciare al loro interno, mentre Hubble ci mostra soprattutto la superficie esterna della nube. Webb riesce a osservare stelle che abitano dentro i Pilastri che in luce visibile non si riescono a osservare. Anche il gas della nebulosa che fa da sfondo è molto più trasparente negli infrarossi, motivo per cui Webb trova molte più stelle al suo interno.
In generale, in queste immagini il passaggio generazionale tra i due telescopi spaziali si fa notare. L'immagine di Webb è decisamente più ricca di dettaglio, anche grazie a uno specchio molto più grande (6,5 metri di diametro per James Webb, contro i 2,4 metri di Hubble). L'immagine di Webb è impressionante tanto quanto lo erano all'epoca quelle di Hubble!

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Filippo Bonaventura
Content editor coordinator
Laureato in Astrofisica all’Università di Trieste e ha conseguito un Master in Comunicazione della Scienza presso la SISSA di Trieste. È stato coordinatore della rivista di astronomia «Le Stelle», fondata da Margherita Hack. Insieme a Lorenzo Colombo e Matteo Miluzio gestisce il progetto di divulgazione astronomica «Chi ha paura del buio?». Vive e lavora a Milano.
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