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31 Gennaio 2025
7:00

La vera storia di Dina Sanichar, il bambino allevato dai lupi che potrebbe aver ispirato Mowgli

Dina Sanichar è stato un bambino selvaggio, allevato fin dalla tenera età da un branco di lupi nella giungla indiana. Spesso considerato il "vero Mowgli", una volta riportato nella società, Dina non riuscì mai a sviluppare pienamente abitudini e abilità umane. Ecco la sua incredibile storia, che ha contribuito a farci comprendere il ruolo delle prime esperienze di vita nello sviluppo del cervello.

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La vera storia di Dina Sanichar, il bambino allevato dai lupi che potrebbe aver ispirato Mowgli
dina sanichar feral child
Dina Sanichar. Credit: Rijksmuseum, via Wikimedia Commons

Dina Sanichar è stato uno dei casi più emblematici di feral children, cioè bambini cresciuti lontani dal contatto umano, accuditi da animali in ambienti selvatici. Fu trovato da un gruppo di cacciatori nella regione indiana di Bulandhahr nel 1867 quando aveva circa 6 anni; era cresciuto con un branco di lupi, mangiando carne cruda e imparando a comportarsi come loro. Dina continuò a esibire comportamenti animaleschi anche dopo vent’anni trascorsi in un orfanotrofio, durante i quali si cercò di educarlo alle abitudini umane. Una caratteristica comune a tutti i feral children, infatti, è l'acquisizione di tratti e comportamenti simili a quelli della specie che li ha allevati, che spesso sono mantenuti anche dopo il reinserimento nella società. Questo fenomeno è legato alla straordinaria plasticità del cervello umano nelle prime fasi dello sviluppo, che permette all’uomo di adattarsi all'ambiente circostante.

L'incredibile storia del “vero Mowgli” – come talvolta è soprannominato Dina – ricorda quella dell'omonimo bambino protagonista di Il libro della giungla di Rudyard Kipling pubblicato nel 1894 (anno della morte di Dina Sanichar) e adattato da Disney nell'omonimo film di animazione del 1967. A causa della contemporaneità degli eventi e delle sorprendenti somiglianze tra le due storie, molti sostengono che Kipling si sia ispirato proprio a Dina Sanichar per creare il personaggio di Mowgli. Tuttavia, l'autore non ha mai confermato questa teoria, sostenendo di aver tratto ispirazione da diverse storie e leggende.

Il ritrovamento di Dina Sanichar

Nel 1867, un gruppo di cacciatori del distretto di Bulandshahr, nell’India settentrionale, notò un bambino completamente nudo che correva nella giungla, inseguito da un branco di lupi. I cacciatori si allarmarono immediatamente temendo per il destino del malcapitato che, forse ferito a una gamba, si muoveva a quattro zampe, esattamente come gli animali che lo inseguivano. Improvvisamente, il piccolo si rifugiò in una grotta, seguito dai lupi che scomparvero nel buio insieme a lui.

Convinti che i lupi stessero per trasformare il bambino nella loro prossima preda, i cacciatori accesero delle fiaccole, entrarono nella grotta e, dopo aver messo in fuga gli animali, lo portarono in salvo. Una volta all’aperto, tuttavia, ciò che videro li lasciò sbigottiti. Il piccolo, che aveva circa 6 anni, non sembrava un normale bambino: i suoi canini erano affilati, le sue mani somigliavano ad artigli e la sua schiena curva impediva qualunque tentativo di farlo camminare in posizione eretta. Non parlava, ma emetteva ululati. Quel bambino non stava fuggendo dai lupi: sembrava, piuttosto, uno di loro.

Dina non riuscì mai ad adattarsi alle regole della civiltà umana

I cacciatori portarono il bambino nella vicina città di Agra, dove venne affidato all'orfanotrofio della missione Sikandra ad Agra, con l’intento di introdurlo nella civiltà umana. Poiché era stato trovato di sabato, gli fu dato il nome di Sanichar, che in hindi significa appunto "sabato".

La sua vita nell’orfanotrofio si rivelò subito difficile. A causa del suo comportamento animalesco, Dina non riusciva ad adattarsi alle abitudini umane: camminava con difficoltà su due gambe e rifiutava categoricamente di indossare vestiti. Si nutriva voracemente solo di carne cruda, scacciando ogni altro tipo di cibo dopo averlo annusato accuratamente. Nel tempo, Dina imparò a fatica a camminare su due gambe e ad indossare vestiti, ma non riuscì mai completamente ad acquisire le abitudini e le abilità tipiche degli esseri umani, mantenendo un comportamento animalesco.

Dina inoltre non riusciva a interagire con gli altri bambini dell'orfanotrofio: era incapace di comunicare o di comportarsi secondo le norme sociali. Dina riuscì a entrare in sintonia solo con un altro bambino selvaggio, che, come lui, aveva trascorso l'infanzia nella foresta. Uno dei pochi comportamenti umani che apprese fu il vizio del fumo, che peggiorò la sua salute. Morì di tubercolosi nel 1895, all'età di circa 35 anni.

Le modalità di sviluppo del cervello nei feral children

Il fenomeno dell'adattamento quasi perfetto al comportamento animale che si verifica frequentemente nei bambini selvaggi ha una spiegazione nelle straordinarie dinamiche dello sviluppo cerebrale umano.

Lo sviluppo del cervello umano può essere paragonato alla preparazione dell'impasto di una torta: inizialmente è una massa informe, che può assumere qualsiasi forma — tonda, quadrata o a stella — a seconda dello stampo in cui viene cotta. Allo stesso modo, durante lo sviluppo embrionale, il nostro DNA costruisce una sorta di "impalcatura" di reti neurali di base. Tuttavia, è l’esperienza che modella e affina questi circuiti, conferendo loro la forma definitiva.

Per alcune abilità, come l’apprendimento del linguaggio o del comportamento sociale, questo processo è legato a periodi critici, ossia fasi circoscritte dello sviluppo in cui il cervello è particolarmente plastico e sensibile agli stimoli esterni. Se in questa finestra temporale non ci sono le giuste stimolazioni, lo sviluppo di certe capacità può essere compromesso in modo irreversibile. Nel caso del linguaggio, per esempio, il periodo critico si colloca nella prima infanzia: senza adeguati stimoli in questa fase, un bambino non imparerà mai a parlare correttamente.

La storia di Dina è un chiaro esempio di questo meccanismo. Pur non avendo mai appreso il linguaggio umano né le convenzioni sociali, non era privo di capacità comunicative. Durante la sua infanzia, vissuta con i lupi, aveva imparato a imitare le loro abitudini e il loro sistema di comunicazione, composto da ululati e ringhi, adattandosi agli stimoli presenti nel suo ambiente. Il processo inverso – l'adattamento al comportamento sociale umano – si è rivelato molto più difficile per Dina, come per molti altri feral children, per via della ridotta plasticità del cervello una volta superati i periodi critici dello sviluppo cerebrale.

Da un certo punto di vista, è proprio questo il vero punto di forza dell’essere umano: non tanto la grandezza del cervello, ma la sua straordinaria flessibilità e la capacità di adattarsi e rispondere alle caratteristiche e alle sfide dell’ambiente circostante.

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