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5 Ottobre 2025
15:00

Le razze umane non esistono, ma la società continua a usarle: il peso di una parola che divide

La nozione di “razza” per la specie umana non ha basi biologiche: è una costruzione storica nata per giustificare schiavitù, colonialismo e disuguaglianze. La scienza dimostra che tutti gli esseri umani condividono quasi interamente il DNA, ma la parola sopravvive come categoria sociale.

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Le razze umane non esistono, ma la società continua a usarle: il peso di una parola che divide
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La parola "razza" ci accompagna da secoli, eppure continua a essere una delle più controverse: è entrata nella quotidianità, nei documenti ufficiali, nelle leggi, nelle discussioni politiche, fino a diventare a un termine che potrebbe sembrare naturale ma non lo è. Parlare di "razze umane" significa muoversi in un campo scivoloso, fatto di storia, di pregiudizi e di potere: nata per giustificare schiavitù e colonizzazioni, ha alimentato gerarchie e violenze, fino a diventare un mito smontato dalla scienza, ma ancora vivo nelle sue conseguenze sociali.

La classificazione degli esseri umani in 5 razze

L'espansione coloniale europea a partire dal XV secolo sollevò una domanda cruciale: come giustificare la conquista, la schiavitù e il dominio? É da qui in poi che prende forma l'idea di razza. Per gran parte della storia, gli esseri umani hanno distinto il "noi" dagli "altri" in base a criteri culturali o religiosi: i cristiani e i pagani, i musulmani e gli infedeli, i sedentari e i nomadi, l'idea che le differenze fossero scritte nei corpi, nel colore della pelle o nei tratti fisici dunque, non è un concetto nato in laboratorio, ma nello spazio delle navi negriere, delle piantagioni, delle amministrazioni coloniali.

Nel XVIII secolo la scienza moderna comincia a occuparsi sistematicamente delle differenze tra gli esseri umani. Carl Linnaeus, celebre naturalista svedese, nel 1735 inserisce l'uomo nella sua tassonomia e lo suddivide in varietà legate ai continenti: Homo europaeus, asiaticus, africanus e americanusA ciascuno attribuisce caratteristiche fisiche e morali, creando gerarchie implicite.

Pochi decenni dopo, Johann Friedrich Blumenbach, medico tedesco, elabora una classificazione in cinque razze: caucasica, mongolica, etiope, americana e malese. Sebbene il suo intento fosse descrittivo, la sua terminologia si diffonde enormemente e diventa la base per molte teorie successive.

Nel XIX secolo, con lo sviluppo del colonialismo e la necessità di giustificare le disuguaglianze sociali ed economiche, le teorie razziali si moltiplicano. La frenologia (lo studio della forma del cranio), l'antropometria (le misurazioni fisiche) e più tardi l'eugenetica costruiscono un immaginario in cui le differenze culturali vengono lette come differenze biologiche.

L'idea della razza non era neutrale: serviva a stabilire chi avesse diritto a comandare e chi dovesse obbedire. Serviva a giustificare la schiavitù degli africani nelle piantagioni americane, l'espropriazione delle terre indigene, la colonizzazione di interi continenti. Più tardi, nel Novecento, le teorie razziali sarebbero state utilizzate per legittimare regimi totalitari e genocidi, come quello nazista. In questo senso, la razza non è mai stata solo una categoria scientifica, ma soprattutto uno strumento politico.

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Il primo numero di "La difesa della Razza", rivista fascista, del 5 agosto 1938; via Wikimedia Commons

Perché per la scienza le razze umane non esistono

Con il XX secolo, però, le certezze cominciarono a crollare: l'antropologo Franz Boas dimostrò che i tratti fisici sono molto più variabili di quanto si potesse pensare e che le differenze culturali non hanno basi biologiche.

La genetica, a partire dagli anni '50, conferma che tutti gli esseri umani appartengono a un'unica specie e condividono oltre il 99,9% del patrimonio genetico. Le differenze che percepiamo come "razziali" (colore della pelle, tratti somatici, capelli), sono variazioni superficiali, il risultato di adattamenti ambientali millenari. Ad avallare queste nuove tesi, UNESCO, nel 1950, pubblica una dichiarazione in cui si afferma chiaramente che non esistono razze biologiche umane e che quindi, più che categorie naturali, le razze sono "miti" sociali.

La razza come costruzione sociale

Se la scienza ha smontato l'idea biologica di razza, la società continua a usarla. Perché, anche se le razze non esistono in senso naturale, esistono nelle conseguenze sociali. Essere percepiti come "nero", "bianco", "asiatico" o "indigeno" può determinare, tristemente, il lavoro che si ottiene, la possibilità di affittare una casa, la probabilità di subire controlli di polizia, l'accesso alle cure mediche di base.

Gli studiosi parlano quindi di razza come costruzione sociale: una categoria inventata, ma che ha effetti reali. Ignorare la parola potrebbe voler dire ignorare anche le discriminazioni e le disuguaglianze che produce.

Il dibattito sull'uso del termine "razza" resta aperto. Alcuni sostengono che sia meglio abbandonarlo, sostituendolo con concetti come "etnia", "origine" o "cultura", perché continuare a parlare di razza rischierebbe di mantenere in vita una finzione pericolosa. D'altro canto, altri ritengono che sia necessario usare la parola con consapevolezza critica.

Nei movimenti per i diritti civili, come il Black Lives Matter, il termine "razza" serve a denunciare il razzismo sistemico: non per affermare che le razze esistano biologicamente, ma per rendere visibile come vengono costruite socialmente. In Italia, la parola "razza" compare ancora nella Costituzione, all'articolo 3, che vieta discriminazioni di "razza". Negli ultimi anni c'è chi ha proposto di sostituirla con "origine etnica", ma il cambio non è, per ora, stato approvato.

Se quindi la razza non è una realtà naturale ma un'invenzione storica, nata per giustificare disuguaglianze e sfruttamenti, oggi sappiamo che le razze non esistono in senso biologico, ma esistono i loro effetti sociali e politici. Forse la domanda non è tanto se dobbiamo ancora usare questa parola, ma come usarla: non per dividere, ma per smascherare le disuguaglianze che ha creato e che, purtroppo, continuano a condizionare il nostro presente.

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