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Questa storia ha tutti gli ingredienti per sembrare un film hollywoodiano: spionaggio, missioni pericolose e ostaggi, perfino degli elicotteri in mezzo ad una tempesta di sabbia.
Ma soprattutto, questo evento è uno spartiacque: segna l'inizio di una lunga crisi tra due Paesi, gli Stati Uniti e i paesi Occidentali da una parte e l'Iran dall'altra, i cui effetti perdurano tristemente ancora oggi.
In questo articolo, ripercorriamo la crisi degli ostaggi nell'ambasciata americana in Iran, dal 1979 al 1981.
Il contesto storico: la rivoluzione islamica e l'assalto all'ambasciata USA
Prima di tutto, occorre avere un po’ di contesto storico: è il novembre del 1979. In Iran, c'è stata da diversi mesi la rivoluzione islamica, ovvero quel movimento che portò alla nascita dello stato islamico e ad un progressivo deterioramento dei rapporti con l'Occidente.
La nostra storia comincia proprio nel clima ancora confuso dei primi mesi dopo la rivoluzione: il 4 novembre 1979, un gruppo di centinaia di studenti e manifestanti iraniani, per esprimere il proprio dissenso contro gli Stati Uniti, prese d'assalto l'ambasciata statunitense a Teheran, tenendo in ostaggio una cinquantina di cittadini americani, tra funzionari e dipendenti dell'ambasciata. È un atto gravissimo.
Tutte le trattative diplomatiche avviate nei mesi successivi fallirono, così ci furono dei rocamboleschi tentativi per metterli in salvo.

La liberazione dei primi sei ostaggi: la finta troupe cinematografica
Durante l'assalto all'ambasciata, sei diplomatici americani riescono a fuggire dall'edificio e a rifugiarsi presso l'ambasciata canadese a Teheran, che era stata risparmiata dai rivoltosi iraniani. La salvezza era comunque ancora lontana: dovevano stare nascosti in quell'edificio, impossibilitati a tornare negli Stati Uniti, con i rivoltosi che erano sulle loro tracce. Il Dipartimento di Stato americano pensa a come metterli in salvo.
Entra così in gioco il regista, l'artefice della rocambolesca missione di salvataggio: Tony Mendez, un agente della CIA. Il piano prevede questo: lui e altri colleghi si recano sotto copertura in Iran, fingendo di essere membri di una troupe cinematografica che doveva girare un documentario su luoghi esotici. Si affidano persino ad un produttore cinematografico per organizzare una falsa promozione del film, che avrebbe avuto il titolo di Argo. Vengono prodotte anche delle finte locandine del film.

Sotto le vesti di un finto regista, Mendez arriva in Iran e incontra i sei ostaggi, ai quali fornisce passaporti canadesi falsi e identità fittizie. Il piano è estremamente rischioso, poiché i sei potrebbero essere riconosciuti in qualsiasi momento.
Il gruppo si dirige verso l'aeroporto, ma inizialmente il governo americano considera l'operazione troppo pericolosa e decide di annullarla all'ultimo minuto. Ma poi, nonostante i rischi, si procede: il gruppo sta per imbarcarsi, quando i funzionari dell'aeroporto ricevono l'ordine di bloccare l'aereo. Ma il tempo gioca a favore degli ostaggi: la finta troupe è già partita, e i sei sono in salvo, in volo verso gli Stati Uniti.
Questa operazione è conosciuta come Canadian Caper e ispirò il film americano Argo, vincitore di 3 premi Oscar.
La fallimentare operazione Eagle Claw per mettere in salvo gli altri ostaggi
Dopo sei mesi dal sequestro, una cinquantina di ostaggi sono ancora rinchiusi nell'ambasciata statunitense. Le trattative, condotte dal presidente americano Jimmy Carter, non vanno avanti. Così il governo americano decide di procedere con l'operazione di salvataggio denominata Eagle Claw. Si tratta di una missione complessa e rischiosa, condotta nell'aprile 1980 da Delta Force, ovvero il primo reparto di forze speciali anti-terrorismo dell'esercito americano.
Questo è il piano:
- quattro aerei C-130, carichi di carburante e soldati, insieme a otto elicotteri, si sarebbero recati in Iran. Avrebbero volato a bassa quota per sfuggire ai radar, fino a raggiungere un punto base in un luogo isolato in mezzo al deserto, a circa 700 km da Teheran, denominato Desert One.

- Dopo aver effettuato rifornimento di carburante, gli otto elicotteri avrebbero proseguito verso un altro punto base, Desert Two, a pochi chilometri da Teheran. Qui avrebbero atteso il calar della notte, utilizzando reti mimetiche per non farsi individuare.
- Infine, nel cuore della notte, un gruppo di agenti si sarebbe diretto in auto verso Teheran, per assaltare l'ambasciata e trasferire gli ostaggi nello stadio della città, da dove gli elicotteri li avrebbero evacuati.
La tempesta di sabbia e l'incidente mortale tra l'elicottero e l'aereo
Il piano era molto delicato, prevedeva tanti passaggi che dovevano incastrarsi perfettamente, ma numerosi imprevisti portarono al suo fallimento.
Gli aerei e gli elicotteri giungono a Desert One, la prima base in mezzo al deserto, che avrebbe dovuto essere un luogo isolato. E invece improvvisamente compare un furgoncino. Per evitare di essere visti, gli americani decidono di lanciare un missile anticarro, ma quel furgoncino è in realtà una cisterna piena di gas, che passava da lì casualmente. La cisterna salta in aria, illuminando l'intera zona e rischiando di rivelare la posizione degli aerei e degli elicotteri. Poco dopo, passa un altro veicolo, ma questa volta i militari decidono di non sparargli contro, ma di trattenere gli occupanti del mezzo per tutta la durata della missione.

Nonostante i primi intoppi, parte la seconda parte dell'operazione: gli elicotteri si mettono in volo verso Desert Two. Ma nel cuore della notte vengono sorpresi da una tempesta di sabbia, e il volo è reso ancora più difficile dal fatto che sono costretti a volare a bassa quota, per non essere visti dai radar. Mano a mano, durante la traversata, la formazione perde pezzi: due elicotteri accusano problemi alla strumentazione e tornano alla base Desert One, un altro riesce ad arrivare a Desert Two, ma a causa degli ingenti danni che ha subito, decide di tornare indietro. Gli elicotteri che non hanno subito danni sono solo cinque. Il numero è insufficiente per continuare la missione: il presidente americano Carter decide di abortire l'operazione.

Ma i guai non sono ancora finiti. Gli elicotteri tornano tutti a Desert One, dove si ricongiungono con i quattro aerei C-130. Ora, tutti i mezzi, elicotteri e aerei, devono abbandonare al più presto l'Iran. Ma le operazioni non sono semplici: non è facile muoversi in mezzo alla sabbia del deserto, con il rischio di essere scovati. Nel tentativo di far decollare un elicottero, con la sabbia alzata dal vento che riduce la visibilità, le pale dell'elicottero tranciano la fusoliera di un aereo C-130, che salta in aria e scoppia un incendio.
Nel caos del momento, i militari pensano di essere sotto attacco e, con i mezzi che sono rimasti intatti, riescono a decollare e ad abbandonare il deserto iraniano.
In totale, nell'operazione Eagle Claw perdono la vita otto militari americani, e un civile iraniano, alla guida dell'autocisterna. L'operazione è fallita e rappresenta un disastro per l'amministrazione del presidente americano Carter.
Epilogo: l'accordo diplomatico per la messa in salvo degli ostaggi
Il 19 gennaio 1981, più di un anno dopo l'assalto all'ambasciata, ad Algeri venne firmato un accordo tra Stati Uniti e Iran, che prevedeva la liberazione di tutti gli ostaggi e lo scongelamento dei beni iraniani bloccati nelle banche americane a seguito della rivoluzione. Questo episodio avvenne subito dopo la rivoluzione islamica e segnò l'inizio di rapporti estremamente tesi tra il regime iraniano di Teheran e i Paesi Occidentali. Purtroppo, quella tensione persiste ancora oggi.