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10 Luglio 2025
8:00

L’AI sta rivoluzionando le ricerche su Google: gli effetti per l’editoria digitale e i timori dell’UE

L’AI sta rivoluzionando la ricerca online fornendo risposte sintetiche che riducono i click ai siti editoriali, danneggiando l’editoria. Secondo Salvatore Aranzulla le intelligenze artificiali si stanno focalizzando troppo sull'utente e ignorando completamente gli editori.

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L’AI sta rivoluzionando le ricerche su Google: gli effetti per l’editoria digitale e i timori dell’UE
Con il contributo di Salvatore Aranzulla
Blogger e divulgatore informatico
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Le tecnologie di intelligenza artificiale come ChatGPT e le Panoramiche AI di Google (o AI Overview che dir si voglia) stanno rivoluzionando il modo in cui accediamo alle informazioni su Internet. Se fino a poco tempo fa la maggior parte di noi si affidava ai classici link blu nei risultati di ricerca per trovare le risposte alle proprie domande, oggi siamo sempre più abituati a ricevere informazioni direttamente sotto forma di sintesi automatiche generate dall'AI, senza dover visitare alcun sito.

Questo cambiamento ha effetti profondi non solo sull'esperienza utente, ma anche sull'economia dei media online che hanno fatto dei “click” il proprio core business: il traffico verso siti di notizie e contenuti originali sta diminuendo sensibilmente, minando modelli economici consolidati – e altamente remunerativi – per molteplici editori. Allo stesso tempo, però, le ricerche aumentano, diventano più complesse, specifiche e conversazionali, con l'algoritmo di Google che pesca contenuti anche da pagine che prima erano invisibili ai più. Ecco che in uno scenario, nuovo e complesso come questo, aziende editoriali e startup stanno cercando nuove soluzioni per monetizzare e adattarsi a una rete sempre più dominata da risposte generate dall'AI.

L'impatto dell'AI su visite e guadagni dei siti Web

Da maggio 2024, con l'introduzione delle AI Overview da parte di Google, l'interazione con i motori di ricerca è cambiata radicalmente. Secondo l'analisi della società BrightEdge, le impression di ricerca – cioè il numero di volte che un risultato viene mostrato agli utenti – sono aumentate del 49%. Questo indica che le persone fanno più domande, su una gamma sempre più vasta di argomenti, presumibilmente invogliate dalla possibilità di ricevere risposte sempre più ricche e dettagliate direttamente nei risultati.

A questo aumento, però, non è corrisposto un incremento proporzionale del CTR (Click-Through Rate), ovvero il tasso di click sui link, è crollato di quasi il 30% (da maggio 2024 a maggio 2025). Questo perché molti utenti difatti si fermano alla risposta sintetica generata dall'AI e non sentono più la necessità di cliccare su un link per approfondire la propria richiesta visitando un sito Web, con effetti immediati e impattanti sul traffico degli editori online.

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La parte arancione del grafico evidenzia il calo del 30% del CRT. Credit: BrightEdge.

Prendiamo come esempio il New York Times. Secondo un report stilato da SimilarWeb (citato dal Wall Street Journal) il traffico proveniente da utenti umani è passato dal 44% (aprile 2022) al 36,5% (aprile 2025). Una flessione di quasi otto punti percentuali, che rappresenta un serio problema per un player così importante dell'editoria online.  A detta di Google lo scenario non sarebbe così catastrofico come sembra, visto che a suo dire gli utenti trascorrono più tempo sulle pagine che visitano tramite i link di approfondimento forniti da AI Overview. Peccato, però, che in discussione non è tanto il tempo di permanenza su un sito, ma quanto spesso gli utenti decidano di approfondire le panoramiche generate dall'AI. Frequenza che, dati alla mano, è calata sensibilmente.

Per “tamponare” la situazione, Google ha reso pubblico nei giorni scorsi Offerwall, uno strumento disponibile gratuitamente su Google Ad Manager, tramite il quale gli editori possono offrire ai lettori diversi metodi per accedere ai contenuti, come micropagamenti, sondaggi, visione di annunci, iscrizioni a newsletter e altro ancora. Google utilizza l'intelligenza artificiale per determinare il momento migliore per mostrare Offerwall ai visitatori, ma gli editori hanno comunque la possibilità di impostare soglie personalizzate e, grazie alla collaborazione con Supertab, i lettori possono pagare per un accesso temporaneo ai contenuti (ad esempio per 24 ore o una settimana), oppure sottoscrivere un abbonamento. Molti dei modelli proposti, come i micropagamenti, non hanno avuto successo in passato a causa di problemi economici e di usabilità, ma Google spera che l'integrazione nativa con Ad Manager renda l'esperienza più fluida e sostenibile. Sebbene l'azienda non abbia condiviso dettagli completi sui risultati dei test, ha riferito che, durante un periodo di sperimentazione durato oltre un anno con 1.000 editori, le entrate medie sono aumentate del 9%. Ma se Offerwall sarà o meno una soluzione concreta al problema dell'AI “mangia-traffico”, è ancora presto per dirlo.

L'impatto dell'AI sulle abitudini di ricerca

Una cosa è certa: l'AI ha impattato profondamente sulle abitudini di ricerca degli utenti e, in modo particolare, sul tipo di domande che questi pongono ai motori di ricerca stessi. Le query – ovvero le parole che digitiamo nella barra di ricerca – sono diventate più lunghe e articolate. Quelle con più di otto parole sono aumentate del 7%, e sempre più spesso generano una Panoramica AI. Dove prima scrivevamo semplicemente “efficienza pannelli solari”, oggi chiediamo “come ottimizzare l'efficienza dei pannelli solari in climi nuvolosi”, ricevendo una risposta completa e contestualizzata, senza dover “saltellare” da un link all'altro. Per l'utente questo può essere un relativo vantaggio (e ora ci arriveremo al perché parliamo di vantaggio relativo), ma per gli editori è sicuramente una perdita di traffico e introiti pubblicitari. Questo tipo di ricerca, detta conversazionale, rispecchia le aspettative create da strumenti come AI Overview e ChatGPT, che rispondono con frasi articolate e con un tono naturale e accomodante. Se da un lato rende la ricerca più semplice per l'utente, va considerato il fatto che i riassunti generati dall'AI possono contenere errori. E se l'utente non approfondisce la “pappa pronta” fornita dall'intelligenza artificiale, potrebbe non accorgersene affatto.

Anche il linguaggio utilizzato nelle ricerche online sta cambiando: sempre più utenti usano termini tecnici e specialistici, segno che si aspettano risposte dettagliate e di livello avanzato. Il volume di query contenenti vocabolario settoriale – ad esempio in ambiti come finanza, sanità e tecnologia – è cresciuto del 48,3% rispetto all'anno precedente. È un chiaro segnale che il pubblico si fida delle AI anche per spiegazioni complesse, che un tempo erano relegate a forum di nicchia o pubblicazioni specialistiche.

L'AI sta riscrivendo il mercato dell'editoria online

Un altro effetto collaterale dell'AI sull'editoria online riguarda la trasformazione del modo in cui Google seleziona le fonti informative. In passato, le prime dieci posizioni nei risultati organici monopolizzavano l'attenzione e il traffico. Ora, però, le AI Overview citano sempre più spesso contenuti provenienti da pagine che si trovano ben oltre la prima pagina. Dopo un aggiornamento dell'algoritmo a marzo 2025, le citazioni da risultati posizionati tra il 21° e il 30° posto sono aumentate del 400%, e quelle tra il 31° e il 100° posto del 200%. Significa che anche contenuti meno visibili possono guadagnare spazio grazie all'AI, se ritenuti rilevanti.

Questa dinamica, se ci pensiamo bene, ha effetti paradossali. Da un lato, si democratizza l'accesso alle fonti informative: non solo i colossi editoriali, ma anche piccoli siti ben documentati possono essere citati. Dall'altro, però, se gli utenti non cliccano più sui link, il valore economico della visibilità diminuisce. Per questo motivo, molte testate stanno cercando di stringere accordi con le aziende di AI per tutelare i propri contenuti. Il New York Times, ad esempio, ha concesso in licenza i propri articoli ad Amazon per l'addestramento delle sue piattaforme AI. Altri importanti editori, come The Atlantic e The Washington Post, hanno deciso di collaborare con OpenAI, mentre Perplexity propone un modello che prevede la condivisione dei ricavi pubblicitari con gli editori i cui contenuti vengono utilizzati dal chatbot.

Gli editori UE denunciano Google

Visto l'impatto che AI Overview (e, più in generale, l'intelligenza artificiale) sta avendo sul mercato dei contenuti online, un gruppo di editori indipendenti ha denunciato Google alla Commissione Europea, accusandola di abusare della sua posizione dominante nella ricerca online. Il reclamo riguarda proprio i riepiloghi generati tramite AI che Google mostra in cima ai risultati di ricerca. Secondo i fautori della denuncia, questi contenuti utilizzano materiale degli editori senza possibilità di rinuncia, penalizzando il contenuto originale. I firmatari, tra cui l'Independent Publishers Alliance, Foxglove Legal Community Interest Company e il Movement for an Open Web, chiedono una misura provvisoria da parte dell'Antitrust per evitare danni irreparabili alla concorrenza e garantire l’accesso a notizie indipendenti. Google si è difesa dalle accuse affermando che i siti ricevono ancora miliardi di click e che le nuove funzionalità AI ampliano le opportunità di scoperta. Una denuncia simile è stata inviata anche all’autorità britannica per la concorrenza, e casi analoghi sono emersi anche negli Stati Uniti.

Le priorità dell'AI: il commento di Salvatore Aranzulla

Da questa disamina si evince, quindi, quanto la situazione dell'editoria online si sia complicata. Abbiamo approfittato di questo tema per chiedere a Salvatore Aranzulla, uno dei più noti divulgatori informatici in Italia, cosa pensa di tutta questa faccenda. Ecco il suo commento:

Questi sistemi AI forniscono la risposta all'utente e la recuperano da siti Internet editoriali, come Geopop, come Aranzulla.it, che ora vengono citati [nei riassunti basati sull'AI]. Ovviamente, fornendo [direttamente] una risposta l'utente non arriva più all'interno del sito e, quindi, i siti che vivono di pubblicità finiscono per perdere traffico, finiscono per perdere guadagni. Il punto vero è capire la sostenibilità a lungo termine. Nel senso che, se su un sito non arriva più traffico e non guadagna tramite la pubblicità, [noi editori] abbiamo meno incentivi a produrre dei contenuti di qualità e aggiornati. Se gli editori da cui queste intelligenze artificiali attingono le informazioni non producono più informazioni di qualità, le informazioni che [le AI] restituiranno all'utente saranno incomplete e parziali.

Io la vedo male, nel senso che attualmente tutte queste intelligenze artificiali si stanno focalizzando sulla parte dell'utente ignorando tutte quelle altre persone – gli editori – che pubblicano le informazioni. Il rischio è che [le AI] finiscano per perdere di qualità e quindi non possano soddisfare i bisogni dell'utente a lungo termine.

Il ragionamento di Aranzulla è chiaro: se gli editori, in un futuro non troppo lontano, dovessero decidere di non pubblicare più contenuti (perché senza introiti pubblicitari non sarebbe più economicamente sostenibile), come faranno i vari sistemi AI di turno a fornire dei riassunti di qualità a chi cercherà informazioni online? È evidente che bisogna cambiare qualcosa per evitare che il “giocattolo” si rompa.

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