
In un momento di forte tensione militare tra Iran e Israele, il governo iraniano ha invitato i suoi cittadini a cancellare l'app di messaggistica WhatsApp dai propri dispositivi. Il messaggio è stato diffuso dalla televisione di Stato (IRIB – Islamic Republic of Iran Broadcasting), che ha motivato l'invito parlando di preoccupazioni di sicurezza e riservatezza. In particolare, Teheran sostiene che WhatsApp potrebbe raccogliere e trasmettere dati sensibili degli utenti a Israele, anche se non sono state fornite prove a sostegno di questa accusa. La misura arriva in un contesto in cui Internet è soggetto a forti restrizioni nel Paese, con blackout digitali quasi totali denunciati da organizzazioni internazionali che monitorano il traffico del Web. L'app, di proprietà della statunitense Meta, ha risposto affermando che i messaggi sono protetti da crittografia end-to-end e che non vengono raccolti dati per fini di sorveglianza.
Non è la prima volta che l'Iran impone limiti all'utilizzo di WhatsApp, come già accaduto durante le proteste del 2022. Sullo sfondo si collocano anche timori più ampi riguardo alla sovranità dei dati e alla sicurezza dei metadati, ovvero le informazioni collaterali a una comunicazione (come orari, durata delle chat, interlocutori), che non sono cifrate e possono essere oggetto di sorveglianza. Vediamo più da vicino cosa sta accadendo e perché il governo iraniano sta adottando questa linea così netta contro una delle app più diffuse al mondo.
L'Iran ha invitato la popolazione a cancellare WhatsApp
Il 18 giugno scorso, la televisione di Stato iraniana ha lanciato un messaggio esplicito: «Disinstallate WhatsApp!». La motivazione ufficiale riguarda il timore che l'applicazione possa raccogliere informazioni personali degli utenti iraniani per condividerle con entità legate a Israele, proprio nel momento in cui le tensioni tra i due Paesi sono arrivate a livelli preoccupanti.
La richiesta del governo non si limita a WhatsApp, ma si estende anche ad altre «app basate sulla posizione», ovvero quelle applicazioni che raccolgono dati GPS per funzionare. Nonostante la gravità delle accuse, la trasmissione televisiva non ha presentato prove concrete che dimostrino un uso improprio dei dati da parte dell'app. A complicare il quadro, nelle stesse ore in Iran si è registrato un quasi totale blackout di Internet, secondo quanto riportato da NetBlocks, organizzazione internazionale che monitora l'accesso alla rete e la libertà digitale nel mondo. Questo tipo di interruzione, già adottato in passato, viene spesso utilizzato in Iran per limitare la diffusione di informazioni nei momenti più critici dal punto di vista sociale o politico.
La risposta di WhatsApp
In merito alla vicenda non è tardata ad arrivare la risposta di WhatsApp. Un portavoce dell'azienda ha definito le accuse infondate e ha sottolineato che l'app utilizza un sistema di crittografia end-to-end: significa che solo mittente e destinatario possono leggere i messaggi, poiché sono protetti da chiavi crittografiche univoche. Anche WhatsApp stessa, secondo quanto dichiarato, non può accedere al contenuto delle conversazioni. Inoltre, l'azienda ha assicurato che non traccia la posizione esatta degli utenti né conserva registri dettagliati dei messaggi. Soprattutto, ha negato di condividere dati in massa con qualsiasi governo. Questa la dichiarazione di WhatsApp rilasciata ad AP:
WhatsApp è preoccupata che queste false segnalazioni possano essere una scusa per bloccare i nostri servizi in un momento in cui le persone ne hanno più bisogno. Non tracciamo la vostra posizione esatta, non teniamo traccia dei messaggi ricevuti e non tracciamo i messaggi personali che le persone si scambiano. Non forniamo informazioni in blocco ad alcun governo.
I precedenti Iran-WhatsApp
Nonostante queste rassicurazioni, l'Iran non è nuovo a misure restrittive nei confronti delle piattaforme digitali occidentali. WhatsApp, insieme ad app come Instagram, Telegram e X (l'ex Twitter), è stata più volte bloccata o resa inaccessibile. Un caso emblematico si è verificato nel 2022, in occasione delle proteste scoppiate dopo la morte di Mahsa Amini, una giovane donna arrestata dalla Polizia Morale. In quell'occasione, l'accesso a WhatsApp venne vietato temporaneamente per ostacolare l'organizzazione delle manifestazioni.
Fatti recenti che hanno riguardato la sicurezza di WhatsApp
Tornando all'attuale situazione di WhatsApp in Iran, secondo alcuni esperti, tra cui Gregory Falco, ricercatore di sicurezza informatica, è plausibile che i dati degli utenti iraniani non vengano gestiti all'interno del Paese, bensì da server esteri. Questo significa che l’Iran non avrebbe alcun controllo diretto su come vengono trattate queste informazioni. Un altro elemento da tenere in considerazione è la gestione dei metadati, ovvero quei dati che descrivono altri dati: per esempio, chi comunica con chi, quando, per quanto tempo e da dove. A differenza del contenuto dei messaggi, questi metadati non sono protetti dalla crittografia end-to-end, e quindi potrebbero teoricamente essere raccolti da enti terzi. Non è un dettaglio marginale: l'analisi dei metadati consente, in alcuni casi, di tracciare abitudini, relazioni sociali e persino spostamenti.
Allargando un po' lo zoom sulla questione, non possiamo non ricordare anche che WhatsApp è stata più volte nel mirino di campagne di sorveglianza tramite spyware. A gennaio 2025, ad esempio, Meta ha dichiarato che un gruppo di utenti WhatsApp – tra cui il nostro collega di Fanpage Francesco Cancellato – era stato colpito da un attacco informatico attribuito a Paragon Solutions, un'azienda israeliana specializzata proprio in software di sorveglianza. In un caso precedente, nel 2019, la società NSO Group, sviluppatrice del celebre spyware Pegasus, aveva già preso di mira circa 1.400 utenti WhatsApp. L'episodio si è chiuso nel maggio 2025 con una condanna inflitta a NSO Group, che ha dovuto risarcire WhatsApp con 167 milioni di dollari.
L'invito a cancellare WhatsApp da parte dell'Iran va quindi letto alla luce di più elementi: il conflitto militare in corso, il controllo dell'informazione caratteristico di regimi come quello in Iran e, come appena argomentato, le preoccupazioni reali (ma non sempre documentate) sulla privacy digitale.