
Esiste un cactus antichissimo che, se ingerito, può provocare effetti psicotropi e allucinogeni. Si chiama peyote ed è tra le sostanze naturali più sorprendenti in assoluto, capace di amplificare le percezioni ed evocare esperienze che molte culture hanno interpretato come un contatto con il mondo degli spiriti o con le divinità.
Ma cosa succede davvero al nostro corpo quando si assume peyote?
Cos’è il peyote e come è fatto
Il peyote (Lophophora williamsii) è un piccolo cactus che cresce spontaneamente nel Texas sud-occidentale e in Messico. A differenza di molte altre cactacee, non ha spine: sulla sua superficie sono presenti piccoli ciuffi lanosi, delle piccole creste che ne hanno ispirato il nome scientifico (dal greco lophos, "cresta", e phoréo, "portare"). Questa caratteristica non è un dettaglio da poco: l’assenza di spine è compensata da una difesa chimica, la mescalina, un alcaloide dal sapore amarissimo, responsabile degli effetti psicotropi della pianta.

Origini antiche e rituali: una storia millenaria
Le proprietà del peyote erano già note alle civiltà precolombiane circa 5000 anni fa. Resti di “bottoni” di peyote – la parte superficiale della pianta essiccata per il consumo – sono stati ritrovati in una grotta del Texas e datati al 3700 a.C.
Il peyote veniva (e in alcuni casi viene ancora) utilizzato in contesti rituali e religiosi per favorire visioni, connessione con gli antenati e stati di coscienza alterati. Oggi il consumo di mescalina è illegale quasi ovunque, ma in alcuni stati americani è consentito durante cerimonie religiose riconosciute dalla Native American Church.

Che effetto ha sul corpo e sul cervello
L’assunzione avviene principalmente per via orale, attraverso i bottoni essiccati, freschi o ridotti in polvere. Il gusto estremamente amaro può provocare nausea e vomito già nei primi minuti. Una volta ingerita, la mescalina viene assorbita a livello intestinale e raggiunge il fegato: una parte viene metabolizzata ed eliminata, un’altra entra in circolazione nel sangue.
I primi effetti fisiologici comprendono aumento della pressione sanguigna, tachicardia, dilatazione delle pupille e sensazione di calore.
A differenza dell’LSD, la mescalina attraversa con difficoltà la barriera ematoencefalica – il “filtro” che protegge il cervello – perché è poco lipofila. Per questo sono necessarie dosi più elevate: durante i rituali si possono assumere anche dieci bottoni di peyote.
Dopo circa 1-2 ore, la mescalina raggiunge il cervello e cominciano gli effetti psicotropi.

La mescalina ha una struttura simile alla serotonina, il neurotrasmettitore legato al buon umore. Riesce così a legarsi a recettori serotoninergici come i 5HT2A e i 5HT2C, alterando percezioni, pensieri ed emozioni.
Gli effetti tipici comprendono: allucinazioni visive e uditive, distorsione della percezione del tempo, aumento della sensibilità tattile e sonora, sensazione di distacco dalla realtà o depersonalizzazione, sinestesia (percezione incrociata dei sensi: quindi “vedere” i suoni o “sentire” i colori).
In contesti rituali, molte persone descrivono esperienze di tipo mistico o spirituale, di connessione profonda con l’universo.
Rischi, conseguenze e studi terapeutici della mescalina
Uno degli aspetti particolari della mescalina è il basso potenziale di dipendenza. A differenza di altre droghe, non stimola in modo significativo i circuiti della ricompensa legati alla dopamina, quindi non genera facilmente assuefazione.
Ciò non significa però che sia priva di rischi: dosi elevate possono causare nausea, vomito, agitazione e tachicardia e in soggetti predisposti, l’uso cronico può innescare episodi di psicosi prolungata. In rari casi, si manifesta l’HPPD (Disturbo Percettivo Persistente da Allucinogeni), con flashback visivi che possono durare mesi o anni.
Inoltre, come per tutti gli psichedelici, molto dipende dal set e setting, quindi stato mentale e contesto ambientale possono determinare se l’esperienza sarà positiva o degenererà in un “bad trip”.
Nonostante i rischi, la mescalina è al centro di ricerche per il suo potenziale terapeutico. Studi preliminari stanno valutando il suo impiego nel trattamento di depressione, ansia, disturbo post-traumatico da stress e dipendenze.
Queste sperimentazioni avvengono in contesti clinici controllati, con dosaggi precisi e supervisione medica, ben lontani dall’uso rituale o ricreativo.