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8 Agosto 2025
9:39

È morto Gianni Berengo Gardin, il maestro che ha fatto la storia del reportage in Italia

Maestro del bianco e nero, Gianni Berengo Gardin è scomparso a 94 anni dopo oltre settant’anni di carriera. È stato uno dei più grandi fotografi italiani del Novecento, capace di raccontare l’Italia attraverso la sua Leica.

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È morto Gianni Berengo Gardin, il maestro che ha fatto la storia del reportage in Italia
Gianni Berengo Gardin nella sua casa-studio a Milano, luglio 2015. Foto di Alessandra Lanza
Gianni Berengo Gardin nella sua casa–studio a Milano, luglio 2015. Fotografia di Alessandra Lanza, vietata la riproduzione

Chi pensa alle immagini di Gianni Berengo Gardin quasi sicuramente ha in mente una fotografia in bianco e nero. Che sia un perfetto gioco di incastri su un vaporetto di Venezia, città di provenienza della sua famiglia e della sua formazione; che sia il bacio di una coppia incastonato tra portici infiniti, a bordo di una vecchia automobile affacciata sui mari scozzesi o seduta, incurante, sui marciapiedi di Milano. Nel capoluogo lombardo ha vissuto per la maggior parte della sua vita, vincendo nel 2012 un Ambrogino d'Oro, la massima onorificenza civica assegnata dal Comune di Milano a chi si è distinto per un contributo speciale alla città, sia per nascita che per "adozione".

Nato a Santa Margherita Ligure il 10 ottobre 1930, Gianni Berengo Gardin è morto la sera del 6 agosto a Genova, a 94 anni, dopo aver fatto la storia della fotografia e del reportage, capace di raccontare il nostro Paese, e Venezia in particolare, con onestà. Dagli inizi degli anni Cinquanta al 2025 il reporter ha raccolto con la sua Leica e il suo riconoscibile bianco e nero un archivio di immagini sterminato, con oltre un milione e mezzo di negativi, documentando dal Dopoguerra a oggi questioni sociali, come le condizioni dei malati psichiatrici e le comunità emarginate; il mondo del lavoro e della classe operaia; la più semplice vita quotidiana e paesaggi e architetture dell'Italia e del resto del mondo.

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Vaporetto, 1960 © Gianni Berengo Gardin/Courtesy Fondazione Forma per la Fotografia

Gli esordi fotografici

Ancora fotoamatore autodidatta, ricevette dallo zio d'America, che lavorava all'International Center of Photography di New York, alcuni libri che raccoglievano le ricerche dei reporter della Farm Security Administration (agenzia governativa americana che venne istituita nel 1937 on l'obiettivo di documentare la vita rurale durante e dopo la Grande Depressione): glieli aveva consigliati Cornell Capa, fotografo ungherese-statunitense fratello del più celebre Robert. In pochi giorni, cambiarono il suo modo di guardare e di scattare, spingendolo a seguire l'esempio dei colleghi americani che lavoravano per Life e Magnum, la rivista e l'agenzia più importanti dell'epoca. «La fotografia americana era solo una certa cosa ed è quella che mi ha interessato: il reportage sociale», raccontò il fotografo. A detta sua, non si sentiva artista, ma artigiano. Non era un interprete, ma un narratore.

A poco più di vent'anni entrò a far parte del circolo fotografico di Venezia "La Gondola" e del Gruppo Friulano per una Nuova Fotografia su invito di Italo Zannier, per poi fondare, qualche anno dopo, il gruppo "Il Ponte". Le sue immagini vennero pubblicate per la prima volta nel 1954 sulla rivista settimanale Il Mondo di Mario Pannuzio, esordio a cui seguirono, con la carriera da professionista avviata nel 1962, collaborazioni con le più importante testate nazionali e internazionali, da Domus a Epoca e L'Espresso, da Le Figaro e Stern al Time, e la realizzazione di più di 250 libri fotografici e centinaia di mostre personali in tutto il mondo, di cui l'ultima alla Galleria Nazionale dell'Umbria, inaugurata lo scorso maggio e visitabile fino a fine settembre.

Dopo l'imprinting del reportage americano, tra gli incontri più importanti che Gianni Berengo Gardin ricordava ci fu quello con Ugo Mulas a Milano, che gli insegnò la distinzione tra una bella e una buona fotografia. «Da allora andai in cerca della seconda. In realtà ne ho fatte molte di belle e solo qualcuna di buona». Tra i tanti premi vinti durante la sua lunghissima carriera, ricordiamo il World Press Photo nel 1963, il Lucie Award alla carriera, nel 2008, e il Premio Kapuściński nel 2014 per il reportage, e a dimostrare che ne fece ben più di una.

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Morire di classe, 1968 © Gianni Berengo Gardin/Courtesy Fondazione Forma per la Fotografia

Il reportage sociale: dai malati psichiatrici alla provincia italiana

Il 1969 è l'anno di "Morire di classe", il suo lavoro sulle condizioni dei malati negli ospedali psichiatrici italiani, realizzato a  con la fotografa Carla Cerati e pubblicato con testi scelti dagli psichiatri Franco Basaglia e Franca Ongaro Basaglia: realizzato in quattro ospedali – quello di Gorizia, diretto da Basaglia, quello di Colorno, vicino a Parma, e quelli di Firenze e Ferrara – questo progetto fece la storia, contribuendo alla riforma degli ospedali psichiatrici in Italia (e successivamente in altri paesi) per mezzo della legge 180/1978, la cosiddetta Legge Basaglia. “Fotografavamo solo con il consenso dei malati, – raccontava il reporter. – Ma non volevamo mostrare la malattia, bensì la condizione”.

Nel 1973 collaborò invece con lo scrittore e poeta Cesare Zavattini per raccontare Luzzana, paese in provincia di Reggio Emilia, dopo i cambiamenti sociali avvenuti con l'industrializzazione: ne nacque "Un paese vent'anni dopo", seguito del primo libro che Zavattini aveva realizzato nel 1955 con il fotografo americano Paul Strand.

Alla fine degli anni Settanta Gianni Berengo Gardin collaborò con il collega Luciano D’Alessandro a "Dentro le case" (1977) e "Dentro il lavoro" (1978), raccontando la vita quotidiana nelle case delle grandi città italiane e negli stabilimenti industriali e lasciando uno dei migliori reportage su come le persone vivevano e lavoravano nell'Italia del Dopoguerra.

Tra gli anni Ottanta e i primi anni Novanta, il reporter ha seguito diversi gruppi di zingari tra Firenze, Palermo, Padova, Reggio Emilia, Trento e Bolzano, per raccontare il loro modo di vivere in modo scevro da tutti quei pregiudizi che all'epoca accompagnavano questa minoranza: "La disperata allegria. Vivere da zingari a Firenze" fu pubblicato nel 1994 e gli valse il Leica Oskar Barnack Award.

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Il passaggio in Bacino San Marco visto da via Garibaldi, Gianni Berengo Gardin © Gianni Berengo Gardin/courtesy Fondazione Forma per la Fotografia

La collaborazione con Renzo Piano e la fotografia di architettura e paesaggio

Giunto a Milano, tra le prime cose che fotografò c'erano la gente e le periferie, in particolare quella di Sesto San Giovanni, e i vari ambienti milanesi, da cui nacque il libro Gente di Milano, pubblicato nel 2010 e contenente immagini scattate a partire dagli anni Cinquanta.

Dal 1966 al 1983 il reporter ha collaborato con il Touring Club Italiano e parallelamente con l‘Istituto Geografico De Agostini, raccontando i paesaggi e le geografie di Italia ed Europa e dal 1979 il reporter ha portato avanti per oltre trent'anni una una collaborazione con l'architetto Renzo Piano, documentando la realizzazione dei suoi progetti in tutte le loro fasi, dal Centre Pompidou di Parigi all'aeroporto di Osaka, allo Stadio San Nicola di Bari, fotografati tra blocchi di cemento e operai al lavoro. In quegli stessi anni, ha collaborato con le aziende simbolo dell’industria italiana, da Olivetti a Fiat, da Alfa Romeo a IBM.

Il reporter cominciò a fotografare la sua Venezia nel 1954 e non poteva rimanere indifferente al tema delle grandi navi da crociera che entravano nel Canale della Giudecca, come "mostri lunghi due volte Piazza San Marco, alte due volte Palazzo Ducale": ecco che tra il 2012 e il 2014, svegliandosi alle cinque del mattino per fare dei veri e propri appostamenti, scattò le immagini del passaggio delle grandi navi negli angoli più caratteristici della città, consapevole dell'impatto che avrebbe avuto questa testimonianza raccolta in "Venezia e le grandi navi" e pubblicata nel 2015. Le grandi navi, dall'agosto 2021, non possono più transitare davanti a San Marco e lungo il canale della Giudecca a Venezia.

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