La storia dell'Italia nello spazio è molto più lunga di quanto si potrebbe pensare. Prima di Samantha Cristoforetti e delle missioni alla Stazione Spaziale Internazionale, il nostro paese era in prima fila nell'esplorazione dello spazio extra-atmosferico. Vediamo brevemente qual è stato il ruolo dell'Italia nell'esplorazione spaziale e quali sono state le principali personalità a prenderne parte.
I primi passi dell'Italia nello spazio
La prima metà del XX secolo è stato un periodo di grande interesse teorico e pratico verso la possibilità dei lanci spaziali: i primi pionieri della scienza astronautica sono stati probabilmente Konstantin Ciolkovskij (Russia, 1857–1935), Robert Goddard (Stati Uniti d'America, 1882–1945) e Hermann Oberth (Austria-Ungheria e Germania, 1984–1989).
Anche in Italia però era vivo l'interesse per questi argomenti. Il primo vero contributo italiano al tema dei viaggi spaziali è stato pubblicato nel 1914 da Giulio Costanzi (Roma, 1875–1965). Ingegnere e ufficiale dell'Aeronautica, pubblicò sul periodico “AER” un pezzo dal titolo “Per uscire dal Pianeta”: all'interno dell'articolo Costanzi anticipa alcune delle considerazioni che caratterizzeranno la corsa allo spazio, come l'analisi delle fonti di energia che potrebbero essere utilizzate per la propulsione, identificando tra queste l'energia atomica, oltre ad ipotizzare le problematiche fisiche e mediche che i futuri astronauti si troveranno ad affrontare, come temperatura, radiazioni, accelerazioni, e infine assenza di peso.
Di poco posteriore è Luigi Gussalli (Bologna 1885-1950): nonostante una formazione molto diversificata in vari ambiti della meccanica, Gussalli si interessò ai viaggi spaziali con intuizioni allora innovative, scrivendo diversi libri sul tema: nel 1923 pubblica “Si può tentare un viaggio dalla Terra alla Luna?”, nel 1941 “Propulsori a reazione per l'astronautica”, e infine nel 1946, appena finita la Seconda Guerra Mondiale, “I viaggi interplanetari per mezzo delle radiazioni solari” in cui ipotizza tra i primi l'utilizzo dell'energia solare come fonte di energia per il viaggio spaziale.
Il riconoscimento internazionale
Se questi studiosi avevano intrattenuto corrispondenze scientifiche con altri scienziati e ingegneri dell'epoca, il riconoscimento internazionale per gli studi astronautici italiani venne con la famiglia Crocco. Il padre, Gaetano Crocco (Napoli, 1877–1968), fisico, fu un vero e proprio visionario: fu tra i primi a proporre un razzo a stadi paralleli (come i “booster” utilizzati dallo Space Shuttle e da altri vettori più moderni), ma il suo contributo più importante è sicuramente lo studio della “fionda gravitazionale”, un meccanismo per accelerare le sonde spaziali sfruttando la gravità dei pianeti accanto cui si trovano a passare, che permette di raggiungere velocità e distanze altrimenti impensabili.
Nel suo articolo del 1956 “Giro esplorativo di un anno Terra-Marte-Venere-Terra” propone proprio una traiettoria estremamente vantaggiosa che possa toccare quei tre pianeti del Sistema Solare, che alla NASA chiamano ancora “Crocco Grand Tour”. Il figlio, Luigi Crocco (Palermo, 1909–1986), fu invece un ingegnere della propulsione e si specializzò nello studio della combustione nella propulsione a razzo.
La prima missione spaziale italiana
La fama della famiglia Crocco è ben meritata, ma il padre dell'astronautica italiana fu certamente Luigi Broglio (Mestre, 1911–2001). Ingegnere eccezionale e ottimo organizzatore, riuscì a coinvolgere l'Italia in una collaborazione spaziale con gli Stati Uniti, riuscendo a far lavorare un team tutto italiano all'interno della NASA.
Frutto del suo lavoro fu il Progetto San Marco: il 15 dicembre 1964 dalla base di Wallop Island, in Virginia, venne lanciato su un razzo Scout americano, il satellite San Marco 1, primo satellite italiano. Questo rese l'Italia la terza nazione al mondo a lanciare un satellite con un team nazionale dopo Unione Sovietica e Stati Uniti, e la quinta nazione al mondo a lanciare un oggetto in orbita. Il San Marco 1 era un satellite scientifico con la missione di fornire dati sulla densità atmosferica e sulle caratteristiche della ionosfera terrestre.
In riconoscimento del suo lavoro, a lui è dedicato il Centro spaziale "Luigi Broglio", l'unica base di lancio di proprietà italiana situata al di fuori dal territorio nazionale, in particolare nei pressi di Malindi, in Kenya, affacciato sull'Oceano Indiano. Il centro è stato utilizzato per diversi lanci tra gli anni '60 e '80, e da allora si occupa di tracciamento degli oggetti in orbita.
Il futuro dell'Italia nello spazio
Ancora oggi, l'Italia è ai primi posti per quanto riguarda le ricerche spaziali: oltre all'ASI, l'Agenzia Spaziale Italiana, l'Italia è membro fondatore dell'ESA, l'Agenzia Spaziale Europea, e collabora con le gli enti di ricerca e le agenzie spaziali più importati al mondo come NASA (Stati Uniti), CSA (Canada), JAXA (Giappone), e Roscosmos (Russia).
L'Italia ha costruito una parte importante della Stazione Spaziale Internazionale, e ha avuto tra i suoi cittadini 7 astronauti, da Franco Malerba nel 1992 fino a Samantha Cristoforetti che ha completato l'ultima missione nel 2022: altri due, Anthea Comellini e Andrea Patassa, sono stati selezionati dall'ESA per il prossimo gruppo di addestramento.