Palm Jumeirah, a Dubai, è l’isola artificiale a forma di palma composta da un tronco centrale e 17 rami. Fa parte dell'arcipelago di Palm Islands, situato al largo della costa degli Emirati Arabi Uniti, nel Golfo Persico, insieme alle isole di Palm Jebel Ali e Palm Deir. È circondata da un frangiflutti a forma di mezzaluna che la protegge, lungo 11km. Per realizzarla il sultano si è affidato a ben 12.000 ingegneri, i migliori del pianeta. Ma dietro la follia di costruire un’isola in mezzo al mare, c’era un’altra follia: quella di realizzarla solo con sabbia e pietre, senza usare cemento e acciaio (perché altrimenti che isola sarebbe stata?). Quando il sultano Amhed Bin Sulayem, CEO di una delle più grosse multinazionali degli Emirati Arabi, la DP World, disegnò inizialmente l’isola circolare, si rese conto che quella forma geometrica avrebbe incrementato la costa di Dubai solo di 7km. Fu stesso lui a modificare la forma e a dedurre che una palma gli avrebbe garantito la massima estensione di costa possibile: appunto 56km. Il primo problema fu capire come costruire un’isola evitando che il mare se la portasse via. Ma gli esperti valutarono che il Golfo Persico era il luogo perfetto per realizzare il progetto perché poco esposto a grandi correnti per l’esigua profondità (30m) e ampiezza (160km). L’unico rischio era arginare le onde provocate dalla tempesta Shamal, che in inverno può provocare onde alte fino a 2 metri. Gli ingegneri capirono che l’unico modo per realizzare l’isola era costruire un muro protettivo alto più di 2 metri, ricorrendo a una strategia: mentre un team costruiva la base di sabbia, un altro team innalzava contemporaneamente il frangiflutti.
In questo modo la base avrebbe sempre avuto l’adeguata protezione in ogni fase dei lavori, evitando che, specialmente in inverno in caso di tempesta, la parte di sabbia venisse distrutta. Per assemblare l'enorme muro protettivo, un team di scavatori ricavò la roccia dalle cave della zona, trasportando senza sosta i massi con dei camion. L’intero viaggio dalle cave al frangiflutti durava 24 ore. I lavori in questa fase non si fermarono praticamente mai, nemmeno quando l’attentato alle Torri Gemelle bloccò totalmente il turismo verso gli Emirati Arabi. Per costruire il frangiflutti vennero raccolti 5 milioni di metri cubi di roccia da 16 cave, quanti ce ne vogliono per costruire due intere piramidi egiziane. Mentre si lavorava alla costruzione del frangiflutti naturalmente bisognava capire dove prendere tutta la sabbia necessaria per realizzare la base dell’isola. Voi penserete allora: con tutto quel deserto che problema c’era? E invece no, perché essendo molto fine e poco smussata questo tipo di sabbia, praticamente liscia come una biglia, sarebbe stata spazzata via in un attimo. La sabbia perfetta era proprio sotto i loro piedi: quella del fondale marino, essendo molto più grossa e squadrata, avrebbe avuto più facilità a compattarsi formando una base resistente come la roccia. Con la tecnica del Rainbowing vennero dragati ben 94 milioni di m3 di sabbia, abbastanza, uniti alla roccia, per costruire un muro alto 2 metri e mezzo intorno al mondo. La tecnica consiste nel pompare la sabbia prelevata mediante l’uso di navi dette draghe. Per fare in modo che la sabbia ricadesse nei punti giusti e le fronde venissero precise e perfettamente curvate, da terra vennero percorsi a piedi, talvolta anche con temperature di 45°, i pezzi della base già costruiti, per inviare al satellite la posizione della nuova costa che tramite il GPS orientava il processo di Rainbowing. Nel 2004 la base di Palm Jumeirah, un’opera mai vista prima, venne completata. La nuova città era pronta ad ospitare 120.000 persone e 4000 alloggi.
Per iniziare a costruire sull’isola era necessario che la sabbia avesse il tempo di compattarsi, per diventare solida e resistente come il cemento. Ma c’era un rischio geologico da non sottovalutare: la presenza di una faglia che taglia la regione di Kerman, in Iran, che provocò nel 2003 un terremoto che rase al suolo la città di Bam facendo circa 30.000 morti. In caso di altri terremoti con epicentro in quella zona, Palm Jumeirah avrebbe rischiato di avere grossi problemi a causa del cosiddetto fenomeno della liquefazione: con la vibrazione, infatti, l’acqua si sarebbe insinuata nella sabbia non ancora compattata e l’isola sarebbe stata risucchiata dal mare. Era necessario quindi agire subito: la base di Palm Jumeirah venne completata grazie alla tecnica della vibrocompattazione, un metodo che, scuotendo le fondazioni, permise alla sabbia di compattarsi più velocemente.
Le altre isole artificiali di Dubai e The World
Pensate che Palm Jumeirah è solo la prima della trilogia di isole del progetto dell’arcipelago artificiale di Palm Island, tutte realizzate allo stesso modo, che comprende anche Palm Jebel Ali, che è il doppio di Palm Jumeirah, già completata ma non ancora edificata e Palm Deira che è ancora in fase embrionale, ma è stata progettata per avere un’estensione maggiore della città di Parigi. L’intero arcipelago, una volta completato, aggiungerebbe 520km di costa all’Emirato di Dubai. Dopo Palm Island sono nate altre idee come il “The World”questo complesso di 300 isole tutte artificiali che dall’alto somiglia al planisfero. Pensate che acquistare l’isola più “economica” qui costa ben 6 milioni di dollari.
Impatto ambientale
Un post scriptum è di dovere: se dal punto di vista ingegneristico si tratta di un'opera decisamente grandiosa, dal punto di vista dell'equilbrio naturale non lo è per niente. Non è possibile pensare che una cosa del genere non nasconda innumerevoli problemi. Uno su tutti è lo squilibrio costiero che si crea: una costa ha un suo equilibrio e, chiaramente, se crei un'isola così grande, cioè se occupi spazio e alteri le correnti, da qualche altra parte ci sarà un'erosione. Infatti la costa adiacente è soggetta continuamente a questo fenomeno e le draghe sono costantemente in azione per aggiungere, laddove si manifesta il dissesto, sempre nuova sabbia. Che follia!