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18 Giugno 2025
9:00

Perchè gli accordi suonano bene e quelli in maggiore sembrano “felici”?

Gli accordi ci sembrano piacevoli quando le note sono in proporzioni semplici tra loro. Questa scoperta, fatta da Pitagora, ha condizionato la musica occidentale. La risposta emotiva agli accordi, come l’idea che il maggiore sia felice, invece, è legata più alla cultura che alla fisica.

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Perchè gli accordi suonano bene e quelli in maggiore sembrano “felici”?
accordi chitarra perchè

La musica è quasi sempre formata da accordi, cioè da più note suonate insieme. Ma come mai alcune combinazioni suonano meglio di altre? Non si tratta di un caso, ma dipende dalla lunghezza d'onda delle note che vengono suonate: la piacevolezza dipende proprio dal rapporto matematico tra le loro lunghezze d’onda. Più il rapporto è semplice, più le note “suonano bene insieme”. Questa intuizione, già nota a Pitagora, è alla base della musica occidentale e della costruzione degli accordi che ascoltiamo ogni giorno. Gli accordi, infatti, ci sembrano “suonare bene” perché le lunghezze d’onda delle note coinvolte si combinano bene tra loro.

L’interpretazione di ciò che “suona bene”, però, non è solamente matematico, ma è anche fortemente culturale. In questo articolo vediamo com’è nata la teoria musicale di Pitagora e come alcune delle convenzioni “ovvie” per noi, non lo siano affatto in altre culture.

Il mito della bottega del fabbro di Pitagora

Secondo la tradizione, la scoperta del legame tra suono e matematica risale a Pitagora, il famoso matematico e filosofo greco. La leggenda tramandata da Giamblico di Calcide racconta che, mentre passeggiava vicino alla bottega di un fabbro, Pitagora notò che alcuni suoni prodotti dai martelli sull’incudine si combinavano in modo piacevole, mentre altri risultavano sgradevoli. In particolare, si accorse che i colpi di due martelli suonavano bene insieme se uno era grosso e pesante il doppio dell’altro. Si dice che Pitagora rimase così colpito da questo fatto da decidere di studiare il rapporto tra suoni e matematica.

Al di là della leggenda, sappiamo che la scuola pitagorica studiò in maniera approfondita il rapporto tra suono e proporzioni matematiche usando uno strumento chiamato “monocordo”: una sola corda tesa sopra una cassa di risonanza, con un ponticello mobile che permette di dividere la corda due parti di lunghezza variabile.

pitagora monocorde monocordo

I pitagorici scoprirono che dividendo la corda in rapporti semplici – a metà, a due terzi, a tre quarti – si ottenevano suoni particolarmente gradevoli, detti consonanti. Conclusero che le note che suonano bene insieme corrispondono a rapporti fra numeri semplici, mentre le combinazioni dissonanti derivano da rapporti più complessi o irrazionali. Le note così individuate, chiamate armoniche, sono diventate il fondamento della teoria musicale occidentale.

Perché le note suonano bene insieme (per gli occidentali)

Oggi sappiamo che le note armoniche hanno lunghezze d’onda proporzionali. È proprio questa caratteristica a rendere piacevoli due o più note armoniche suonate tra loro. Quando suoniamo due o più note contemporaneamente e il loro rapporto di lunghezze d’onda è semplice, il nostro cervello interpreta il suono come armonico, coerente.

Nel 2012, un gruppo di ricerca canadese ha dimostrato che per gli ascoltatori occidentali, le combinazioni di tre o più note (o accordi) risultano piacevoli quando le frequenze che le compongono sono legate da rapporti armonici. Questo effetto è anche il risultato dell’abitudine culturale: siamo cresciuti ascoltando una musica costruita proprio su questi rapporti. La teoria musicale occidentale, infatti, si basa fin dalle origini sulle intuizioni dei pitagorici. Ancora oggi, gli accordi che consideriamo “naturali” riprendono le stesse proporzioni matematiche individuate da Pitagora.

accordi musica

Questa visione dell’armonia musicale, però, è parziale. Uno studio recente del Max Planck Institute ha dimostrato che la consonanza non dipende solo dai rapporti tra le frequenze, ma anche dal timbro, cioè dalle caratteristiche sonore distintive di uno strumento. È stato osservato, ad esempio, che strumenti non occidentali come i gong possono generare suoni non armonici che risultano comunque piacevoli. Questo suggerisce che la nostra idea di “consonanza” è il risultato di una combinazione tra fattori fisici e influenze culturali.

È vero che gli accordi maggiori sono felici e quelli minori tristi?

Un’altra convinzione molto diffusa nella musica occidentale è che basti cambiare gli accordi da maggiore a minore per rendere una canzone “triste”. Ma questa associazione tra accordi ed emozioni è davvero universale? O è qualcosa che impariamo culturalmente?

Nel nostro contesto musicale, siamo abituati a collegare gli accordi maggiori a sensazioni positive (gioia, serenità) e quelli minori a emozioni negative (tristezza, malinconia). Tuttavia, studi recenti suggeriscono che si tratta di una convenzione culturale, non di una risposta naturale e universale.

Uno studio del 2021 ha confrontato le reazioni emotive di partecipanti inglesi e di due gruppi del Nord del Pakistan (Kho e Kalash). Mentre gli inglesi associavano chiaramente gli accordi maggiori alla felicità e quelli minori alla tristezza, i soggetti pakistani non mostravano questa distinzione. Un secondo studio del 2022 ha coinvolto gli Uruwa, una popolazione della Papua Nuova Guinea con scarsa esposizione alla musica occidentale. Anche in questo caso, l’associazione maggiore/felice – minore/triste non era percepita come nei campioni occidentali. Anzi, più i partecipanti erano lontani culturalmente dalla musica occidentale, meno riconoscevano questa differenza.

Questi risultati suggeriscono che l’associazione maggiore-positivo, minore-negativo è un prodotto culturale, non un’esperienza innata. Se certi suoni vengono continuamente associati a emozioni specifiche nei media, nella pubblicità o nella musica popolare, finiamo per interiorizzarne il significato emotivo.

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