
Il return trip effect (effetto del viaggio di ritorno) è un fenomeno psicologico comune che si verifica quando abbiamo la sensazione che il viaggio di ritorno da una meta duri meno rispetto all’andata, nonostante la distanza percorsa e il tempo effettivo impiegato siano identici. A oggi, i correlati neurobiologici di questo effetto non sono ancora stati chiariti, ma diversi studi suggeriscono che a giocare un ruolo chiave siano alcuni meccanismi legati alla nostra tendenza ad anticipare il futuro e alle nostre aspettative temporali. Questi fattori sembrano in grado di ingannare la nostra mente, alterando la percezione del tempo e facendoci credere che una parte del viaggio sia stata più lunga — o più breve — di quanto sia realmente stata.
Il ruolo delle aspettative nel return trip effect
Secondo alcuni studi, il return trip effect si verifica più spesso quando il viaggio d’andata precede un evento che genera forti aspettative. Pensiamo, ad esempio, all’eccitazione prima di un concerto, alla curiosità che ci accompagna verso una nuova meta turistica o al nervosismo prima di un esame importante.
In tutte queste situazioni, durante il tragitto d’andata, mentre ci dirigiamo in macchina o a piedi, non stiamo semplicemente andando da un punto A ad un punto B. Contemporaneamente, la nostra mente comincia a proiettarsi nel futuro, provando ad anticipare ciò che sta per accadere. Così, spesso ci chiediamo: “Come sarà il concerto? Sarò in grado di superare l’esame? Il ristorante sarà davvero così buono come dicono?”.
Queste aspettative sono spesso accompagnate da emozioni intense – come ansia, curiosità, eccitazione – e da reazioni fisiologiche ben precise: il cuore accelera, le pupille si dilatano, aumenta la sudorazione e viene rilasciata adrenalina. Questi stati mentali ed emotivi, come dimostrato da numerosi studi, possono alterare la nostra percezione del tempo, portandoci a sovrastimare la durata di ciò che stiamo vivendo. Così, ci sembrerà che il viaggio duri più a lungo di quanto non sia in realtà. Al contrario, durante il viaggio di ritorno, l’evento è ormai passato. Le emozioni si affievoliscono, l’attivazione fisiologica diminuisce e la mente è meno impegnata ad anticipare qualcosa.

Di conseguenza, se il viaggio di andata è accompagnato da maggiore anticipazione rispetto al ritorno, tenderemo a percepirla come più lungo. Ed è proprio qui che si manifesta il return trip effect: la sensazione che il ritorno duri meno dell’andata, anche se si percorre esattamente lo stesso tragitto.
Il ritorno da un viaggio potrebbe sembrare più veloce per un "errore di calcolo"
Secondo una visione alternativa, il return trip effect dipenderebbe da un “errore di calcolo” del nostro cervello. Alcuni studi hanno infatti dimostrato che, prima ancora di metterci in viaggio, il nostro cervello cerca di calcolare inconsciamente la durata del tragitto, compiendo sistematicamente l’errore di sottostimare il tempo necessario.
Questo vuol dire che, mentre siamo in macchina o passeggiamo verso una meta, la nostra mente ha già formulato un’aspettativa temporale su quanto durerà il viaggio, che tuttavia sarà inferiore rispetto alla durata necessaria per percorrere il tragitto. Il risultato è che all’andata, cioè quando la percezione del tempo è influenzata dalle stime della nostra mente, il tempo reale ci sembrerà più lungo del previsto, semplicemente perché supera le nostre aspettative. Durante il viaggio di ritorno, invece, il cervello si basa sull’esperienza appena vissuta. E dato che l’andata ci è sembrata lunga, tenderemo a sovrastimare la durata del ritorno! Ma anche in questo caso le nostre previsioni saranno sbagliate: percorrendo lo stesso tragitto in un tempo più breve rispetto alla stima fatta, avremo la sensazione che il ritorno sia volato.
Questo meccanismo spiega anche perché il return trip effect sia meno comune nei percorsi familiari, come quello da casa al lavoro. In questi casi, grazie alla ripetizione, il cervello impara a fare stime sempre più accurate, riducendo al minimo la discrepanza tra tempo atteso e tempo percepito.