
Il “verde di Scheele”, realizzato alle fine del ‘700 dal chimico svedese Scheele, era un composto brillantissimo che riscosse subito un grande successo data la sua tonalità simile al verde smeraldo e il suo possibile impiego in pittura, in tappezzeria sulle carte da parati, ma anche sui vestiti, nei giocattoli, in alcuni componenti di arredo e persino nelle decorazioni per dolci. Il “verde di Scheele”, però, si rivelò altamente tossico: conteneva arsenico. Nel corso del ’800 il suo utilizzo prese piede in Europa e anche oltreoceano, venne utilizzato anche sulle copertine di alcuni libri, oggi mappati nel Poison Book Project. Solo verso la fine del secolo, dopo numerosi casi di avvelenamento a causa dell’esposizione prolungata ai gas tossici rilasciati dal pigmento a base di arsenico, si scoprì la sua natura velenosa, e solo nel 1933 si decretò il suo potenziale letale.
Tra i possibili casi di personaggi “illustri” avvelenati dal pigmento verde, c’è anche Napoleone: una delle ipotesi riguardo alla sua morte, infatti, è che sia stato avvelenato a causa della lunga esposizione alla sua carta da parati che era, ovviamente, verde.
Il verde di Scheele e altri verdi velenosi
Svezia, 1775: il chimico Carl Wilhelm Scheele prepara per la prima volta un composto di colore giallo-verde, una miscela di arseniti di rame indicata con la formula CuHAsO3 e, altre volte, con Cu3(AsO3)2 o Cu(AsO2)2. Il colore è vivido, brillante e molto simile al verde smeraldo: proprio per questo, riscuote subito un gran successo. Un verde bellissimo, che passerà alla storia proprio come “verde di Scheele”, ma altamente pericoloso: la quantità di arsenico contenuta nel pigmento, infatti, rende questo colore molto velenoso e instabile in presenza di altre sostanze.

Ma per arrivare a capire che questo verde lucente è molto tossico, ci vorranno ancora parecchi anni, tant’è che nel 1814 l’azienda tedesca Wilhelm Dye and White Lead Company, con sede a Schweinfurt, mette addirittura in commercio il pigmento. Il “verde di Schweinfurt” – acetato arsenito di rame con formula chimica Cu(C2H3O2)2·3Cu(AsO2)2 – sarà usato per tingere tessuti, pareti, giocattoli, saponette, decori per dolci, ma anche per copertine di libri.
Bellissimo ed economico, il verde velenoso nei successivi 50 anni fece davvero il giro del mondo: pur essendo nota la tossicità dell’arsenico – basti pensare che a Parigi fu usato per derattizzare le fogne, da qui il nome di “verde Parigi” – ma non si riflette sul fatto che un’esposizione prolungata possa essere mortale per gli esseri umani.
Gli effetti tossici dell’esposizione al verde avvelenato
Il primo a esporsi contro l’utilizzo massivo di questo pigmento fu il chimico tedesco Leopold Gmelin, che nel 1839 pubblicò un articolo in cui dichiarava pericoloso l’utilizzo della carta da parati verde perché la fermentazione del materiale organico presente nella carta libera esalazioni di arsenico. In quegli stessi anni, molti lavoratori e tappezzieri mostravano segni di avvelenamento, ma purtroppo Gmelin non venne preso in considerazione.
Il verde avvelenato potrebbe addirittura aver avuto un ruolo anche nella morte di Napoleone Bonaparte: come riportato da questo articolo in cui si indaga sulle possibili cause del decesso, nei capelli di Napoleone sono state trovate tracce di arsenico. Una delle ipotesi formulate è proprio quella che la carta parati della sua stanza a Longwood House, sull’isola di Sant’Elena dove era esiliato, avessero rilasciato gas tossico di arsenico, intossicandolo fino alla morte.
La scoperta della tossicità del verde all’arsenico nel 1933
Bartolomeo Gosio, microbiologo e biochimico italiano, alla fine dell’800 ipotizzò che le muffe sulle pareti rilasciavano gas tossici dal pigmento – non a caso la stanza di Napoleone era un luogo umido e insalubre – ma solo nel 1933 il chimico inglese Frederick Challenger identificò il composto tossico come trimetilarsina – o trimetilarsano – composto di organoarsenico (III), di formula As(CH3)3, abbreviata in AsMe3.