
Da più di un decennio, il gruppo di ricerca guidato dal professor Chad Bouton del Feinstein Institutes for Medical Research studia come tradurre l’attività cerebrale di pazienti con paralisi motorie in comandi muscolari che consentano loro di riacquistare il controllo del proprio corpo. Fino ad ora, avevano potuto lavorare solo con pazienti già dotati di impianto cerebrale. Ora la ricerca sta andando oltre: con il “Human Avatar project”, il team sta lavorando ad progetto mai provato prima. Vogliono offrire un percorso di riabilitazione ad una paziente con lesioni spinali senza impiantarle nessun chip nel cervello. Per farlo, stanno sperimentando come creare un collegamento tra la sua mano e il cervello di Keith Thomas, un paziente tetraplegico con una lesione spinale completa dotato di impianto cerebrale.
Il team lavora da quasi tre anni con Thomas, con cui aveva già avviato un'altra procedura sperimentale. Grazie a una combinazione di microchip, intelligenza artificiale e anni di lavoro, negli ultimi due anni Thomas è riuscito a muovere il braccio, sollevare una tazza e perfino afferrare un guscio d’uovo senza romperlo. L'intelligenza artificiale è stata allenata non solo a trasformare i segnali cerebrali di Thomas in movimenti, ma anche a integrare i feedback sensoriali per permettergli dei movimenti più precisi.
L'obiettivo ora è ottenere gli stessi risultati con Kathy Denapoli, una paziente con una lesione spinale incompleta, creando un percorso riabilitativo in cui i segnali cerebrali di Thomas guidino il braccio di Denapoli. Questa tecnologia è altamente sperimentale e in fase di sviluppo, ma potrebbe dare risultati molto interessanti, perché promuove la collaborazione tra pazienti e ne aumenta la motivazione.
Vediamo più nel dettaglio come funziona questo approccio e quali sono le prospettive future.
Il caso di Keith Thomas
Nel 2020 Keith Thomas, statunitense, ha subito lesioni al midollo spinale all’altezza del collo. Il midollo spinale è composto da milioni di neuroni, che trasmettono ed elaborano i messaggi tra il cervello e il resto del corpo, rendendo possibili movimenti e percezioni. Quando una persona subisce una lesione al midollo spinale, questi messaggi si interrompono causando diversi livelli di paralisi. Nel caso di Thomas, questo ha causato una paralisi e perdita del senso del tatto dal petto in giù.
Due anni più tardi, Thomas è entrato nel progetto sperimentale del team di Bouton, con l’obiettivo di recuperare, almeno in parte, movimento e percezione tattile. Per un anno intero, il team ha mappato il cervello del paziente mentre osservava e provava a riprodurre i movimenti di una mano su uno schermo. Questo ha permesso di individuare esattamente quali fossero le aree coinvolte nel movimento e impiantare cinque microchip, ognuno più piccolo della punta di un mignolo, nelle aree cerebrali responsabili del movimento (corteccia motoria) e del tatto (corteccia somatosensoriale). I microchip contenevano in totale 224 elettrodi capaci di registrare l’attività elettrica di singoli neuroni.
L’AI integra i segnali motori e sensoriali
Ad agosto 2025 il team ha raccontato l’intera procedura svolta finora. Semplificando molto, i ricercatori hanno addestrato un modello di AI a “decodificare” i segnali provenienti dalla corteccia motoria e utilizzarli per stimolare una serie di elettrodi sul collo del paziente e “bypassare” la lesione. Altri elettrodi, applicati sull’avambraccio, stimolano direttamente i muscoli responsabili dei movimenti della mano.
Per raggiungere una reale autonomia, però, non basta il movimento da solo, serve anche il senso del tatto. Per capirlo, pensiamo a delle azioni quotidiane come lavarci i denti, bere da un bicchiere o soffiare il naso. Per ciascuna di queste azioni non basta “pensare il movimento”, dobbiamo anche percepire la forma dell’oggetto da tenere, la ruvidezza, la densità per capire come e quanto stringere, altrimenti rischiamo di farci male o di farlo cadere. Ed è per questo che il team ha integrato un secondo canale, in grado di raccogliere e interpretare i segnali tattili. Per farlo, ha sviluppato una rete neurale (uno degli algoritmi più comuni di intelligenza artificiale) che gestisce un ciclo di feedback costante durante tutto il movimento: i segnali motori avviano il movimento del braccio, mentre quelli tattili ne regolano l’intensità e la precisione in tempo reale.
Grazie a questo processo, nell’arco di due anni, Thomas è stato in grado di bere da solo da una tazza, asciugarsi il viso da solo e di tenere in mano un guscio d’uovo senza romperlo. Un traguardo gigantesco per una persona tetraplegica.
Riabilitazione a distanza: the Human Avatar project
La ricerca non si è fermata lì. Il gruppo di Bouton sta lavorando per permettere una “riabilitazione a distanza”, meno invasiva rispetto a quella in fase di sperimentazione con Thomas. L’idea è quella di creare un “avatar umano” in cui un paziente già dotato di impianto cerebrale trasmette i segnali al corpo di un altro paziente, permettendone il movimento.
I primi risultati di questa ricerca sono stati pre-pubblicati a settembre 2025: Thomas è stato in grado di guidare i movimenti di Kathy Denapoli, una donna di 63 anni con una lesione spinale incompleta, permettendole di versare l’acqua da una bottiglia con grande precisione. Per ragioni di tempo, l'articolo pre-pubblicato non ha ancora passato tutte le fasi di revisione necessarie per considerare i risultati ufficiali. Gli esperimenti, però, sono stati registrati con il consenso dei partecipanti e possono essere trovati su Youtube.
Oltre all’aspetto tecnico, questo approccio ha avuto un impatto positivo anche sul piano umano. Si è creato un senso di collaborazione tra i pazienti coinvolti, che ha aumentato la motivazione nel percorso riabilitativo. Le interviste hanno evidenziato un alto livello di soddisfazione personale, suggerendo che questo tipo di riabilitazione "cooperativa" potrebbe rappresentare una nuova frontiera per il recupero motorio e sensoriale anche di patologie neurologiche meno gravi, come ictus o danni ai nervi periferici.
Naturalmente, si tratta ancora di una pratica sperimentale, e serviranno ulteriori studi per valutarne l’efficacia a lungo termine, ma questi risultati rappresentano un esempio concreto di come l’AI possa contribuire a migliorare la nostra qualità della vita.