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Perché nel 2025 votiamo ancora con carta e matita invece che online? Pensiamoci: i referendum dell'8-9 giugno in Italia hanno registrato un'affluenza molto bassa: solo il 30% degli aventi diritto si è recato alle urne, con un astensionismo trasversale che ha mantenuto l'esito molto lontano dal quorum. Eppure sui social la partecipazione della popolazione sembrava totale: tutti ne parlavano, tutti avevano qualcosa da dire, c’erano post ovunque, storie, meme, video, indignazione. Sembrava che l’Italia intera fosse in fermento. E allora viene da chiedersi: «Ma se siamo più attivi online che nei seggi, perché non si vota direttamente sul web?».
Magari sarebbe anche più comodo, magari parteciperebbero più persone. La domanda in fondo è legittima, ma la risposta è sicuramente più complessa e coinvolge principalmente la nostra sicurezza. D’altronde qualcuno ci ha già provato e i risultati sono tanto interessanti quanto inattesi.
I tentativi di voto online negli altri Paesi
L’Estonia a oggi è l’unico Paese al mondo in cui il voto online è diventato routine, già dal lontano 2005. Nel 2023 più della metà degli elettori ha votato via internet, anche comodamente da casa, con un sistema integrato nella carta d’identità digitale. Comodo, rapido, efficiente. Pensate: è un sistema che permette addirittura di rivotare più volte; vale l’ultimo voto espresso.
Tutto apparentemente bellissimo, ma il MA c’è ed è grande.
Infatti, nonostante questo, il 40% dei cittadini estoni non si fida del sistema. Perché? Perché non è detto che sia infallibile. Un gruppo di esperti internazionali ha analizzato la piattaforma e ha scoperto che, con gli strumenti giusti, un attacco hacker non è impossibile. Finora non è successo, per carità. Ma già il solo fatto che potrebbe accadere mette in discussione tutto, perché la democrazia non è solo votare ma è anche fidarsi del voto.
Anche la Svizzera ci ha provato, soprattutto con chi vive all’estero. In certi cantoni, quasi un espatriato su due ha votato online. Funziona? Sì. Ma, sorpresa, non ha aumentato l’affluenza. Chi non votava prima, ha continuato a non votare. Inoltre alcuni sistemi sono stati sospesi dopo che nei test pubblici sono emersi problemi di sicurezza. Oggi si va avanti, ma con calma solo in contesti molto controllati. Insomma, niente voto online di massa.
La Francia aveva dato il via libera al voto online per i cittadini all’estero; poi è arrivato il 2017, anno caldo per la cybersicurezza internazionale e il governo ha fatto marcia indietro. Il motivo? Troppo alto rischio di interferenze informatiche. Il Paese d'Oltralpe ha preferito quindi interrompere la pratica.
Negli Stati Uniti si è testato il voto via web solo in casi molto specifici, principalmente per militari all’estero e persone disabili. Nel West Virginia, per esempio, hanno usato una piattaforma che si chiamava Voatz. Risultato? Ritirata dopo poco, dopo che gli esperti hanno trovato problemi gravi di sicurezza e tracciabilità. Anche negli USA, nonostante sia tra i più Paesi più digitalizzati al mondo, non ci si fida del voto online per le elezioni federali. Fondamentalmente l’opinione pubblica non percepisce abbastanza garanzie.
Perché il voto elettronico è così difficile da implementare?
La risposta, in fondo, è semplice: perché non basta che sia comodo. Deve essere anche sicuro, equo e universale e oggi, queste condizioni non ci sono ancora. Il primo grande problema è la sicurezza informatica. Un sistema di voto online dev’essere a prova di attacco: hacker, interferenze esterne, manipolazioni e anche se il server centrale fosse blindato, chi ci assicura che il computer dell’elettore non sia infettato da un malware? Un virus potrebbe alterare il voto, senza che nessuno se ne accorga.
Poi c’è il tema forse più delicato di tutti: anonimato e verificabilità. Mi spiego. Nel voto cartaceo è chiaro: il voto è segreto, ma è verificabile. Se serve, si ricontano le schede. Nel digitale invece… o garantisci l’anonimato assoluto – e allora non puoi più dimostrare se il voto è stato registrato correttamente – oppure crei un sistema tracciabile, ma a quel punto rischi di violare la segretezza del voto. Come si dice a Napoli: è ‘ na tarantell! (traduzione personale: è un bel paradosso).
E ancora: chi garantisce che tu non sia influenzato da un familiare, un datore di lavoro, o chi ti ha appena promesso 50 euro per votare un certo candidato? “Avviene anche nella votazione ai seggi” – voi direte; si ma il momento del voto rimane dietro la tendina, da soli.
Insomma, nel voto la percezione conta quanto la realtà. Anche solo il sospetto di un errore, un bug, un’intrusione, può bastare per delegittimare tutto. E se non ci fidiamo del sistema, non ci fidiamo nemmeno del risultato.
In Italia cosa ci separa dal voto digitale?
In Italia, oggi, il voto online non è consentito per legge. Per introdurlo servirebbero:
- Una riforma costituzionale, per adattare i principi di segretezza e libertà del voto a un contesto digitale.
- Un’infrastruttura tecnologica nazionale, affidabile, trasparente, valutabile da terze parti.
- Un sistema di identificazione digitale sicuro e universale, come una carta d’identità elettronica attiva per tutti
- E soprattutto, una popolazione digitalmente pronta. Non basta dare uno smartphone: serve educazione digitale, consapevolezza. In Italia, oltre 13 milioni di persone hanno competenze digitali basse o nulle. Portare oggi il voto sul web significherebbe escludere inevitabilmente una parte della popolazione, creando un sistema elitario, e quindi, per definizione, non democratico.
Quindi sì, il voto online è una possibilità reale, e forse un giorno ci arriveremo. Ma oggi non siamo ancora pronti. Per ora, quel segno sulla scheda è ancora la forma più solida di democrazia che abbiamo.