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8 Ottobre 2023
18:32

60 anni fa ci fu il disastro del Vajont: la ricostruzione degli errori umani principali

Tra i tanti errori gli addetti ai lavori pensarono di poter controllare la frana: un disastro annunciato costato la vita a quasi 2000 persone - la ricostruzione.

A cura di Andrea Moccia
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60 anni fa ci fu il disastro del Vajont: la ricostruzione degli errori umani principali
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La frana del Vajont, avvenuta il 9 ottobre del 1963,  è forse l’esempio più tragico di un disastro naturale innescato dall’attività dell’uomo.
Fu la conseguenza di conoscenze tecniche ancora acerbe, errori, considerazioni e interpretazioni tecniche sbagliata da parte del fior fior degli ingegneri, geologi e geofisici dell'epoca.

La costruzione della diga del Vajont

La diga del Vajont fu progettata dall’ingegnere Carlo Semenza e venne costruita tra il 1956 e il 1960. A volere questa mega struttura fu la Società Adriatica di Elettricità, conosciuta come SADE
Perché c’era la necessità di costruire una diga?

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Immagini prodotte da Marco Iodice – Geopop

Il progetto di per sé era pazzesco dal punto di vista ingegneristico, un vero portento per l’economia dell’epoca, perché l’idroelettrico era una delle principali fonti di energia in Italia (come oggi d’altronde)  e il sistema del Grande Vajont avrebbe contribuito ad alimentare praticamente tutto il Triveneto.

Sezione diga vajont
Sezioni trasversali della diga del Vajont (credit: Sade).

Ma gli ingegneri fecero i conti senza l’oste: la vallata era inadatta alla costruzione di un bacino artificiale, proprio per l’instabilità dei versanti dell’invaso. Ma quando nel 1957 partirono i lavori, nessuno lo aveva preso in considerazione seriamente.

Due segnali prima della grande frana

Prima della grande frana, avvenuta il 9 ottobre 1963, ci furono già dei segnali inquietanti: nel 1959, 3 milioni di m3 di roccia franarono nel bacino di Pontesei, uno dei bacini del sistema del Grande Vajont; non ci furono danni ma si accese il campanello d’allarme degli addetti ai lavori e non solo.
Il campanello di allarme divenne ancor più forte con il 4 novembre del 1960 quando ci fu un’altra frana, più piccolina, ma avvenne proprio nel bacino della diga del Vajont, e provocò un’onda di due metri. Non ci furono danni o vittime perché l’acqua non superò la diga ma da quel momento lo stesso Carlo Semenza cominciò ad essere seriamente preoccupato.
Furono coinvolti tanti esperti, geologi, geofisici, ingegneri, che commisero tanti errori, di valutazione e di interpretazione non capendo che lì poteva venire giù "tutto".

Chi erano Leopold Muller e Edoardo Semenza

A questo punto entrano in scena due dei personaggi principali della storia: il primo fu il geologo Leopold Muller, considerato uno dei pionieri della geomeccanica; mi permetto di dire che era più vicino ad un profilo di ingegnere geotecnico che di puro geologo naturalista; di frane infatti non era un esperto. A dirla tutta, a quei tempi non c'erano grandi esperti di frane perché le frane cominciarono ad essere studiare con una metodologia nuova e un livello di dettaglio alto proprio dopo il disastro del Vajont. So che è triste ma è la realtà dei fatti.
E vi dirò di più, non solo le frane si cominciarono a studiare ad un certo livello, ma un intero ramo scientifico, la geotecnica, nacque per davvero dopo il disastro del Vajont.
Il 1963 è stato l’inizio di una nuova epoca per le scienze geotecniche, dello studio dei suoli, dei versanti, delle frane e della meccanica delle rocce.
Oltre Muller c’era Edoardo Semenza, figlio di Carlo Semenza, il progettista della diga.
Muller era un gigante, Edoardo era di gran lunga meno titolato: un ragazzo sulla trentina, da poco laureato.
Dal momento che si formò una grossa e visibile frattura sulla montagna, entrambi, come tutti gli altri esperti coinvolti, erano d'accordo che ci fosse una frana ma avevano un’interpretazione diversa del tipo di frana e del tipo di pericolo.

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Immagini prodotte da Marco Iodice – Geopop

Muller riteneva che la frana fosse una frana geologicamente recente, e che fosse caratterizzata da un movimento lento, come un ghiacciaio. Invece, secondo il giovane Edoardo, che andò ad analizzare con gli occhi ogni metro quadro della montagna (con approccio puramente empirico e scientifico), la frana era una paleofrana, cioè vecchia, che esisteva da chissà quanto tempo. Secondo lui avrebbe potuto distaccarsi improvvisamente, scivolando con un movimento relativamente repentino, e finire nel bacino causando onde mostruose e danni inimmaginabili.
Edoardo sembrò il "catastrofista" della situazione e infatti nessuno gli diede troppo conto: era troppo giovane e troppo inesperto affinché la sua teoria fosse presa in seria considerazione.

La vera causa della frana del Vajont?

La frana si muoveva di circa 3 cm al giorno, sembrava essere lenta come diceva Muller; e Muller pensò anche una cosa: che la velocità della frana dipendeva da quanta acqua era presente nel lago artificiale della diga. Più acqua c’era, più la frana si muoveva velocemente.
Il motivo era legato alla presenza di un livello argilloso, al di sotto delle rocce affioranti in superficie, che assorbendo acqua, fungeva da lubrificante, e favorendo lo scivolamento.
“Caspita” – pensarono tutti – “ma quindi se si fa diminuire il livello dell’acqua, la frana scivolerà più lentamente?!” Sembrava essere cosi…in realtà lo era per davvero: facendo scendere il livello dell’acqua, infatti, si passò da 3 cm al giorno a 1 mm al giorno.Ecco, questo fu il più grande errore: si insinuò la convinzione di avere la soluzione del problema in pugno: ovvero di poter utilizzare l’acqua come una specie di freno e acceleratore, così  controllare lo scivolamento della frana. SI voleva far scivolare la frana appositamente cosi da evitare un crollo unico improvviso che poteva fare chissà quali danni.

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Immagini prodotte da Marco iodice –Geopop

La tecnica di variare il livello dell’acqua fu portata avanti per ben due anni.
A giugno del 1963 il livello di piena del bacino raggiunse i 700 m s.l.m riportando la frana a uno scivolamento di 5 mm al giorno.
In quel periodo ci fu un passaggio di consegne nella gestione dell’impianto dal privato al pubblico, e proprio in quel periodo (e qui ci fu un altro errore enorme da parte di tante persone e addetti ai lavori) il livello del bacino venne abbassato con ritardo: l’acqua arrivò fino a circa 710 m s.l.m e la frana raggiunse una velocità di 2 cm al giorno. Solo il 26 settembre del 1963 il bacino venne riportato al livello di sicurezza, ma era ormai troppo tardi.

Cosa successe il giorno della frana del Vajont?

Il 9 ottobre del 1963, alle 22.39, era ormai buio, avvenne quello che Edoardo Semenza aveva pronosticato: 270 milioni di m3 di roccia, parliamo di un’intera facciata di una montagna, si staccarono dal monte Toc (misura che nessuno era riuscito a prevedere prima dell’evento); il movimento della frana fu rapido; immaginate di tagliare una fetta di montagna e far penetrare dell’olio lubrificante nella frattura; la frana scivolò giù tutta d’un pezzo nel giro di 20 o 30 secondi, ad una velocità tra i 70 e i 90 km orari.

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L’onda che scavalcò la diga e si diresse verso il centro abitato a valle, Longarone (immagine prodotta da Geopop)

Quando arrivò nel bacino, si generò un’onda mostruosa, che risalì il pendio della montagna di fronte, fino quasi a sfiorare Casso; parte del comune di Erto, sempre sulla sponda opposta fu distrutto; la precisa dinamica dei movimenti dell’acqua non sono stati ripresi da nessuna cinepresa dell’epoca per cui non esistono immagini reali ma l’onda fu talmente grande, che una buona parte dell’acqua messa in moto scavalcò letteralmente la diga, finendo giù nella vallata con una violenza tale da distruggere l’abitato di longarone.
Purtroppo le vittime furono 1920.

Tre spunti di riflessione sulla frana del Vajont

Il disastro del Vajont è un tragico evento che, oggi, a distanza di sessant'anni dovrebbe far riflettere su alcuni punti.

  1. Siamo formiche nei confronti dei fenomeni naturali; dobbiamo ricordarci che con la natura non si scherza, altrimenti si rischia di farsi molto male.
  2. Gli interessi economici e politici troppo spesso hanno il sopravvento sull’ambiente; oggi forse rispetto al 1963, qualcosa è migliorato, ma siamo ancora molto lontani da dove dovremmo essere. In questo contesto la divulgazione scientifica e culturale giocano e giocheranno un ruolo molto importante per diffondere una responsabilità ulteriore nei confronti degli ambienti dove viviamo.
  3. Troppo spesso capiamo le cose solo dopo che ci siano tragedie, disastri o vittime. Dopo il disastro del Vajont esplose un grande interesse sulla geologia e sugli eventi franosi.
    A tal proposito vorrei riprendere un passo di un articolo del 2013 del collega Aldo Piombino:

La Geologia Applicata nasce con questa tragedia. Sì, c'erano già corsi di Geologia Applicata all'Ingegneria, ma la maggior parte di chi si occupava dell'argomento erano ingegneri, non geologi. Anche Leopold Muller era un ingegnere, sia pure un “ingegnere geologo", come ci sono gli edili, i meccanici, gli elettronici etc etc. È da quel momento che nel mondo delle Scienze della Terra qualcuno comincia ad occuparsi anche di frane, falde acquifere, prove sui materiali, deformazioni e quant'altro oltre ai tanti che fino ad allora si erano occupati della storia della Terra, dei vulcani e di come sono sorte le catene montuose.

Il PODCAST di Andrea Moccia sulla ricostruzione di ciò che avvenne

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Andrea Moccia
Direttore editoriale
Sono nato nell'Agosto del 1985, a Napoli. Mi sono pagato gli studi universitari vendendo pop-corn e gelati nelle sale di un Cinema. Ho lavorato per dieci anni in giro per il mondo, di cui sette all'Istituto nazionale francese dell'energia, in qualità di geologo e team manager. Nel 2018 a Parigi, per gioco, è nata Geopop, diventata nel 2021 una azienda del gruppo Ciaopeople. Sono dell'idea che la cultura sia la più grande ricchezza per un Paese e ho deciso di dedicare la mia vita per offrire un contributo e far appassionare le persone alla conoscenza. Col sorriso :)
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