La diga del Vajont, situata nel comune di Erto e Casso (PN), sorge in corrispondenza della gola scavata dall'omonimo torrente (un affluente del Piave). L'opera è nota a tutti per la tragedia che l'ha vista protagonista nell'ormai lontano 9 ottobre 1963, quando una frana causò uno tsunami che, traboccando dalla diga, distrusse i paesi situati alle pendici della diga.
Questo disastro fu causato principalmente dall'incuria di chi realizzò le perizie che non tenne conto del concreto rischio di frane all'interno del bacino. Ma da un punto di vista esclusivamente ingegneristico, la diga è un'opera sicuramente interessante che, malgrado tutto, è rimasta in piedi anche dopo il disastro e che ancora oggi è possibile visitare in sicurezza.
La diga è stata realizzata tra il 1956 e il 1960 dall'ingegnere Carlo Semenza, all'epoca uno dei maggiori esperti di queste costruzioni a livello internazionale, e in questo articolo proveremo a dare un nuovo focus alla questione, cercando di non raccontare la tragedia ma focalizzandoci sul lato ingegneristico di quest'opera, partendo dalle sue caratteristiche per arrivare alla sua costruzione e al suo funzionamento.
Che tipo di diga era quella del Vajont?
Quella del Vajont è una diga alta 261,60 metri, lunga 190 ed era la diga a doppio arco più alta del mondo… Cosa vuol dire?
Le dighe a doppio arco possono essere immaginate come dei grandi muri "curvi", sia in sezione (come dall'immagine sottostante) sia in pianta (con la "pancia" della diga rivolta verso il bacino idrico). E a cosa serve avere una diga curva?
Come ci hanno insegnato gli antichi romani – che utilizzavano l'arco come elemento architettonico – questa forma risulta essere molto resistente agli sforzi. In questo caso l'arco permette di scaricare la spinta dell'acqua verso i fianchi della montagna.
I vantaggi di una diga a doppio arco sono diversi ma, uno su tutti è il risparmio di costi e materiali rispetto alle dighe "a gravità" – che contrastano la spinta dell'acqua non tanto con la loro forma quanto con il loro peso. Se non ci fosse la curvatura tipica delle dighe ad arco, infatti, sarebbe stato necessario creare una struttura molto più spessa per riuscire a contrastare la spinta dell'acqua. Per migliorare la resistenza di una diga ad arco di solito si realizzano anche strutture dette "pulvini", cioè una congiunzione in calcestruzzo tra la diga stessa e le pareti rocciose della valle.
La costruzione della diga del Vajont
Prima dell'effettiva costruzione della diga – e dopo anni di progetti, studi e ricerche – furono realizzati dei modelli in scala 1:35 (prima in legno e poi in cemento) per valutare le proprietà tecniche della struttura. I test diedero esito positivo e quindi si decise di procedere con i lavori.
La costruzione vera e propria iniziò con lo sbancamento, cioè la rimozione di circa 400 mila metri cubi di roccia dai fianchi della montagna per creare lo spazio necessario alla costruzione della diga. Quest'operazione fu necessaria anche per realizzare i pulvini, cioè quelle strutture in calcestruzzo che legano la diga ai fianchi della montagna. Dopo aver fissato questi due punti di ancoraggio, sono stati realizzati i conci, cioè delle grandi strutture verticali in calcestruzzo che, affiancate le une alle altre, formano il corpo della diga. La costruzione è andata avanti in modo piuttosto rapido: la diga cresceva in altezza di circa 60 cm al giorno e, per agevolare il lavoro dei costruttori, i materiali necessari per creare il calcestruzzo venivano trasportati su e giù dalla montagna grazie a una teleferica. Pensate che alla fine dei lavori sono stati impiegati – secondo i dati ufficiali dell'azienda costruttrice Sade – circa 360 mila metri cubi di calcestruzzo.
Come funzionava la diga del Vajont?
Come abbiamo visto, il Vajont è una diga a doppio arco. Bene. Ma come funzionava? Come era strutturato l'impianto?
Iniziamo col dire che la diga del Vajont rientrava nel mega-progetto del “Grande Vajont”, un sistema di bacini idrici artificiali necessari a soddisfare tutta la richiesta di energia elettrica nel periodo del boom economico. Potremmo dire che questa struttura è stata pensata come una "banca dell'acqua", capace di fornire grandi quantità di energia idroelettrica.
L'acqua che riempiva il bacino del Vajont – viste le sue notevoli dimensioni – non era quella di un unico corso d'acqua. Il torrente Vajont, infatti, non ha una portata sufficiente per riuscire a riempire un bacino così capiente, capace idealmente di ospitare 170 milioni di m3 di acqua. Pensate che solo il suo bacino poteva contenere una volta e mezzo la somma dell’acqua contenuta negli altri 5 bacini di questo mega sistema.
Un'idea per risolvere il problema poteva essere quella di prelevare acqua dal bacino idrico a monte, cioè il serbatoio di Pieve di Cadore… Il problema è che quello aveva una quota piezometrica (cioè la quota massima che poteva raggiungere l'acqua) di 683,50 metri, mentre il livello previsto per il Vajont era di 772,50 metri… Insomma, per riempirlo era necessario recuperare acqua da serbatoi a quota maggiore. Per riuscire ad accumulare la quantità di acqua necessaria furono costruite delle condotte che prelevavano acqua dal serbatoio del Maé, posto a 800 metri di altitudine, e le riversavano nel Vajont. Per essere sicuri che anche il serbatoio del Maé non finisse a sua volta sotto sforzo idrico, al suo interno vennero fatte confluire le acque del torrente Boite, situato leggermente più in alto in quota (tramite il serbatoio di Vodo).
La centrale idroelettrica che permetteva alla diga del Vajont di produrre energia è quella del Colombar che vediamo nell'immagine qui sopra in basso a destra. Il suo funzionamento era concettualmente semplice: l'acqua del serbatoio del Vajont veniva convogliata tramite delle condotte – cioè delle tubature – verso il basso, facendola precipitare verso la centrale elettrica. Una volta raggiunta la centrale, l'acqua aveva ormai raggiunto grandi velocità e, scorrendo, azionava delle turbine che a loro volta producevano elettricità. Un altro elemento ben visibile da questa pianta è il massimo livello dell'invaso, segnato con un tratto linea-punto (si vede bene in alto a destra nella foto), che rappresenta la massima quota che avrebbe potuto raggiungere l'acqua all'interno del bacino, cioè 722.50 metri.
Relativamente al disastroso incidente, qui in basso vi proponiamo un nostro video realizzato ad-hoc per ricostruire gli eventi e evidenziare le cause.