
In Australia sono stati scoperti delle rocce con frammenti di vetro naturale (tectiti) che proverebbero l’impatto di un meteorite avvenuto sulla terra circa 11 milioni di anni fa, di cui non è ancora stato trovato il cratere: è questa la conclusione di uno studio recentemente pubblicato sulla rivista scientifica internazionale Earth and Planetary Science Letters. Gli esperti hanno delimitato la regione dell’impatto in un’area non identificata dell’Australia in quanto la posizione esatta rimane ancora sconosciuta.
Ma allora, come sono giunti a questa conclusione? La risposta risiede nelle tectiti. Si tratta di piccoli frammenti di vetro naturale formatisi in seguito alla fusione e al successivo rapido raffreddamento di rocce terrestri durante l’impatto ad alta energia di meteoriti, comete o asteroidi. Durante un impatto extraplanetario, le rocce presenti nel punto di collisione possono fondersi a causa delle temperature estremamente elevate. Minuscole goccioline di questo materiale fuso vengono poi espulse nell’atmosfera, dove si raffreddano rapidamente e si solidificano, ricadendo infine sulla superficie terrestre. Le tectiti possono essere ritrovate anche a diverse centinaia di chilometri dal luogo dell’impatto.

Sulla Terra, sono noti solo alcuni campi di tectiti (o tektite strewn fields). Questi si trovano nell’Europa centrale, nell’America settentrionale, nell’America centrale e nella Costa d’Avorio. Il più grande campo di tectiti, tuttavia, si estende tra l’Asia e l’Australia coprendo oltre il 30% della superficie terrestre. I frammenti ritrovati in questa regione sono noti come australasiti e si sono formati in seguito a un impatto meteorico avvenuto circa 780.000 anni fa. Queste tectiti sono conosciute da oltre un secolo. Basti pensare che Charles Darwin ne descrisse un esemplare già nel 1844, pur non sapendo di cosa si trattasse realmente.
Tuttavia, il nuovo studio, guidato da un gruppo di ricerca dell’Università di Aix-Marseille (Francia) e pubblicato lo scorso 29 agosto 2025, ha rivelato che nel campo australasiatico è presente una seconda tipologia di tectiti, diversa da quelle già note sia per composizione chimica sia per età. Nello studio, gli scienziati hanno adottato un approccio multi-analitico, che ha previsto l’impiego di microscopia e tomografia a raggi-X 3D per determinare la morfologia dei frammenti di vetro, diverse analisi chimiche per definire nel dettaglio la loro composizione, e datazioni isotopiche basate sugli isotopi dell'argon (40Ar/39Ar) per determinarne l’età di formazione.
Alcuni dei campioni analizzati mostrano un contenuto di silice generalmente inferiore rispetto a quello delle comuni australasiti. A questo si aggiungono un più alto contenuto di nichel e più alti valori del rapporto Na/K (sodio/potassio) – quest’ultimo dato era già stato evidenziato in uno studio del 1969. Ciò che sorprende maggiormente, tuttavia, è l’età di formazione di questi esemplari di tectite, e quindi quella dell’impatto meteorico stesso, stimata in circa 10,76 ± 0,05 milioni di anni, ovvero significativamente più antica rispetto alle ben note australasiti. Sulla base di queste evidenze, i ricercatori hanno concluso che le tectiti analizzate si siano formate in epoche più antiche e condizioni diverse rispetto a quelle australiane classiche. Per questo motivo hanno coniato un nuovo nome, anaguite, ispirato alle popolazioni aborigene dell’area in cui sono state rinvenute.

L’estensione del campo di distribuzione delle anaguiti coprirebbe circa 900 chilometri nel territorio australiano, rendendolo il terzo più grande al mondo. Nonostante i dati suggeriscano un impatto meteorico di portata colossale, nessun cratere associato è stato finora individuato. L’ipotesi principale è che il cratere si trovi negli archi insulari legati alla subduzione che circondano l’Australia.