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Cinque bambini tra i 5 e gli 11 anni sono stati ricoverati al Policlinico Umberto I di Roma dopo un bagno nella piscina pubblica di un centro sportivo nella giornata di domenica, con sintomi respiratori e irritazioni alla pelle possibilmente dovuti a intossicazione da cloro, che ha un'azione antimicrobica ed è usato in composti disinfettanti nelle piscine. Il bambino in condizioni più preoccupanti è finito in terapia intensiva con gravi difficoltà respiratorie: al momento è tenuto in coma farmacologico e rischierebbe danni neurologici irreversibili. L'impianto è stato sequestrato e la Procura di Roma ha avviato un indagine sull'incidente, che potrebbe essere dovuto a un calo di pressione che avrebbe provocato accumuli di cloro scaricato poi a concentrazioni troppo alte nella zona in cui si trovavano i bambini.
Stando alle prime ricostruzioni, uno dei bambini avrebbe riferito alla madre che l'acqua della piscina stava diventando gialla: se confermato, questo potrebbe indicare che nell'acqua della piscina si sia liberato cloro gassoso (Cl2), una sostanza tossica che può provocare gravi effetti alle vie respiratorie, alle mucose e alla cute.
L'azione disinfettante e la sicurezza
Il cloro nelle piscine viene usato come disinfettante per via della sua efficace azione antimicrobica. A questo scopo vengono usati composti differenti con azione disinfettante, a seconda delle dimensioni della piscina e di altri parametri.

Avendo però il cloro un'azione irritante anche per l'organismo umano, esistono linee guida specifiche che stabiliscono le concentrazioni massime ammissibili in una piscina per evitare effetti avversi. L'OMS consiglia di non superare i 3 milligrammi per litro per le piscine pubbliche e semi-pubbliche; in Italia solitamente le concentrazioni si attestano tra 0,5 e 1,5 milligrammi per litro.
Mantenendo le concentrazioni di questi composti entro i limiti stabiliti, è possibile godersi una giornata in piscina in totale sicurezza.
I valori ideali di cloro pH nelle piscine: i possibili rischi
La questione però non si chiude qui: alcuni dei disinfettanti usati nelle piscine sono infatti acidi oppure basici, quindi in grado di alterare il pH dell'acqua. Sempre stando alle indicazioni dell'OMS, il pH deve essere mantenuto tra 7,2 e 7,8.
Un comune disinfettante è il sodio ipoclorito (NaClO), che è basico e quindi tende ad alzare il pH dell'acqua. Il suo uso richiede quindi l'aggiunta di acidi per abbassare il pH e riportarlo nell'intervallo ottimale. Correttori tipici in questo caso possono essere l'idrogeno solfato di sodio (NaHSO4) o una soluzione acquosa di acido cloridrico (HCl).
In quest'ultimo caso – o nei casi in cui si usa un disinfettante che libera sodio ipoclorito – può sorgere però un problema se per qualunque motivo non si seguono le istruzioni alla lettera: il sodio ipoclorito può infatti reagire con l'acido cloridrico per formare (oltre a cloruro di sodio e acqua) cloro gassoso, che se inalato in quantità sufficienti può essere molto tossico e provocare irritazioni anche gravi alle vie respiratorie, alla pelle e alle mucose. Questa è la reazione chimica:
NaClO + 2HCl → Cl2 + NaCl + H2O
Questo, tra l'altro, è il motivo per cui non bisogna mescolare candeggina e acido muriatico. Diluito nell'acqua, inoltre, il cloro gassoso può dare all'acqua una colorazione giallastra, come sembra essere avvenuto nella piscina romana in cui è avvenuto l'incidente.
In conclusione, le piscine sono sicure nel momento in cui i livelli di cloro e di pH sono mantenuti entro i range ottimali: per questo è importante per i gestori degli impianti attenersi con precisione ai regolamenti nazionali e regionali.