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25 Maggio 2025
11:00

Come ha fatto la sedia monoblocco in plastica a diventare la sedia più diffusa al mondo

Da simbolo dell’arredamento low-cost a icona globale. La classica sedia di plastica da giardino, bianca e impilabile, è riuscita a conquistare ogni angolo del pianeta con la sua praticità e il suo prezzo irrisorio.

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Come ha fatto la sedia monoblocco in plastica a diventare la sedia più diffusa al mondo
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Chi non l’ha mai vista? La sedia monoblocco, o più propriamente Monobloc chair, è la classica seduta in plastica bianca che troviamo dovunque: nei bar all’aperto, alle feste di paese, sui balconi, negli stabilimenti balneari e in qualsiasi giardino. Leggera, impilabile e composta di un unico pezzo di polipropilene – resina che viene iniettata in uno stampo ad alta temperatura e lasciata indurire – deve proprio a quest'ultima caratteristica il suo nome. Ha cominciato a diffondersi su scala globale a partire dagli anni '80, grazie a una combinazione fortunata di fattori: è economica sia da produrre sia da acquistare, resiste alle intemperie (impermeabile), è facile da trasportare e accatastare e, cosa non da poco, sorprende per la sua comodità nonostante l'essenzialità del design.

Dal design sperimentale alla produzione di massa

L’idea di realizzare una sedia a partire da un unico pezzo di materiale non è recente: risale agli anni Venti, quando diversi designer iniziarono a sperimentare soluzioni in lamiera stampata o in legno curvato a vapore. Il concetto di sedia “monoblocco” come lo intendiamo oggi iniziò però a delinearsi solo tra gli anni Quaranta e Cinquanta, grazie all’introduzione delle plastiche nel campo dell'arredo e del design e alle nuove tecnologie che permettevano di lavorare questo materiale attraverso un'unica fase produttiva. Tra i precursori spicca il canadese Douglas Colborne Simpson, autore di uno dei primissimi concept, ma è solo del decennio successivo che iniziano a comparire i primi modelli prodotti su larga scala, alcuni dei quali divenuti iconici. Sedie come la celebre Panton Chair (1958–68) del designer danese Verner Panton, la Bofinger Chair (1964–68) dell’architetto tedesco Helmut Bätzner, o ancora la 4867 Universale (1967) di Joe Colombo e la Selene (1961–68) di Vico Magistretti, segnano le tappe principali di questo percorso.

sedia monoblocco bianca
Sedia monoblocco bianca in un giardino. Credit: Seniju, via Wikimedia Commons

Per quanto si tratti infatti di pezzi d'autore tutt'altro che economici, sono da considerarsi degli antenati tecnici della monoblocco: tutti in plastica, prodotti in un unico pezzo, impilabili e in alcuni casi stampati con la stessa tecnica a iniezione che renderà celebre la sedia “popolare”. La svolta arrivò nel 1972 con Henry Massonnet, ideatore della Fauteuil 300, vera antesignana della Monobloc. Grazie ai progressi nello stampaggio a iniezione della plastica, l'ingegnere francese riuscì a ottimizzare l'interno ciclo di produzione riducendolo a meno di due minuti: una vera rivoluzione in termini di tempo, costi e accessibilità. Negli anni Ottanta il fenomeno esplose definitivamente. Aziende come la francese Grosfillex e l’italiana Allibert, seguite da centinaia di produttori in tutto il mondo, iniziarono a sfornare milioni di esemplari ogni anno, prodotti su larga scala a un costo così basso da riuscire a stare sul mercato a prezzi convenientissimi. Nacque così la Resin Garden Chair, la versione che oggi tutti riconosciamo come la classica Monobloc: leggerissima, impilabile, resistente agli agenti atmosferici e persino confortevole.

Una sedia democratica, la più diffusa al mondo

La sedia monoblocco è un oggetto dal design piuttosto anonimo – il profilo semplice ed ergonomico rimanda a un'estetica essenziale e funzionale – ma che è anche simbolo delle contraddizioni della società dei consumi. Da un lato, è l’arredo più democratico che esista (economico, disponibile ovunque), dall’altro, non risponde ai criteri di sostenibilità (è un prodotto di massa standardizzato in plastica non biodegradabile, facilmente sostituibile e difficilmente riciclabile o riparabile). Diversi designer contemporanei hanno ripreso il modello della Monobloc per riflettere proprio su questi temi; tra le reinterpretazioni: la Café Chair (2006) di Fernando e Humberto Campana, la Respect Cheap Furniture (2009) di Martí Guixé e la Monothrone (2017) di Martino Gamper.

Nel giro di pochi decenni, la monoblocco ha raggiunto ogni angolo del pianeta soppiantando, soprattutto nei paesi in via di sviluppo, le tradizionali sedie in legno o metallo. È difficile stimare quante ce ne siano in circolazione, ma si parla di cifre colossali: quasi un miliardo di esemplari venduti nella sola Europa e diversi miliardi nel mondo. A rendere tuttavia ancora più interessante la sua storia è il fatto che non sia di nessuno, o meglio, che non abbia un padre unico riconosciuto. Diversi designer ne hanno rivendicato l’idea originaria, ma nessun brevetto esclusivo è mai stato registrato. Chiunque, in qualsiasi parte del mondo, ha potuto copiarla e produrne delle varianti liberamente, contribuendo alla sua diffusione su scala globale. In un certo senso, è uno dei primi oggetti “open source” dell’industria dell’arredo.

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