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Il 6 marzo, il Consiglio europeo dei capi di Stato e di governo riunito in seduta straordinaria a Bruxelles ha approvato ufficialmente ReArm Europe, il piano per il riarmo europeo da 800 miliardi di euro per potenziare la Difesa comune europea annunciato il 4 marzo dalla Presidente della Commissione Ursula von der Layen. La data dell'annuncio di von der Layen non è casuale e coincide con la drastica interruzione del supporto all'Ucraina da parte degli Stati Uniti, che hanno comunicato che non forniranno più armamenti e informazioni di intelligence a Kiev, impegnata da 3 anni a difendersi dall'invasione su larga scala da parte del regime russo di Vladimir Putin. Quello che da molti ucraini è stato vissuto come un vero e proprio tradimento ha reso evidente alla maggior parte delle cancellerie europee che potrebbe presto venire a mancare uno dei fondamenti dell'ordine europeo nato dopo la Seconda Guerra Mondiale: presto l'ombrello difensivo offerto dagli Stati Uniti potrebbe venire meno anche per l'Unione europea. Il 12 marzo l'Eurocamera ha dato il via libera al al testo su Libro Bianco sull'invito a una difesa comune europea con 419 voti a favore, 204 contrari e 46 astenuti.
Riarmo in Europa, 800 miliardi di investimenti
L'amministrazione del Presidente Donald Trump ha infatti dimostrato che la difesa dell'Europa non è una sua priorità e che presto potrebbe anche svuotare di efficacia la NATO. A questo scenario cerca di rispondere il piano ReArm Europe, che gioca su due binari paralleli: potenziare gli investimenti dei singoli Stati membri nella Difesa e creare un maggiore coordinamento a livello comunitario. Il primo punto è senza dubbio quello economico, per incentivare tutti i Paesi dell'Unione ad aumentare gli investimenti e a raggiungere almeno il 2% in rapporto al PIL previsto anche dalle clausole della NATO. Infatti, se la Polonia spende oltre il 4% e Lettonia ed Estonia più del 3%, Italia e Spagna sono sotto la soglia dell'1,5% (per fare un paragone, nel 2024 gli Stati Uniti hanno speso il 3,4% del PIL). Il primo punto del piano ReArm Europe prevede quindi l'attivazione della clausola di salvaguardia nazionale del Patto di stabilità. Con questo accorgimento gli Stati UE potranno sforare del 3% il rapporto tra deficit e PIL nazionale senza rischiare sanzioni, a patto che lo facciano per investire nella Difesa.
Gli incentivi nel campo della Difesa europea
Altro denaro arriverà dai Fondi di coesione europei, parti del bilancio dell'Unione che storicamente vengono indirizzate per sostenere le aree economicamente e socialmente più arretrare nei Paesi membri. Ora queste risorse potranno essere usate anche in campo militare, anche se solo per investimenti che abbiano un ritorno anche in campo civile. Questa parte del piano ha già generato diversi malumori tra molti partiti politici, ma la Commissione ha sottolineato che la misura è opzionale e a discrezione dei singoli governi nazionali. Un contributo importante è previsto anche da parte degli investitori privati, che verranno favoriti da una modifica alle normative finanziarie in modo da ridurre le barriere tra i mercati nazionali e incentivare investimenti di gruppi transnazionali nel settore militare. Un altro cambiamento riguarderà la Banca europea per gli investimenti (BEI), che secondo il suo statuto non può investire nel settore militare. Una modifica permetterà a questo istituto di credito di operare come banca pubblica per investimenti a lungo termine ed elargire finanziamenti nel campo della Difesa.

L'importanza degli investimenti comuni
Come osservano molti critici del piano ReArm Europe, quello che però serve all'Unione europea non è tanto un aumento delle spese militari nei singoli Paesi europei – che sommati nel 2024 hanno comunque speso molto più della Russia – ma un migliore coordinamento nel campo tecnologico e nella gestione delle risorse già disponibili. Per questo un punto molto importante del piano presentato dalla Commissione il 4 marzo prevede un pacchetto da 150 miliardi di euro di fondi da destinare agli investimenti militari condivisi. Questi verranno erogati sotto forma di crediti agevolati ai Paesi che si organizzeranno per effettuare acquisti comuni di equipaggiamenti standardizzati. Oltre ad abbattere i costi rispetto a 27 Paesi che si muovono in ordine sparso per fare i loro acquisti e sviluppare nuove tecnologie nazionali, questo permetterà di schierare in futuro sistemi d'arma che potranno coordinarsi con molta più facilità rispetto agli attuali.
L'obiettivo del piano di riarmo UE e la posizione dell'Italia
Lo sviluppo di sistemi d'arma "made in Europe" che coinvolga delle cordate di Paesi è visto con favore soprattutto dalla Francia, che da anni investe su una filiera degli armamenti molto più autonoma rispetto ai fornitori extraeuropei di quanto per esempio non abbia fatto l'Italia. Non a caso la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni è tra i leader europei che si è mostrata più tiepida rispetto alla possibilità di investire in una maggiore sinergia nella Difesa comunitaria, anche per il timore che le industrie nazionali ne possano uscire danneggiate rispetto a quelle francesi e tedesche. Inoltre, non va sottovalutato il rischio concreto delle ritorsioni di Donald Trump, che da una parte minaccia di abbandonare l'Europa al suo destino ma dall'altra sa che le industrie statunitensi degli armamenti perderebbero miliardi se i Paesi europei iniziassero a investire in un loro sistema industriale autonomo. Nonostante i dubbi di alcuni leader politici, è evidente che una maggiore coordinazione è necessaria perché questo aumento di investimenti non crei solo una inutile corsa agli armamenti, ma getti le basi di una maggiore sinergia ed efficienza per la Difesa europea. È di questo avviso la Corte dei conti europea, che di recente ha chiesto di aumentare il budget da 1,5 miliardi di euro al momento destinato all'Edirpa, il programma di rafforzamento dell'industria europea della Difesa e per gli acquisti militari congiunti.
