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27 Maggio 2025
9:00

Cos’è l’architettura ostile e perché il fenomeno delle “città anti-senzatetto” è così criticato

Dai braccioli centrali sulle panchine alle borchie sotto i portici, l’architettura ostile comprende un insieme di soluzioni progettate per scoraggiare determinate pratiche sociali, come il bivacco o il riposo prolungato. Il ricorso a questi escamotage, che in ambito urbano colpiscono in modo diretto le persone senza fissa dimora, ha suscitato un ampio dibattito su etica, diritto alla città e responsabilità del design.

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Cos’è l’architettura ostile e perché il fenomeno delle “città anti-senzatetto” è così criticato
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L’architettura ostile, in inglese hostile architecture o unpleasant design, comprende un insieme di soluzioni progettuali pensate per scoraggiare comportamenti ritenuti indesiderati o impropri negli spazi pubblici, come dormire su una panchina o bivaccare sotto un portico. Borchie, spuntoni, dissuasori, divisori, superfici inclinate e altri accorgimenti, sempre più diffusi nel design urbano, sono parte di un linguaggio che, nel tentativo dichiarato di proteggere lo spazio comune, finisce per negarlo e renderlo inospitale a chi non ha altra dimora che la strada. Molti, tra urbanisti, sociologi, architetti e cittadini, denunciano le “panchine anti-clochard” e altri simili escamotage ritenendo che non facciano altro che spostare il problema altrove, disumanizzando le città e contribuendo alla marginalizzazione di chi già vive ai margini della società, specialmente gli homeless.

Come nasce l’architettura ostile

Il fenomeno affonda le sue radici in un passato relativamente recente, a partire dalla nascita delle città industriali. Nel XIX secolo iniziano a comparire in Inghilterra le prime architetture per il controllo sociale: recinzioni dotate di punte metalliche attorno alle proprietà private e dispositivi anti-urina posti agli angoli degli edifici per impedire la minzione in strada. Le forme odierne di defensive design si sviluppano tuttavia a partire dagli anni '70 sulla scia di studi condotti da progettisti e criminologi, tra cui Oscar Newman. Architetto e autore del libro Defensible Space (1972), Newman sostiene che la progettazione, la gestione e il controllo dello spazio urbano pubblico possano essere funzionali a scoraggiare comportamenti criminali, soprattutto se i cittadini maturano senso di proprietà e di responsabilità verso il proprio quartiere. In seguito, il Crime Prevention Through Environmental Design (CPTED), teoria elaborata dal criminologo C. Ray Jeffery, proporrà un approccio basato su quattro concetti già illustrati da Newman: sorveglianza naturale, controllo degli accessi, rafforzamento territoriale, immagine e ambiente.

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Architettura ostile: questa struttura impedisce di stendersi davanti a una vetrina.

Negli anni ’90, con l’avanzare dell'urbanizzazione e l'aumento delle disuguaglianze sociali, le strategie di prevenzione si sono estese dalla lotta al crimine al rispetto del decoro urbano, spesso in funzione della valorizzazione immobiliare. In questo scenario, e anche sulla scia della dottrina della “tolleranza zero”, la crescente presenza di persone senza fissa dimora nei centri urbani ha spinto sempre più istituzioni e privati a introdurre barriere fisiche per scoraggiarne la permanenza nei luoghi pubblici. Una forma di discriminazione spaziale per eliminare visivamente il problema (spesso non un vero pericolo) anziché affrontarne le cause (povertà, emarginazione, carenza di servizi) che si oppone al concetto di “diritto alla città”, teorizzato dal sociologo Henri Lefebvre, secondo cui tutti i cittadini,  indipendentemente dalla condizione economica o abitativa, debbano poter fruire dello spazio urbano.

Panchine impossibili e spuntoni: esempi dal mondo

L'architettura ostile si è diffusa a livello globale, spesso mimetizzandosi nell’arredo urbano: non tutti i passanti si rendono infatti conto che una panchina divisa a metà non è frutto di una scelta estetica, ma un espediente pensato per impedire che qualcuno possa dormirci sopra. Alcuni arredi urbani e configurazioni dello spazio vengono pertanto progettati ad hoc per esercitare un determinato controllo sociale, tenere lontani clochard e altri indesiderati. Tra le soluzioni più comuni troviamo: braccioli centrali e inclinazioni sulle panchine pubbliche, panchine monoposto o senza seduta (per appoggiarsi in piedi); borchie o spuntoni in corrispondenza di soglie, vetrine, portici o angoli riparati; giochi di volumi e superfici sconnesse che rendono impossibile sedersi su muretti o gradinate; e ancora anche spruzzatori automatici d’acqua, attivi di notte in alcune zone per scoraggiare la sosta.

Tra i casi più emblematici di unpleasant design spicca fra tutte la londinese Camden Bench, progettata nel 2012 dall’azienda britannica Uk Company Factory Furniture. Si tratta di una grossa panchina in cemento studiata nei minimi dettagli per impedire qualsiasi utilizzo indesiderato: la sua superficie, irregolare e inclinata, rende praticamente impossibile sdraiarsi o anche solo sedersi comodamente (tra gli intenti c'era anche quello di impedire agli skateboarder di eseguirci acrobazie, ma in questo caso il design si è rivelato inefficace); è priva di fessure dove nascondere oggetti (per scoraggiare lo spaccio di droga o l'abbandono di lattine e rifiuti); è pesante e difficile da rimuovere, ma può tornare utile per bloccare la strada o prevenire attacchi terroristici.

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La Camden Bench a Londra: un esempio di architettura ostile. Credit: The wub – Opera propria, CC BY–SA 4.0 via Wikimedia Commons

La Camden Bench è infine dotata di un rivestimento impermeabile antigraffiti e di incavi di sicurezza per controllare meglio le proprie borse. Un altro caso molto discusso, stavolta in Italia, riguarda le sedute pubbliche di Piazza Ghiaia a Parma, modificate con l’aggiunta di strutture metalliche che le trasformano in fioriere e ne impediscono di fatto l’utilizzo. La decisione, motivata dalla necessità di prevenire "bivacchi e degrado", ha suscitato ampie polemiche per la dubbia estetica e per l'approccio elusivo al problema. In altre città, per le stesse ragioni, le panchine sono state direttamente rimosse o sostituite con rastrelliere per biciclette, ricorrendo alla promozione della mobilità ciclabile per legittimare l’intervento.

Ma l'architettura ostile può anche essere immateriale. A Cardiff, alcuni negozi hanno sperimentato l’uso di suoni ad alta frequenza per scoraggiare lo stazionamento di spacciatori nei pressi degli ingressi. In Inghilterra, a Mansfield, sono state installate luci rosa in alcune aree residenziali: pensate per creare un’atmosfera rilassante, in realtà evidenziano le imperfezioni della pelle e dissuadono gli adolescenti dal radunarsi. A L’Aia, nei bagni pubblici, si è invece optato per luci blu, che rendono più difficile ai tossicodipendenti individuare le vene. Più ingegnosa, per non dire ironica, è la soluzione adottata ad Amburgo, nel quartiere di St. Pauli e in alcune stazioni ferroviarie tedesche: una vernice idrofoba che fa rimbalzare la pipì sui piedi di chi urina contro i muri.

Perché è una pratica molto criticata

L’architettura ostile solleva forti critiche etiche e sociali. In primo luogo, viene ritenuta una soluzione crudele, che prende di mira proprio le persone più fragili. In questo senso, le città che adottano di questo tipo di arredi urbani vengono accusate di voler nascondere la povertà sotto il tappeto, illudendosi di risolvere il problema semplicemente allontanandolo dallo sguardo. Ma naturalmente, rimuovere una panchina o mettere delle sfere di metallo sul marciapiede non riduce il numero di senzatetto: al massimo li costringe a spostarsi altrove. Si tratta dunque di interventi di pura facciata che alimentano la “criminalizzazione della povertà” e, secondo studi di psicologi e sociologi, una pericolosa mancanza di empatia collettiva come effetto sociale. Equiparando il dormire in strada a un comportamento antisociale da reprimere, queste soluzioni di design sfumano i confini tra decoro urbano e diritti umani.

La sensibilità per il tema va crescendo parallelamente alla sua diffusione e molti urbanisti fanno notare l’ironia di fondo: città proclamate “smart” e moderne, piene di innovazioni, tollerano poi queste scenografie urbane brutali e dall’estetica discutibile che le rendono in realtà meno vivibili e inclusive per tutti. Una panchina scomoda non limita la fruizione dello spazio pubblico solo alle persone senza fissa dimora, ma finisce per penalizzare chiunque, dalle persone anziane in cerca di una seduta a chi desidera semplicemente godersi un momento di relax all’aperto.

Alternative possibili e inclusive design

Petizioni, campagne sui social media raccolte sotto specifici hashtag e apposite mappe online documentano la presenza di panchine “anti-senzatetto” e altri arredi ostili sparsi in tutto il mondo. Gruppi di cittadini e attivisti hanno intrapreso anche azioni dimostrative, ad esempio ricoprendo con materassi gli spuntoni anti-clochard. Queste forme di protesta simbolica, o di “urbanismo tattico”, mirano non solo a sabotare temporaneamente le strutture ostili ma a sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema denunciando la politica messa in atto: investire denaro per allontanare i poveri invece di aiutarli.

Un’inchiesta condotta a Vancouver ha rilevato che, dopo l’installazione di arredi anti-bivacco, la presenza visibile di senzatetto nel centro città è calata di oltre il 70%, ma le stesse persone si sono semplicemente spostate nelle aree limitrofe. In altre parole, l’architettura ostile può allontanare il problema, ma certo non lo risolve né riduce il numero di persone senza fissa dimora. Anzi, costringerle a spostarsi può esporle a rischi maggiori, in zone più isolate e lontane dai servizi di assistenza, meno illuminate e sicure. Non a caso, diverse ONG segnalano un aumento delle richieste di aiuto nelle periferie dopo interventi di questo tipo.

Contro il design ostile si stanno muovendo diverse realtà, proponendo un’architettura inclusiva, empatica e solidale, che miri ad accogliere anziché respingere, a progettare con le persone e non contro di esse. Fra i progetti pilota più interessanti: sedute versatili, dotate di schienali reclinabili e braccioli riposizionabili all’occorrenza; panchine con coperture ribaltabili e trasformabili in ripari notturni; aree di sosta protette e sorvegliate dove i senzatetto possono sostare temporaneamente. Più in generale, oltre a un necessario cambio di mentalità, il design inclusivo invita a dotare la città di infrastrutture di base – come bagni pubblici, fontanelle, zone d’ombra e di riparo dalla pioggia – per ridurre i conflitti d’uso, e a investire in alloggi popolari, dormitori pubblici e programmi di reinserimento per chi vive per strada.

Un esempio concreto viene dalla Finlandia, dove l’approccio Housing First ha drasticamente ridotto il numero di senzatetto proprio fornendo sistemazioni provvisorie e assistenza. Sul fronte normativo, si registra qualche segnale di cambiamento: la Legge Padre Júlio Lancellotti, approvata nel 2023 dalla città di San Paolo in Brasile e intitolata al prete attivista per i diritti dei senzatetto, vieta esplicitamente il ricorso all'architettura ostile negli spazi pubblici; mentre a Washington D.C. nel 2022 è stata approvata un’integrazione al codice dei diritti umani che inserisce lo “status di senza fissa dimora” tra le categorie protette da discriminazione.

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