
Lo stretching è un'attività che caratterizza da sempre gli allenamenti degli sportivi di ogni livello. Basti pensare, infatti, a quanto sia facile osservare calciatori, runner o pallavolisti eseguire questi esercizi in diversi momenti della loro attività fisica. Sebbene sia oggetto di ampie discussioni tra gli addetti ai lavori, soprattutto riguardo alle modalità e alle tempistiche, numerosi studi hanno dimostrato importanti benefici sulla mobilità articolare e sulla flessibilità muscolo-tendinea. La prima può essere definita come la capacità di compiere movimenti ampi e, verosimilmente, al massimo dell’escursione fisiologica consentita dalle articolazioni. Quest’ultimo concetto è strettamente connesso al ROM (Range of Motion o gamma di movimento), cioè l’ampiezza del movimento di due segmenti corporei uniti da una singola articolazione che, ovviamente, può variare in base a diversi fattori. La flessibilità muscolo-tendinea, invece, viene spesso definita come l’estensibilità, appunto, dei muscoli e dei tendini.
Le tre principali categorie
Lo stretching può essere classificato in tre macro-gruppi che differiscono tra loro.
Il primo è lo stretching statico caratterizzato da un’apparente assenza di movimento. In questa tipologia di esercitazioni, infatti, si cerca di mantenere determinate posizioni più o meno al limite dell’escursione articolare per un determinato lasso di tempo, in base alla tecnica utilizzata. Su questo aspetto è interessante sottolineare che diversi studi presenti in letteratura hanno dimostrato come la durata prolungata di questa pratica non sia necessariamente connessa a un risultato migliore in termini di ROM. In altre parole, la sensazione di dolore che può giungere durante una sessione di stretching particolarmente intensa non è sempre indicatore di una maggiore efficacia.
La seconda categoria è rappresentata dallo stretching dinamico che può essere riconosciuto dall’esecuzione appena percepibile di un movimento. Nello specifico si effettua una variazione più o meno rapida di tensione dei gruppi muscolari interessati con la contrazione dei muscoli agonisti (cioè quelli direttamente implicati nel movimento) e la decontrazione di quelli antagonisti (che, invece, si oppongono). Alcuni esempi possono essere i molleggi, le spinte o le circonduzioni.

L’ultima tipologia è quella che unisce in qualche modo le due precedenti e viene chiamata stretching statico-dinamico. L’esercitazione più esemplare di questa categoria è la Facilitazione Neuromuscolare Propriocettiva che unisce esercitazioni passive e contrazioni attive intorno al grado di allungamento raggiunto. In ordine, prima si raggiunge il massimo allungamento del muscolo interessato in maniera lenta e graduale (molto spesso con l’ausilio di un istruttore), poi si esegue una contrazione dello stesso, ci si rilassa per alcuni secondi e, infine, si riallunga nuovamente il muscolo. Senza entrare troppo nello specifico, ci sono altre esercitazioni che rientrano in questa categoria e possono essere accomunate a quella appena descritta. Tra queste, troviamo sicuramente lo stretching globale attivo.

A cosa serve lo stretching
Come abbiamo ormai constatato, lo stretching è una pratica fondamentale se si vuole migliorare la propria mobilità articolare e la flessibilità muscolo-tendinea, con delle differenze in base alla tipologia.
Nel caso dello stretching dinamico, le esercitazioni risultano molto simili ai gesti tecnici degli sport per i quali vengono effettuate. Pensiamo, per esempio, a delle spinte degli arti inferiori verso l’alto in uno sport da combattimento che prevede calci. Tale attività non andrà tanto a influire sulla flessibilità muscolare, bensì sui recettori del grado di tensione del muscolo (detti fusi neuromuscolari) che si allungano e si accorciano in sintonia alle fibre muscolari.
Per quanto riguarda, invece, il caso delle esercitazioni statiche, queste producono un effetto benefico grazie all'intervento degli organi tendinei del Golgi. Dopo un tempo variabile, infatti, questi intervengono diminuendo la tensione della muscolatura oggetto di stiramento. Questa azione ha l'obiettivo di preservare il muscolo dagli infortuni e agisce come meccanismo di difesa. Il risultato è un graduale aumento del valore limite di estensibilità muscolare.