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Il dolore è un meccanismo di difesa messo in atto dal nostro organismo per proteggere il nostro corpo da possibili danni. Si attiva infatti a seguito di specifici stimoli nervosi (termici, fisici o infiammatori) che vengono raccolti e prontamente attraverso il midollo spinale, che si trova all'interno della nostra colonna vertebrale, raggiungono il nostro cervello. Questo meccanismo è condiviso con molte altre specie animali, ha profonde radici evolutive ed è essenziale per la sopravvivenza. Esistono vari tipi di dolore, tra cui quello somatico e psicosomatico, ciascuno con la sua utilità specifica; ma quando il dolore diventa cronico perde apparentemente il suo ruolo adattativo, trasformandosi in una sfida per la medicina moderna. Attraverso una combinazione di terapie farmacologiche e approcci innovativi come la neurostimolazione, la scienza cerca di alleviare questa condizione e migliorare la qualità della vita dei pazienti.
Cosa ci fa sentire il dolore
L'Associazione Internazionale per lo Studio del Dolore ha aggiornato nel 2020 la propria definizione per il dolore, definendolo come “un'esperienza sensoriale ed emotiva spiacevole associata, o somigliante a quella associata, a un danno tissutale reale o potenziale”. Questa definizione sottolinea sia l'importanza della componente soggettiva ed emotiva, sia la sua funzione di allarme preventivo.
Da un punto di vista fisiologico, il dolore è il risultato di un sofisticato sistema di allerta che coinvolge l’apparato nervoso. La trasmissione del dolore inizia nei nocicettori, recettori specializzati, che rilevano stimoli dannosi. Ciò avviene grazie a cellule dotate di speciali proteine che si modificano se sottoposte a determinati stimoli, come escursioni termiche notevoli, stiramento o se esposte a molecole infiammatorie.

Dalla modifica di queste proteine recettoriali, si genera un segnale che viaggia poi lungo le fibre nervose fino al midollo spinale. Qui si verifica una prima elaborazione grossolana, in cui questo segnale viene modulato da speciali neuroni, detti interneuroni, che sono in grado di amplificare o inibire questo segnale. Successivamente, il segnale raggiunge il cervello attraverso il talamo, che funge da stazione di smistamento, direzionandolo verso la corteccia somatosensoriale, che identifica localizzazione e intensità, e verso le aree limbiche, responsabili della componente emotiva e mnemonica. Proprio in questa fase si verifica quell'integrazione sensoriale ed emotiva del dolore di cui parlavamo.

Ma l'esperienza del dolore, anche se puo' sembrare controintuitivo, non è passivamente ricevuta dal cervello: in un certo senso viene anche prodotta e modulata proprio dal cervello stesso. I segnali che dalla periferia vengono trasmessi verso il cervello, vengono infatti intercettati da un sistema di neuroni chiamato vie discendenti, che modificano e modulano le informazioni dolorifiche. Alcuni centri del cervello dunque contribuiscono a plasmare l'esperienza dolorosa che poi elaboreranno. Questo sistema si occupa soprattutto di ridurre il dolore percepito e fa uso delle famose endorfine: veri e propri analgesici prodotti dal nostro corpo.
Perché esiste il dolore? Le ragioni evoluzionistiche
Nonostante il dolore sia percepito come un’esperienza negativa, ha un ruolo fondamentale per la nostra sopravvivenza. Funziona come un sistema di allerta che ci segnala pericoli imminenti, impedendoci di causare ulteriori danni al nostro corpo.
Neurotrasmettitori ed elementi strutturali del nostro sistema percettivo del dolore sono sorprendentemente conservati in buona parte del regno animale, suggerendo origini antiche. La presenza di questi elementi condivisi indica che il dolore, nella sua essenza, è un meccanismo basilare per la sopravvivenza di molti organismi complessi, presente in innumerevoli specie, dalle creature marine più semplici ai mammiferi.
Oltre a riconoscere le radici evolutive del dolore, è fondamentale comprendere le condizioni specifiche che lo rendono un tratto adattivo vantaggioso. Affinché il dolore si affermi come un vantaggio evolutivo, l'ambiente deve presentare sfide significative alla sopravvivenza, come la presenza di predatori o la competizione per le risorse. In tali ambienti, la capacità di rilevare e rispondere rapidamente a lesioni o minacce potenziali può fare la differenza tra la vita e la morte.

Anche la longevità della specie è un fattore determinante. Se la durata della vita è breve, i benefici a lungo termine della sensibilità al dolore e dell'apprendimento basato sul dolore potrebbero non essere sufficienti a compensare i costi energetici del mantenimento di un sistema percettivo del dolore complesso. Al contrario, negli animali con una durata di vita più lunga, il dolore può diventare un potente strumento di apprendimento, consentendo loro di ricordare e di evitare esperienze dannose in futuro, aumentando così le loro probabilità di sopravvivenza e riproduzione.
In sostanza, il dolore si evolve come tratto adattivo quando gli animali vivono in ambienti pericolosi e hanno una durata di vita sufficiente per beneficiare delle lezioni apprese attraverso le esperienze dolorose.
La gestione del dolore
A volte il dolore può però diventare solo fastidioso o addirittura di intralcio, nella guarigione. Fortunatamente, la scienza ha sviluppato molte strategie per attenuare il dolore, dai farmaci agli interventi comportamentali.
I farmaci analgesici funzionano bloccando a livello periferico i segnali dolorosi o riducendo l’infiammazione. Gli oppioidi invece, si legano ai recettori presenti nel sistema nervoso centrale, limitando la ricezione del dolore. Esistono anche metodi che non coinvolgono farmaci, come la neurostimolazione che sfrutta l’impianto di minuscoli elettrodi per modificare gli impulsi elettrici dolorifici che giungono al cervello. Queste terapie vengono usate in particolare per il dolore cronico.

Il dolore cronico è un chiaro esempio di dolore apparentemente disfunzionale e senza valore adattativo. Viene definito come un dolore che persiste o diventa ricorrente per 3 o più mesi. Mentre infatti il dolore acuto è segnale di un danno, il dolore cronico diventa esso stesso una malattia, dovuta a un’alterazione del sistema nervoso che amplifica o mantiene la sensazione dolorosa anche in assenza di una vera causa. Esempi comuni includono la lombalgia cronica, la fibromialgia e il dolore neuropatico, come quello associato alla neuropatia diabetica, condizioni che possono compromettere significativamente la qualità di vita dei pazienti.
Questo fenomeno rappresenta una delle sfide più complesse e dibattute della medicina moderna. A differenza del chiaro segnale d'allarme rappresentato dal dolore acuto, il significato biologico del dolore cronico resta poco compreso e oggetto di discussione e il suo trattamento è una delle sfide più attuali della medicina contemporanea.