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10 Luglio 2024
17:30

Deprivazione sensoriale: cos’è e che effetto ha sul cervello

Il cervello umano, immerso in stimoli sensoriali, organizza e rielabora questi input per produrre strategie di azione. Senza stimoli, il cervello si attiva auto-inducendo allucinazioni visive e uditive. La deprivazione sensoriale breve può ridurre lo stress, mentre prolungata può causare allucinazioni, disorientamento e disturbi della coscienza. Terapeuticamente, viene usata per ridurre dolore, stress e ansia, ma è anche stata impiegata come tecnica di tortura per i suoi effetti psicologici estremi.

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Deprivazione sensoriale: cos’è e che effetto ha sul cervello
deprivazione sensoriale cos'e e gli effetti sul cervello umano

Il cervello umano è immerso nella sensorialità. Si potrebbe dire che la maggior parte del suo lavoro sia quello di organizzare e rielaborare stimoli sensoriali, così da produrre poi delle efficaci strategie per l’azione. Togliere quindi input sensoriali al nostro organo significa lasciarlo in un silenzio innaturale, che lui cerca di riempire auto inducendosi attivazioni nelle aree sensoriali. Il risultato? Allucinazioni visive e uditive, ma anche, quando la deprivazione è solo di poche ore, profondo senso di rilassamento e diminuzione dello stress. Vediamo quindi nel dettaglio quali sono gli effetti sul cervello della deprivazione sensoriale e come si può raggiungere questo particolare stato psicofisico.

Effetti sul nostro cervello

Ci sono diversi modi per levare al cervello gli input sensoriali. Uno potrebbe essere scollegare i recettori dal sistema nervoso centrale, operazione però rischiosa, perché vorrebbe dire agire direttamente sul tratto spinale che porta i messaggi dai recettori.

Un altro ancora, il più semplice, è costruire delle vasche chiuse, all’interno delle quali mettiamo un liquido abbastanza denso da permetterci di galleggiare senza difficoltà e la cui temperatura sia quella del nostro corpo, tra i 36 e i 37 °C circa, così da non farci percepire né caldo né freddo.

È proprio quello che il neuroscienziato John Lilly si inventò negli anni ’50 del Novecento, per studiare gli effetti della deprivazione sulla coscienza. Al tempo si pensava che, una volta tolti i messaggi sensoriali al cervello, questo avrebbe smesso di funzionare, almeno fino a quando non avesse ricevuto nuovi messaggi.

Ciò che invece si vide è che il cervello, quando non riceve input, li crea lui stesso. Avere delle allucinazioni significa, sul piano neuroscientifico, assistere all’attivazione di aree sensoriali i cui input non arrivano dai recettori esterni, ed è proprio ciò che succede dopo svariate ore in stato di deprivazione.

cervello

La deprivazione sensoriale come terapia

Una volta osservato che la deprivazione sensoriale, sperimentata nell’arco di poche ore, portava numerosi vantaggi, si è iniziata ad utilizzarla in ambito terapeutico. La REST (Restricted Environmental Simulation Therapy) è una tecnica terapeutica che cerca di limitare al minimo gli input sensoriali, e che nella sua versione Floating-REST utilizza proprio la vasca a deprivazione sensoriale.

Una recente revisione sistematica del Brain Institute californiano che analizza numerosi risultati di laboratorio dal 1960 al 2023 fa il punto della situazione. I dati ci dicono che la deprivazione sensoriale utilizzata come terapia porta ad una diminuzione della percezione del dolore come nel caso di mal di testa cronico, riduzione dello stress e dell’ansia, effetti positivi sulle performance sportive e sul benessere mentale, mentre si è notata una scarsa efficacia nella lotta alle dipendenze e ai disturbi del sonno.

Sul piano fisiologico sembra avere effetti inibitori sul livello di attivazione del sistema simpatico (la parte di sistema nervoso che si attiva in situazioni di allarme, associato al sistema attacco-fuga), con diminuzione della pressione sanguigna, rilassamento del respiro e abbassamento dei livelli di cortisolo, l’ormone dello stress.

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Floatation–REST. Justin S. Feinstein, Sahib S. Khalsa, Hung–wen Yeh, Colleen Wohlrab, W. Kyle Simmons, Murray B. Stein, Martin P. Paulus, via Wikimedia Commons.

Deprivazione sensoriale come tortura

Ma la deprivazione sensoriale ha anche un lato oscuro. Sappiamo quindi che il nostro cervello “vive” di stimoli sensoriali, se ne ciba continuamente, e quando ne è a corto li produce lui stesso. Ma quando questa situazione di deprivazione è prolungata, si rafforzano quei percorsi neurali che producono allucinazioni sia visive che uditive, e abbiamo grossi impatti sugli stati di coscienza, con fenomeni di percezione distorta dello scorrere del tempo, esperienze extra-corporee ed effetti simili a quelli causati da sostanze psichedeliche.

Dopo pochi giorni in una stanza a limitati input sensoriali, i soggetti dell’esperimento condotto nel ‘54 da Bexton, Heron e Scott, hanno iniziato a sperimentare difficoltà di concentrazione, instabilità emotiva e lunghi periodi di vuoto, simili alle comuni sensazioni di incantamento, ma decisamente più durature.

In poco tempo alcuni di loro sono passati ad allucinazioni vivide, come “un razzo in miniatura che scaricava pallini che continuavano a colpire il suo braccio”, o esperienze extra-corporee quali “sentire la propria testa staccata dal corpo come un gomitolo di ovatta fluttuante”. I casi estremi riscontrati arrivavano fino alla disgragazione dello schema corporeo (la mappa del corpo contenuta nel nostro cervello), deliri e psicosi, che si risolvevano con l’interruzione della deprivazione e un veloce ritorno alle capacità cognitive pre-esperimento.

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Vasca di deprivazione sensoriale. Credit: Trogain, via Wikimedia Commons.

Per questi motivi, la deprivazione sensoriale è stata utilizzata come tecnica di tortura (soprannominata “tortura bianca”, per l’assenza di azione diretta e violenta del torturatore). Ad oggi si può sperimentare la deprivazione sensoriale e i suoi benefici a breve termine in vasche di deprivazione sensoriale come quella riportata in foto.

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