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È vero che quando ci dimentichiamo una cosa significa che non era importante? Contrariamente alla credenza comune "L'ho dimenticato… vorrà dire che non era importante" la neuroscienza moderna rivela che il nostro cervello dimentica seguendo meccanismi complessi che spesso non hanno correlazione con l'importanza soggettiva o oggettiva del ricordo, ma sono più legati al contesto, alle emozioni legate al ricordo e a quante volte lo rievochiamo. La risposta dunque sembra essere negativa: scordarsi qualcosa non significa automaticamente che quella cosa non fosse importante. La memoria umana è influenzata da molteplici fattori che spesso operano indipendentemente dall'importanza dell'informazione. Comprendere questi meccanismi ci aiuta non solo a migliorare le nostre strategie di apprendimento, ma anche ad avere pietà verso noi stessi e la nostra povera memoria!
I meccanismi della memoria: perché dimentichiamo le cose
La memoria umana è un sistema complesso e dinamico, non un semplice dispositivo di archiviazione. Quando dimentichiamo qualcosa, raramente è perché il nostro cervello ha determinato che l'informazione "non era importante". In realtà, dimenticarsi di qualcosa è perfettamente naturale e persino adattivo, e risponde a molteplici variabili neurologiche e contestuali. Sono sempre più gli studi che suggeriscono che la dimenticanza non è semplicemente un fallimento del recupero, ma un processo attivo e necessario per il funzionamento ottimale della memoria.
Il modello del "decadimento delle tracce" proposto dallo psicologo Hermann Ebbinghaus nel lontano 1885, parzialmente rimodulato da ricerche moderne che rimettono al centro la dimenticanza come processo attivo, mostra che i ricordi tendono a indebolirsi naturalmente con il passare del tempo se non vengono riattivati, come impronte sulla sabbia che sbiadiscono gradualmente con il vento, indipendentemente da quanto profonde fossero inizialmente. Questo processo, il cui concetto fondante è ancora oggi preponderante ed è noto come "curva dell'oblio", è solo parzialmente influenzato dalla nostra percezione di quanto sia importante o meno una cosa che abbiamo da ricordare.

Inoltre, il fenomeno dell'"interferenza", documentato in alcune ricerche di inizio secolo, dimostra che nuove informazioni possono sovrascrivere o interferire con quelle precedenti. È come quando impariamo un nuovo numero di telefono che ci fa dimenticare quello vecchio, anche se quest'ultimo potrebbe essere ancora importante per noi. Particolarmente significativi sono gli studi di Anderson e Levy su quella che potremmo chiamare "dimenticanza direzionata", che dimostrano come il cervello possa attivamente sopprimere alcuni ricordi, spesso per proteggere il benessere psicologico, anche quando questi sono emotivamente importanti. È simile a quando evitiamo di pensare a un evento doloroso: non è che l'evento non sia importante, anzi, è proprio la sua importanza emotiva che porta il cervello a proteggerci "nascondendolo" temporaneamente.
L'importanza soggettiva e i fattori che influenzano la memoria
Contrariamente all'idea che dimentichiamo ciò che non è importante, la ricerca scientifica evidenzia come spesso dimentichiamo proprio ciò che vorremmo ricordare, mentre dettagli apparentemente insignificanti rimangono impressi. Secondo la metanalisi, tecnica statistica che combina i risultati di più studi scientifici, del 2009 pubblicata su Emotion Review, l'impatto emotivo – non l'importanza oggettiva! – determina in larga misura ciò che ricordiamo. Eventi con forte carica emotiva, positiva o negativa, vengono codificati più profondamente grazie all'attivazione dell'amigdala, che potenzia la memoria episodica.
È per questo che ricordiamo vividamente un piccolo incidente imbarazzante di anni fa (emotivamente intenso ma oggettivamente poco rilevante), mentre potremmo dimenticare facilmente informazioni cruciali ma "asettiche" presentate durante una lezione importante. Tutto ciò è vero fino alla soglia di dolore di cui parlavamo prima: se l'intensità emotiva è troppa, potremmo finire per rimuovere il ricordo invece che mantenerlo, innescando i meccanismi di protezione psicologica.
Altri fattori determinanti includono il contesto di apprendimento, la salienza percettiva e il cosiddetto "effetto von Restorff", descritto nelle ricerche di Hunt, secondo cui elementi distintivi o insoliti vengono ricordati meglio rispetto a quelli comuni. Pensiamo a una serie di oggetti identici tra i quali uno solo è di colore diverso: ricorderemo più facilmente quello diverso non perché più importante, ma semplicemente perché spicca rispetto agli altri.

Inoltre, un altro fenomeno chiamato "memoria dipendente dal contesto" dimostra che il recupero dei ricordi è facilitato quando ci troviamo in uno stato mentale o fisico simile a quello in cui l'informazione è stata appresa. Un esempio pratico: uno studente che studia ascoltando un particolare genere musicale potrebbe ricordare meglio quelle informazioni se potesse riascoltare la stessa musica durante l'esame, o chi impara a nuotare in piscina potrebbe avere difficoltà a ricordare la tecnica quando si trova in mare aperto, nonostante l'importanza vitale di tale abilità.