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Prima di Charles Darwin, la teoria dell’evoluzione più popolare era stata proposta agli inizi dell’Ottocento dal naturalista francese Jean-Baptiste de Lamarck e si basava sulla cosiddetta eredità dei caratteri acquisiti: per esempio, le giraffe hanno il collo lungo perché i loro antenati, a furia di allungare il collo per raggiungere le foglie più alte, hanno “passato” alla prole un collo più lungo. Oggi sappiamo che l’evoluzione lamarckiana è sbagliata: la teoria dell'evoluzione corrente, elaborata da Darwin qualche decennio dopo, si basa invece sulla selezione naturale: in sintesi, i caratteri subiscono mutazioni casuali e quelli più adatti alla sopravvivenza della specie vengono selezionati e trasmessi alle generazioni successice. Si tratta di due teorie sostanzialmente diverse, ma per vari motivi spesso si tende ancora a confonderle.
Le "giraffe di Lamarck" e l'errore della sua teoria evolutiva
In principio le giraffe avevano il collo corto. Col passare del tempo, tuttavia, qualcuna intuì che, allungando il collo, era possibile arrivare a mangiare i germogli più freschi, quelli posti in alto, sulle cime degli alberi, a cui pochi altri animali avevano accesso. Così facendo, sforzandosi ogni giorno di più, ad alcune giraffe crebbe un collo molto lungo che, successivamente, venne ereditato dai figli e dai figli di questi. Secondo Lamarck, il motivo per cui oggi le giraffe hanno il collo lungo sarebbe proprio da attribuire a questa ereditarietà dei caratteri acquisiti.
Chiariamo subito: se vi sembra di aver appena letto una storia poco solida dal punto di vista scientifico, avete ragione. La teoria proposta da Jean-Baptiste de Lamarck nel suo Philosophie Zoologique, nel 1809, è sbagliata. Possiamo diventare i migliori tuffatori o le migliori rugbiste del mondo, ma i nostri figli e le nostre figlie non erediteranno le capacità fisiche o i muscoli che abbiamo allenato, con costanza e sacrificio, negli anni.
Ad oggi, l’ereditarietà dei caratteri acquisiti non ha trovato prove sufficienti a suo favore. Va ricordato, tuttavia, che le pubblicazioni di Lamarck segnarono comunque un momento importante e di cambiamento per la storia della scienza. Finalmente, dopo secoli di fissismo e teorie basate sull’immutabilità degli organismi viventi, si cominciava a prendere in considerazione l’idea che la diversità biologica potesse essere il frutto di una lunga storia, fatta di cambiamenti e modifiche avvenute anche in rapporto all’ambiente. Lamarck, insomma, fu il primo a proporre una vera e propria teoria che tentasse di spiegare il fenomeno dell’evoluzione.
La selezione naturale
La selezione naturale è il meccanismo principale su cui poggia la teoria dell’evoluzione proposta da Charles Darwin nel 1859 e tuttora considerata valida, seppur rivista e aggiornata. Alla base della selezione naturale, e dell’intera teoria dell’evoluzione di Darwin, c’è un concetto semplice che, però, per secoli venne completamente trascurato. Stiamo parlando della grande varietà di viventi e, più nello specifico, della variabilità intraspecifica, cioè del fatto che ogni individuo, seppur appartenente a una determinata specie, sia unico, diverso da tutti gli altri. Chiaramente, si tratta di variazioni casuali, non prodotte dall’ambiente circostante, come erroneamente proposto da Lamarck. Queste differenze, o varianti, favoriscono o meno la sopravvivenza e la riproduzione di un individuo, rispetto agli altri, in un dato ambiente. Proprio all’inizio del capitolo IV, ne L’Origine delle Specie, Darwin scrisse: “potremmo mai dubitare (tenendo a mente che nascono molti più individui di quanti ne possano sopravvivere) che coloro che possiedono un qualsiasi vantaggio sugli altri, sia pure il più piccolo, abbiano migliori probabilità di sopravvivere e di propagare la loro discendenza?”. In questo senso, possiamo immaginare la selezione naturale come una forza in grado di agire sulle popolazioni e di favorire quegli individui che, tra i tanti, presentano varianti più “adatte” all’ambiente.