
Gli effetti del cambiamento climatico sull'habitat artico potrebbero aver indotto un adattamento al surriscaldamento globale nel DNA degli orsi polari. Un recente studio condotto dalla University of East Anglia e pubblicato su Mobile DNA ha indagato gli effetti genetici causati da variazioni ecologiche – in particolare l’aumento della temperatura e di conseguenza la disponibilità di cibo o la perdita di ghiaccio marino – proprio sugli orsi polari (Ursus maritimus) che vivono in zone diverse della Groenlandia. Secondo questo studio, alcune sequenze di DNA capaci di spostarsi all’interno del genoma, note come elementi trasponibili (transposable elements, TEs), sarebbero più attive negli orsi che vivono in aree con temperature più alte, indicando un possibile effetto di adattamento degli orsi polari a un clima che muta e un ambiente sempre più caldo e che ha sempre meno ghiacci e risorse.
Un orso che “riscrive” il proprio DNA
Il termine “jumping gene” descrive un fenomeno biologico ben noto, ovvero la capacità di alcune sequenze di DNA di spostarsi all’interno del genoma (da qui l'errata definizione giornalistica di “geni saltellanti”), divenendo elementi trasponibili (TEs). Questi elementi non contengono informazioni (codificano) di per sé proteine utili, ma possono alterare l’attività di altri geni inserendosi vicino a essi o modificandone la regolazione. In alcune circostanze ecologiche stressanti, questa maggiore mobilità può fornire materia grezza genetica su cui la selezione naturale può agire. Questo è il caso degli orsi polari (Ursus maritimus), di cui nello studio si analizzano gli effetti genetici causati dalle variazioni ecologiche, in particolare analizzando le differenze di TEs in orsi che vivono in varie zone della Groenlandia e su cui l'aumento delle temperature ha indotto alterazioni diverse.
I ricercatori dell'Università dell'East Anglia hanno analizzato il genoma di 17 orsi appartenenti a due regioni distinte della Groenlandia, l’area del Sud-Est (SEG) e quella del Nord-Est (NEG) che differiscono per le loro condizioni ambientali: in particolare la regione artica meridionale sperimenta ormai da tempo temperature più alte e variabili rispetto al Nord.
Gli orsi del Sud più a rischio di quelli del Nord
A seguito di analisi genetiche e confronti, gli scienziati hanno osservato delle differenze quantificabili nell’espressione genica dei due gruppi, legate alle vie metaboliche, alle risposte allo stress da calore e ai processi di invecchiamento suggerendo che quelli del sud sembrino più resilienti al climate change. In particolare, è stata riscontrata una maggiore attività degli elementi trasponibili (TEs) nel genoma degli individui meridionali rispetto alla popolazione settentrionale, in maniera statisticamente significativa e legata all'aumento delle temperature.

Sono stati registrati anche dei cambiamenti in aree del genoma legate alla metabolizzazione dei grassi, che possono essere rilevanti visto che la dieta dell’orso varia con la presenza di ghiacci ricchi e persistenti: le popolazioni che vivono in ambienti con poco ghiaccio possono avere diete più variabili e meno ricche di grassi rispetto ai tipici orsi di latitudini elevate. Tutti dati che ci fanno supporre che gli orsi abbiano tentato una strategia di sopravvivenza per convivere ai nuovi climi e a ciò che ne deriva.
È importante sottolineare che queste variazioni non sono “mutazioni casuali” in senso classico, ma piuttosto cambiamenti nell’attività di elementi genetici già presenti nel genoma. In altre parole, gli orsi non stanno sviluppando geni completamente nuovi, stanno piuttosto riutilizzando porzioni del loro DNA in modi differenti, potenzialmente per rispondere a nuovi stress ambientali. Se guardiamo al quadro più ampio, l’idea non è che gli orsi polari si libereranno del problema del cambiamento climatico grazie a nuove mutazioni, ma come possano rispondere in maniera resiliente a un ambiente che cambia più in fretta di quanto molte altre specie.
Quali saranno le conseguenze per gli orsi nel futuro
Nonostante queste scoperte siano affascinanti e aprano nuove prospettive sulla biologia adattativa, bisogna tenere bene a mente che non tutte le popolazioni di orsi polari mostrano questi stessi segnali genici e che l’evidenza riguarda specificatamente solo la popolazione originaria del Sud-Est della Groenlandia. Non è poi chiaro se, come e in che misura l’attività degli elementi trasponibli possa garantire una maggior sopravvivenza, né se questi cambiamenti genetici si traducano in vantaggi ecologici concreti.
Per non parlare del fatto che comunque il problema del cambiamento climatico che resta una minaccia gravissima: anche se alcune popolazioni mostrano segnali di plasticità genetica, la perdita di ghiaccio marino, l’aumento delle temperature e l’alterazione delle diete rischiano di superare la capacità di adattamento naturale di molte altre. E’ verosimile che alcune variazioni nei geni possano influire sulla capacità di regolare processi fisiologici al variare dello stress termico, ma è ancora tutto da vedere. Se fosse davvero possibile comprendere il ruolo dei TEs nel rimodellare le reti genetiche favorendo la sopravvivenza in climi più caldi, potrebbero migliorare la consapevolezza, le strategie di conservazione e la gestione mirata di molte specie a rischio.