Uno dei maggiori vantaggi di Internet e, più in generale delle tecnologie applicate al mondo della comunicazione moderna è la loro continua disponibilità. Ad eccezione di aree estreme (deserti, oceani, calotte polari, foreste) o zone rurali con scarsa disponibilità di connessione, circa il 63% della superficie del globo è coperta dai servizi di rete. Possono però verificarsi situazioni in cui disporre di mezzi alternativi per poter comunicare rappresenta un vantaggio: calamità naturali o eventuali emergenze occorse durante una semplice escursione in montagna sono alcuni esempi in cui essere indipendenti dalla famosa “tacca di segnale” può permetterci di far sentire la nostra voce. Uno strumento adatto a tale scopo, apparentemente obsoleto ma ancora molto usato, è la radio analogica. Vediamo quindi come funzionano i ricetrasmettitori e quali sono le loro principali caratteristiche.
Come funziona una comunicazione radio analogica
Un ricetrasmettitore è un apparato in grado di convertire un segnale elettrico in un’onda elettromagnetica e far viaggiare su di essa la nostra voce. La capacità di una radio di poter raggiungere distanze più o meno elevate viene definita “portata” ed è influenzata da vari fattori, tra i quali:
- frequenza di funzionamento;
- morfologia del territorio da cui si trasmette e condizioni meteorologiche;
- potenza della radio;
- qualità dell’antenna.
Frequenze radio
La radio permette di far viaggiare (termine tecnico “modulare”) la nostra voce su un’onda elettromagnetica. Le onde sono caratterizzate da alcune proprietà fisiche, tra le quali la frequenza è quella più importante. Questa si misura in Hertz (Hz) con i relativi multipli e sottomultipli e rappresenta il numero di oscillazioni che l’onda compie in un secondo: a frequenze più alte corrispondono onde più corte e viceversa. A seconda dell’ampiezza dell’onda è possibile, quindi, superare ostacoli più o meno grandi. Le frequenze radio sono raggruppate secondo classificazioni standard riconosciute a livello mondiale da autorità competenti come l’ITU (International Telecommunication Union) e sulla base di questa ripartizione classifichiamo i vari ricetrasmettitori.
Importante è anche la posizione da cui trasmettiamo: più saremo in posizione elevata e liberi da ostacoli vicini, più potremo assicurare alla nostra onda elettromagnetica una migliore propagazione. La potenza della radio (misurata in watt) costituisce un’indicazione di quanta energia può essere irradiata, sebbene non sia scontato che una radio potente assicuri la copertura di distanze maggiori: ciò che condiziona maggiormente la propagazione è l’antenna.
Come funzionano le antenne
L’antenna è in effetti la “bocca” della radio e per poter funzionare al meglio dovrà essere tarata (accordata) in base alla frequenza in uso. Per far questo si deve agire sulla lunghezza dell’antenna che dovrà essere (in linea di massima) di ½ o ¼ il valore della lunghezza d’onda corrispondente alla frequenza con cui trasmettiamo (tale valore va poi moltiplicato per 0,95 che rappresenta il fattore di velocità della radiazione elettromagnetica nel cavo). La lunghezza d’onda si ricava dividendo il valore della radiazione elettromagnetica (cioè la velocità della luce, c= 300.000 km/s) espresso in metri per la frequenza espressa in Hertz.
Consideriamo ad esempio di voler trasmettere su una frequenza di 30 Megahertz: ad essa corrisponde una lunghezza d’onda di 10 metri (300.000.000/30.000.000). Tenuto conto del fattore 0.95, un’antenna ottimale avrà quindi una lunghezza di 4,75 o 2,37 metri (a seconda che sia considerata la metà o il quarto di lunghezza d'onda). Questi aspetti rappresentano le fondamenta del radiantismo.
I radioamatori
Occorre tuttavia ricordare che le telecomunicazioni costituiscono un campo molto delicato e per poter trasmettere con apparati radio è necessaria un’autorizzazione rilasciata dagli Ispettorati Territoriali del Ministero delle Comunicazioni per conto del Ministero dello Sviluppo Economico (MiSe), il cosiddetto “patentino di radioamatore”, per conseguire il quale occorre essere in possesso di determinati requisiti oppure aver superato un esame di abilitazione. Esistono comunque frequenze utilizzabili liberamente – pur con alcune prescrizioni. Queste frequenze sono quelle dedicate alle cosiddette PMR (Personal Mobile Radio) o LPD (Low Power Devices) ossia i comuni walkie talkie che lavorano nelle bande di frequenza dedicate (446 o 433 Megahertz rispettivamente per i PMR e le LPD). Vi è anche una banda di frequenza più bassa, dedicata agli storici “baracchini” o radio CB (Citizen Band) operanti nei 27 Megahertz. In questa banda di frequenza, è possibile effettuare collegamenti anche tra varie parti del mondo.
Con questi strumenti tutti (non solo i radioamatori) possono essere in grado di far sentire la propria voce a grandi distanze, restando indipendenti da una connessione Internet o dall’utilizzo del cellulare.