
L'apertura del Grand Egyptian Museum di Giza ha riacceso le richieste di restituzione della celebre Stele di Rosetta, uno dei principali reperti trafugati in epoca coloniale oggi conservato al British Museum di Londra. La stele, scoperta dai francesi durante le guerre napoleoniche e ceduta agli inglesi nell'Ottocento, è probabilmente il più famoso manufatto archeologico mai sottratto a un Paese invaso, grazie al suo ruolo fondamentale nella decifrazione dei geroglifici. Eppure, questo non è che uno di moltissimi oggetti preziosi, sacri e culturalmente rilevanti rubati nei secoli soprattutto dalle potenze europee in Asia, Africa (probabilmente il continente più saccheggiato di tutti), Oceania e Americhe, e persino nella stessa Europa: un esempio famoso di furti intra-europei sono i marmi del Partenone, portati sempre nel Regno Unito durante la dominazione della Grecia, ma anche la stessa Italia ha visto molte opere d'arte sottratte e ridistribuite nei musei di mezzo mondo.
L'ex ministro del turismo e delle antichità egizio, Zaha Hawass, ha detto in questi giorni che è giunto il momento per i musei dell'Europa occidentale di "fare ammenda" chiedendo indietro tre pezzi inestimabili in particolare: la Stele di Rosetta del British Museum, lo Zodiaco del Louvre e il Busto di Nefertiti di Berlino, tutti trafugati durante il periodo coloniale.

La necessità di restituzione dei manufatti rubati in epoca coloniale è da anni uno degli argomenti centrali in ambito culturale a livello globale: un altro caso molto famoso è quello dei bronzi del Benin, rubati in Africa e "distribuiti" in diversi musei europei, tra cui il British stesso. Per rendere l'idea dell'entità del fenomeno, soltanto il British Museum ha qualcosa come 70.000 manufatti saccheggiati nel continente africano.
Ma come mai nei casi in cui si è certi che i manufatti siano stati rubati non c'è l'obbligo di restituzione? Ci sono diverse giustificazioni che i diversi Paesi adducono come motivazione: per esempio, il British Museum è vincolato dal British Museum Act del 1963, che impone rigide limitazioni alla restituzione di oggetti. Questo stesso atto è stato spesso citato nelle discussioni sui Marmi del Partenone, prelevati dall'Acropoli all'inizio del XIX secolo.

Altri Paesi scelgono invece di temporeggiare, rimandando periodicamente le discussioni sulle restituzioni o contestando alcuni furti come "non chiaramente dimostrabili". Più spesso, si concordano prestiti a lungo termine (come per esempio i quaranta reperti prestati nel 2024 al governo dell'Uganda dall'Università di Cambridge) nella speranza da un lato che poi i manufatti restino a casa, e dall'altro di formalizzarne il possesso attraverso il prestito. Per questo secondo motivo, il Partenone rifiuta categoricamente quelli che definisce "prestiti dei propri beni".
In altri casi, gli oggetti preziosi rubati non possono essere restituiti perché sono stati incorporati o trasformati in altri manufatti in un secondo momento: è il caso dei materiali preziosi incastonati nei gioielli reali di mezza Europa. Per esempio nei gioielli rubati dal Louvre c'erano zaffiri provenienti dal Ceylon (Sri Lanka), diamanti che arrivavano dall'India e dal Brasile, perle del Golfo Persico e dell'Oceano Indiano, e smeraldi della Colombia.
Tuttavia, non tutti i Paesi europei si rifiutano di venire incontro alle richieste delle vittime dei furti: nel 2021 il governo dei Paesi Bassi ha accettato di elaborare delle "linee guida" sulla restituzione di oggetti di epoca coloniale, e negli anni ci sono stati piccoli ma significativi esempi in questa direzione. Tuttavia, la lentezza e la parzialità di questi interventi resta al centro del dibattito, diventando addirittura un videogioco (chiamato Relooted, cioè "ri-saccheggiato") che permette ai suoi giocatori di compiere delle missioni che consistono nell'introdursi nei musei di tutto il mondo e recuperare gli oggetti rubati in Africa per poi riportarli indietro.