
L’Islanda conta circa 130 vulcani, di cui 30 attivi: non a caso è conosciuta come la “terra del fuoco e del ghiaccio”. Una concentrazione così alta di vulcani è dovuta al fatto che l’isola costituisce una parte emersa della dorsale medio-atlantica, una lunga catena montuosa sottomarina che percorre l’Oceano Atlantico. Lungo la dorsale la placca nordamericana e quella eurasiatica si allontanano una dall’altra. Tra le due placche fuoriesce magma proveniente dal mantello terrestre, non da un singolo cratere ma attraverso fessure strette e allungate. Uno dei più conosciuti è il Laki, protagonista di una eruzione storica iniziata l'8 giugno 1783. Le sue conseguenze sono state gravissime in tutta l’Europa: vediamo perché.

1783, la grande eruzione del Laki in Islanda
Nell’Islanda meridionale, tra i ghiacciai di Mýrdalsjökull e Vatnajökull, c’è un esteso sistema di vulcani che comprende il Laki. Questo si presenta come una fessura lunga 25 chilometri: proprio qui, dopo una serie di terremoti, la mattina dell’8 giugno 1783 cominciò un’eruzione destinata a durare otto mesi. Inizialmente il magma interagì con l’acqua presente nel sottosuolo, originando una violenta esplosione. Nei giorni successivi l’eruzione diventò gradualmente meno esplosiva, trasformandosi in un flusso di lava fluida. Questo tipo di sequenza (eruzione esplosiva seguita da colata di lava fluida) si ripeté molte volte fino a gennaio del 1784. In totale furono emessi ben 42 miliardi di tonnellate di lava, che invasero un’ampia zona della costa sudorientale dell’Islanda: fattorie, pascoli e foreste vennero distrutti. Le fontane di lava raggiunsero altezze comprese tra 800 e 1400 metri. Le conseguenze più gravi non derivarono però dalla lava, ma dalle nubi di gas e ceneri espulse durante le fasi esplosive, alte fino a 15 chilometri. Queste nubi contenevano quantità enormi di diossido di zolfo e acido fluoridrico, gas estremamente tossici per gli esseri viventi.

Gli effetti delle nubi tossiche
Si stima che nel corso della lunga eruzione siano stati emessi circa 120 milioni di tonnellate di diossido di zolfo e 8 milioni di tonnellate di acido fluoridrico. Questi gas contaminarono le acque e il suolo, distruggendo i raccolti e uccidendo gran parte del bestiame. Ne seguì una carestia che causò la morte di oltre un quarto della popolazione islandese. Fu la più grande calamità nella storia dell’isola, ma i suoi effetti si estesero ben oltre l’Islanda. Gas e ceneri, trasportati dal vento, si diffusero durante l’estate nell’emisfero settentrionale, dove rimasero per mesi. Questo fenomeno fu chiamato “grande nebbia secca” e causò difficoltà respiratorie, mal di testa e altri problemi di salute, determinando migliaia di morti.
Le conseguenze dell'eruzione del Laki sul clima
In Europa l’estate fu caldissima a causa di condizioni atmosferiche non legate all’eruzione. Fu a partire dall’inverno che gli effetti dei gas sul clima cominciarono a farsi sentire. Il diossido di zolfo, infatti, in atmosfera reagisce con il vapore acqueo formando uno strato di gocce di acido solforico, che riflette la radiazione solare. Il risultato è che le temperature medie si abbassarono per alcuni anni. Negli anni successivi all’eruzione, infatti, gli inverni furono molto rigidi e le estati molto secche, al punto da compromettere i raccolti, causando carestie e morte. Perfino in Africa e in Asia il clima risentì dell’eruzione.
Si ritiene che la carestia e la povertà dovute all’eruzione contribuirono a innescare la Rivoluzione Francese nel 1789. Più spesso di quanto si possa immaginare, infatti, i cambiamenti climatici hanno influito sul corso della storia.
