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L’eruzione del vulcano Monte Pelée, avvenuta nel 1902 sull’isola caraibica di Martinique, è considerata una delle più catastrofiche della storia moderna, seconda soltanto alle devastanti eruzioni del Krakatoa nel 1883 e del Tambora nel 1815. L’evento causò la morte di oltre 30.000 persone, quasi tutte nella città di Saint-Pierre, che venne distrutta in pochi minuti da un surge piroclastico, cioè un rapido flusso incandescente di ceneri, blocchi e gas, che non lasciò scampo agli abitanti. L’eruzione fu talmente singolare per la sua dinamica e violenza che portò all’identificazione di una nuova tipologia di eruzione vulcanica, oggi nota come eruzione peléeana.
La ricostruzione dell’eruzione vulcanica del Monte Pelée del 1902
Gli eventi che portarono alla catastrofica eruzione del Monte Pelée – lo stratovulcano attualmente alto circa 1400 metri, situato sull’isola francese di Martinique, nell’arco vulcanico delle Piccole Antille dei Caraibi orientali – si susseguirono tra il mese di aprile e maggio del 1902. Tuttavia, numerosi vulcanologi fanno risalire l’inizio della fase eruttiva a segnali precursori osservati già tredici anni prima, nel 1889, quando un’attività vulcanica secondaria, caratterizzata da fumarole, ebbe inizio nella caldera Étang Sec, il cratere sommitale del Monte Pelée.

L’emissione di gas si intensificò gradualmente nel corso del decennio successivo, fino al 23 aprile 1902, quando si verificarono le prime esplosioni freatiche, innescate dalla rapida vaporizzazione di acqua presente a basse profondità nel sottosuolo a causa di un aumento della temperatura innescato dalla risalita del magma. Le esplosioni furono accompagnate dal rilascio di cenere vulcanica in atmosfera.

L’attività freatica proseguì per diversi giorni, fino al 5 maggio, quando il collasso della caldera generò lahar – cioè flussi di fango incandescenti composti da una miscela di materiale piroclastico e acqua – che si riversarono lungo il fianco sud-occidentale dell’edificio vulcanico, travolgendo il fiume Rivière Blanche e raggiungendo il mare. L’evento provocò tsunami che si abbatterono sulla cosata, danneggiando edifici e imbarcazioni. In quell’occasione persero la vita oltre 140 persone.
Il 6 maggio, l’attività vulcanica riprese con una violenta esplosione, accompagnata da un pennacchio scuro di gas e da fulmini, segnali inequivocabili che il magma aveva raggiunto la superficie. Il giorno seguente, il 7 maggio, un duomo di lava divenne visibile all’interno del cratere.
La fase più critica dell’eruzione ebbe inizio l’8 maggio, intorno alle 8:00 del mattino quando duomo di lava, ben visibile ma sormontato da un’alta colonna di vapore bianco, esplose improvvisamente, generando un imponente flusso piroclastico che si incanalò lungo la Rivière Blanche in direzione del mare. Secondo gli esperti, l’esplosione fu causata da una rapida decompressione del duomo in crescita all’interno del cratere. Quindi, un denso e turbolento flusso di blocchi, ceneri e gas incandescenti si riversò nel corso del fiume, espandendosi lateralmente man mano che avanzava verso la costa. Questo tipo di eruzione è stato successivamente classificato come eruzione peléeana.

Il flusso piroclastico raggiunse la città portuale di Saint-Pierre, situata a circa 8 chilometri di distanza, alle ore 8:02, appena due minuti dopo l’esplosione. A quel punto, un’evacuazione era ormai impossibile. Quasi tutti gli abitanti, circa 28.000 persone, morirono nel disastro, arsi vivi dalla cenere incandescente, intrappolati negli incendi che divamparono in tutta la città o schiacciati dal crollo degli edifici. Soltanto poche decine di abitanti riuscirono a sopravvivere, alcuni perché in quel momento si trovavano già in mare.
Tuttavia, la fase eruttiva non era ancora conclusa. Un secondo flusso piroclastico colpì St. Pierre il 20 maggio, a quasi due settimane di distanza, e un altro ancora il 30 Agosto. Quest’ultimi eventi causarono la morte di oltre 2000 persone, tra cui soccorritori e marinai che avevano raggiunto il luogo per portare aiuto, e al completo annichilimento di Saint-Pierre di fronte alla forza inarrestabile del vulcano. L’attività eruttiva proseguì con intensità variabile per diversi anni, fino al 5 ottobre 1905.

Ulteriori attività del Monte Pelée
L’eruzione del 1902 è considerata una delle più letali mai vissute dall’uomo in epoca moderna. È superata, in termini di vittime, solo dalle eruzioni del Krakatoa nel 1883 e del Tambora nel 1815, entrambe avvenute in Indonesia, che causarono rispettivamente oltre 36.000 e circa 92.000 morti.

Con un Indice di Esplosività Vulcanica (VEI) pari a 4, l’eruzione del Monte Pelée rappresenta anche la più violenta registrata negli ultimi 250 anni, un periodo in cui l’attività del Monte Pelée è stata prevalentemente caratterizzata da episodi di minore intensità. In particolare, si sono verificate due eruzioni freatiche, nel 1792 e nel 1851, entrambe prive di emissione lavica, e una fase effusiva tra il 1929 e il 1932. Attualmente, il vulcano non mostra segnali di attività imminente; gli ultimi fenomeni registrati risalgono al 1970, quando vennero osservate fumarole attive nei pressi del cratere sommitale.
Tuttavia, nel corso degli ultimi 5.000 anni, il Monte Pelée ha prodotto anche eruzioni significativamente più violente, tra cui numerosi eventi pliniani e subpliniani. Questa intensa attività eruttiva è strettamente legata al contesto geodinamico attivo in cui si trova Martinique, situata nei pressi di una zona di subduzione dove la placca atlantica scivola al di sotto della placca caraibica, a una velocità media di circa 2 cm all’anno.