
Sull'onda di strategie già messe a punto da Francia e Germania – e in un contesto europeo in cui cresce l’attenzione sulla necessità di rafforzare le capacità di difesa per ragioni di sicurezza – il ministro della difesa Guido Crosetto ha annunciato che sta lavorando a una legge che dal 2026 reintrodurrà il servizio militare. Ma non sarà una "naja", ossia il classico servizio obbligatorio svolto fino a fine 2004: la leva in progetto sarà esclusivamente su base volontaria. L'esigenza del ministro della difesa era già nota, visto che aveva dichiarato che la legge 244 – che fissa il limite per il personale di Difesa a 170 mila unità – andava rivista aumentando di almeno 10-15 mila unità. In particolare, queste nuove reclute dovrebbero essere istruite riguardo alle nuove tecnologie di guerra, sempre più correlate all'intelligenza artificiale.
La proposta di Crosetto viene da una precisa necessità, ossia quella di prepararsi al meglio di fronte a possibili scenari di emergenza: ciò significa anche, secondo il ministro, creare una riserva ausiliaria dello Stato che possa affiancare le Forze Armate in caso di bisogno. La riserva, però, a quanto si evince finora non sarebbe in prima linea, ma di supporto: verrebbe esclusivamente coinvolta in "casi gravissimi", per riprendere le parole del ministro (guerre, calamità e gravi crisi internazionali).
Per capire meglio la questione abbiamo intervistato l'analista geopolitico friulano Andrea Gaspardo.
Come si articolerebbe il progetto di Crosetto?
Il progetto di Crosetto va preso con le pinze: finora ci sono delle indiscrezioni, ma andrebbe vista la documentazione ufficiale. Secondo quanto si vocifera, l'intenzione sarebbe quella di creare una riserva ausiliaria alle Forze Armate di circa 10 mila unità.
Questa riserva andrebbe a rivolgersi in parte ai giovani, e in parte anche a persone meno giovani che possiedono una serie di requisiti e capacità di natura tecnica che potrebbero essere fondamentali in caso di crisi. In particolare, si parla di professionisti, militari in congedo, ex guardie giurate e medici, ingegneri, esperti di cybersecurity, ecc.
Perché alcuni Paesi europei si stanno mobilitando a questo proposito, e quanto è concreta la minaccia di una crisi diplomatica che aggravi il contesto internazionale?
La ragione per la quale diversi paesi europei stanno parlando di introdurre la leva, creare ingenti forze di riserva o incentivare l'arruolamento negli eserciti, è perché esiste la percezione ormai diffusa che l'invasione russa dell'Ucraina del 24 febbraio 2022 abbia fatto da catalizzatore per l'inizio di una nuova era storica nella quale le condizioni di pace prevalenti in Europa negli ultimi decenni, non lo sono più. In previsione di un possibile ritorno dei conflitti, i Paesi stanno mettendo le mani avanti, discutendo sull'opportunità di riarmarsi e ampliare le proprie forze armate.
Perché le forze armate non sono sufficienti? l'aumento delle spese militari non potrebbe coprire, almeno in parte, una leva obbligatoria?
In questo momento, nel continente europeo, nessun paese – al di fuori di Russia e Ucraina – ha forze armate numericamente adeguate per combattere una guerra su vasta scala e di lungo periodo.
L'esperienza sul campo della guerra russo-ucraina ha dimostrato che al netto dell'elevata crescita tecnologica che gli strumenti tecnologici hanno visto, dalla Guerra Fredda fino ad oggi (pensiamo ai droni, per fare un esempio), comunque rimane la necessità, per i paesi che combattono questo tipo di guerra, di avere a disposizione forze armate numericamente molto consistenti.
Per ottenere i numeri bisogna adoperare un misto di incentivo agli arruolamenti volontari e coscrizione obbligatoria: non ci sono altre vie per ottenere il livello di effettivi desiderato. Ci sono alcuni paesi europei che si stanno muovendo più celermente nella fase di riarmo ed espansione delle proprie forze armate (Polonia, Romania, Ungheria), ma altri paesi no. Nel continente europeo, quindi, la situazione è a macchia di leopardo.
Oltre al numero in sé dei soldati, il sistema della leva italiano come potrebbe adeguarsi al contesto geopolitico odierno, in termini di organizzazione, equipaggiamento e regolamentazione?
Difficilissimo rispondere a questa domanda. Per rispondere è necessario che la leadership politica e militare abbiano ben chiaro gli scenari di crisi e ipotetici di impiego futuro delle nostre forze armate. Finché ciò non verrà chiarito è come discutere del sesso degli angeli.
Durante la Guerra Fredda la minaccia era una: erano le armate dell'URSS e dei suoi alleati del Patto di Varsavia. Le forze armate italiane avevano quindi la necessità ogni anno di addestrare alcune centinaia di migliaia di uomini che venivano sostituiti ogni anno da nuove ondate di coscritti. Oltretutto, essendo un'epoca di demografia florida – con un tasso di fertilità totale sopra 2 figli per donna – il paese poteva permettersi di avere a disposizione esercito numeroso di coscritti, che ora farebbe fatica schierare, perché ora non ci sono abbastanza giovani. Le nuove classe giovanili sono significativamente meno numerose rispetto a quelle del passato, per cui anche il ripristino della leva in maniera indiscriminata per tutti non colmerebbe a pieno la mancanza di soldati.
Oltre al ripristino della leva obbligatoria il governo dovrebbe però anche inventare strumenti per permettere al nostro paese di pescare nel bacino compreso tra gli uomini adulti di età compresa tra i 30 e i 60 anni, esattamente come stanno facendo i Russi e gli Ucraini.
Fermo restando che bisognerebbe poi capire gli ipotetici scenari di impiego, per risolvere il problema della mancanza di personale, oltre al ripristino della leva, bisogna puntare su incentivi per l'arruolamento di personale maturo (sempre che il fisico lo permetta).
Non bisogna finire per credere che l'evoluzione tecnologica ci metta al riparo dalla necessità di persone fisiche: non si può supplire alla mancanza di soldati, per la guerra servono braccia, e tante.
Le ipotesi di un riarmo comune europeo sono definitivamente tramontate dopo l'entusiasmo dei mesi scorsi?
Difficile a dirsi. Già quando si parlava di riarmo europeo si specificava che ciascun paese avrebbe adottato poi le strategie che reputava necessarie per portarlo a compimento. Il riarmo si farà, ma farlo in ordine sparso non aiuta certo nella formulazione di una strategia europea comune coerente.