Il nostro Paese fa parte della NATO e secondo il Patto Atlantico, trattato fondatore della NATO nel 1949, esiste il cosiddetto "sistema di difesa collettiva", sancito nell’art.5, secondo il quale in caso di attacco ad uno Stato membro l’Italia e gli altri Paesi membri sono obbligati ad intervenire in sua difesa. Anche per la sua appartenenza all'Unione Europea, secondo l'art.42 del Trattato istitutivo dell'UE (TUE), per attuare la politica di difesa e sicurezza comune, l’Italia e gli altri Paesi membri mettono a disposizione il proprio supporto, anche militare, con tutti i mezzi in loro possesso previa delibera all'unanimità del Consiglio Europeo. Ma se l'Italia entrasse in guerra chi sarebbe richiamato alle armi? Solo le forze militari o anche i normali cittadini? In caso di chiamata alle armi, l'art.52 della Costituzione stabilisce che rifiutarsi costituisce reato.
L'Italia può entrare in guerra? I casi in cui potrebbe succedere
La Costituzione italiana all’articolo 11 sancisce che: «l’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa agli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali». Questo però non esclude che in caso di attacco il nostro Paese può fare ricorso alle armi a scopo difensivo, così come in caso di attacco militare ad uno Stato membro della NATO e dell’Unione Europea, organizzazioni internazionali e sovranazionali di cui l’Italia fa parte. L'art.78 della Costituzione italiana infatti dichiara che le Camere possono deliberare lo stato di guerra dando al governo i poteri necessari.
Se dovesse dunque configurarsi un conflitto e l’entrata ufficiale in guerra del nostro Paese i primi ad essere coinvolti sarebbero le forze armate ufficiali: Esercito, Marina Militare, Carabinieri, Guardia di finanza, Aeronautica militare. Ad essere esclusi sono invece le forze di polizia ad ordinamento civile, come i Vigili del Fuoco, la Polizia Locale e la Polizia penitenziaria. In secondo luogo, sarebbero chiamati alle armi gli ex militari che hanno raggiunto il proprio termine di servizio da meno di 5 anni. In Italia da anni si dibatte sulla questione dei "riservisti", personale militare o addestrato, su base volontaria, che non dovrebbe superare le 10.000 unità e che sarebbe impiegato prevalentemente per supporto logistico e attività di cooperazione.
Chi verrebbe chiamato alle armi? L'arruolamento dei civili
Se il personale militare volontario non dovesse essere in numero sufficiente si potrebbe allora ricorrere all’arruolamento dei civili: è importante chiarire che solo se il personale in servizio è insufficiente si ricorrerebbe a questa eventualità. A essere chiamati alle armi sarebbero i cittadini maschi dai 18 ai 45 anni dichiarati idonei alle visite mediche sulla base delle liste di leva.
Infatti, al termine delle visite mediche, sono tre i possibili esiti: idonei e quindi che possono essere arruolati, rivedibili, ossia al momento della visita non sono risultati idonei ma possono essere sottoposti a nuove visite mediche e riformati, infine non idonei al servizio militare in modo permanente. Le donne in gravidanza sono escluse dalle liste di leva obbligatoria.
Proprio riguardo l'insufficienza di unità militari a disposizione, a dicembre 2023 è stato approvato un decreto legislativo sulla revisione dello strumento militare che ha aumentato da 150.000 a 160.000 le unità delle forze armate, a partire dal 1° gennaio 2034.
Si può rifiutare la chiamata alle armi? La leva obbligatoria in Italia
In caso di chiamata alle armi non è possibile sottrarsi alla chiamata, a meno che non ci siano gravi problemi di salute, da verificare tramite le visite mediche specifiche. Infatti, secondo l’art.52 della nostra Costituzione “La difesa della Patria è sacro dovere del cittadino. Il servizio militare è obbligatorio nei limiti e modi stabiliti dalla legge. Il suo adempimento non pregiudica la posizione di lavoro del cittadino, né l’esercizio dei diritti politici."
In caso quindi di rifiuto si tratterebbe di reato. In Italia la leva obbligatoria è stata sospesa con la legge n.226 del 23 agosto 2004 per tutti i cittadini nati dopo il 1 gennaio 1986 ed entrata in vigore nel 2005. In realtà però la chiamata alla leva è stata sospesa, quindi non eliminata in modo definitivo. Secondo il nostro ordinamento militare infatti il servizio di leva può essere nuovamente messo in atto con decreto del Presidente della Repubblica in caso di mancato raggiungimento del numero di personale arruolato. A tal proposito, il 21 maggio scorso il ministro delle infrastrutture italiano Matteo Salvini ha presentato alla Camera dei deputati una proposta di legge per introdurre di nuovo la leva obbligatoria nel nostro Paese: sei mesi di servizio militare o civile per i giovani tra i 18 e i 26 anni, da svolgere in Italia, nella propria regione di appartenenza. Questa proposta ha riacceso il dibattito sulla leva obbligatoria e sul coinvolgimento volontario dei giovani in attività non solo collegate a scopi militari ma anche di protezione civile.