
L'immagine entrata nel 2021 nel Guinnes World Record per la più alta risoluzione mai raggiunta ritrae un reticolo cristallino di praseodimio ortoscandato (PrScO3) ingrandito ben 100 milioni di volte con dettagli distinguibili fino a 0,02 nanometri (un nanometro è un milionesimo di millimetro) ed è stata realizzata da un team di scienziati della Cornell University grazie a una tecnica chiama pticografia elettronica. Ogni “pallina” che si vede in questa immagine è un singolo atomo: le coppie ravvicinate sono atomi di praseodimio, quelle singole e più chiare sono atomi di scandio e mentre quelle più scure e sfumate sono atomi di ossigeno. La natura cristallina del materiale è evidente dalla distribuzione quasi perfettamente regolare degli atomi in esso contenuti.
La tecnica della pticografia elettronica fa uso di un microscopio elettronico. Per “vedere”, i microscopi elettronici non usano la luce (come un tradizionale microscopio ottico) ma gli elettroni. In generale, più energia hanno gli elettroni e più alta sarà la risoluzione dell'immagine. Il problema è che elettroni troppo energetici possono alterare il campione che vogliamo osservare: questo rappresenta un limite di risoluzione per le immagini tramite microscopio elettronico.

La tecnica della pticografia elettronica è stata inventata proprio per aggirare questo problema, aumentando la risoluzione delle immagini mantenendo al contempo “accettabile” l'energia degli elettroni. Per capire come funziona, immaginate di avere un oggetto sconosciuto completamente immerso nel buio e di avere con voi delle piccole palline (che rappresentano gli elettroni). Se lanciate le palline da una certa direzione, queste rimbalzeranno sulle pareti in base alla forma dell'oggetto nello spazio, creando così un preciso schema di rimbalzi sulle pareti. Se poi le lanciate da una direzione leggermente diversa, cambierà di conseguenza anche lo schema dei rimbalzi. Con abbastanza palline e abbastanza direzioni di lancio, quindi, potete in linea di principio – con molta pazienza! – ricostruire la forma dell'oggetto e capire quindi come è fatto. Questo è in soldoni il principio alla base della pticografia elettronica, il cui nome deriva dalla radice greca ptych- che significa approssimativamente “piegare” (con riferimento alle traiettorie degli elettroni).
È proprio quello che è stato fatto dai ricercatori della Cornell University per ottenere questa immagine incredibilmente dettagliata di un reticolo di praseodimio ortoscandato. Occorrono naturalmente algoritmi estremamente complessi e una grande quantità di tempo per la ricostruzione 3D dell'immagine, ma come potete vedere il metodo funziona. Pensate che la “sfocatura” che potete vedere attorno ai singoli atomi non è dovuta a un difetto del metodo, ma all'agitazione termica degli atomi stessi. Sostanzialmente, gli atomi non sono perfettamente fermi: si “agitano” leggermente ma continuamente, poiché hanno una certa energia. Questo significa che la foto è venuta “mossa” non perché la macchina è difettosa ma perché è il soggetto che si è mosso! Praticamente abbiamo superato i limiti tecnologici per la risoluzione di immagini atomiche e raggiunto il limite fisico.
Questa tecnica non è solamente un esercizio di stile. La possibilità di osservare campioni anche tridimensionali di materiale con un livello di dettaglio di centesimi di nanometro può aprire nuove strade per la realizzazione di chip o batterie con prestazioni più elevate e allo stesso tempo più efficienti, per esempio individuando impurità in un materiale o permettendo di osservare in modo inedito materiali fondamentali per l'elettronica, come i semiconduttori o i materiali per la realizzazione dei computer quantistici. Altre possibilità di applicazione sono in campo medico, per esempio per lo studio delle sinapsi o dei tessuti cellulari più disparati.